DI FEDERICO DEZZANI
Cosa accomuna il neo-premier italiano, artefice di una sfolgorante carriera nel Partito Democratico, e Nicolas Sarkozy, stella cadente del partito conversatore francese UMP? Solo l'immagine di uomini energici e vitali al limite dell'iperattività? La passione per il jogging? No, una curiosa serie di analogie nelle carriere, frequentazioni e posizioni in politica estera. Il vento che ha gonfiato le loro vele soffia dall'oceano Atlantico.
Viviamo un'epoca post-ideologica e globalizzata, dove gli organismi sovranazionali ed i grandi trust finanziari erodono giorno per giorno la sovranità degli stati-nazione che avevano egregiamente solcato i marosi della storia dalla pace di Vestfalia del 1648. In questo contesto le posizioni politiche tendono a smussarsi, le grandi battaglie ideologiche latitano (chi nel pieno di una depressione economica che ha cannibalizzato il 10% del PIL italiano e milioni di posti di lavoro considera i matrimoni omosessuali una tematica sociale pressante?) e i programmi politici sono gradualmente sostituiti dal personalismo dei capi di partito. Qualche politologo la chiama americanizzazione della vita politica.
Gli elettori, intanto, sembrano non gradire, ed i livelli di partecipazione alle elezioni inanellano di volta in volta un record negativo: persino in Italia, dove la passione politica scorre nelle vene dai tempi degli Orazi e Curiazi, l'affluenza alle ultime elezioni europee, che hanno sancito il trionfo del premier Matteo Renzi, è crollata al 58%. Americanizzazione, confermano i politologi: alto tasso di leaderismo e bassa affluenza.
Ma l'americanizzazione della nostra vita politica, della nostra economia (le pagine dedicate dai giornali ai misteri dell'alchimia superano quelle inerenti al super-segreto accordo di libero scambio transatlantico Ue-Usa), e della nostra diplomazia (da Mosca lamentano il totale appiattimento di Bruxelles alla volontà statunitense sulla vicenda ucraina e correlate sanzioni) è frutto solo del dominio incontrastato degli USA nella cultura quotidiana, nei media (i vari esperimenti di Euronews, France24, Deutsche Welle TV e Rai News non sembrano aver scalfito il duopolio britannico-statunitense dell'informazione) e nelle moderne tecnologie? È ancora il vecchio, seppur ammaccato, soft power, puntellato da un discreto ma coercitivo hard power costituito dalle decine di basi militari statunitensi che costellano l'Europa, dal Regno Unito alla Bulgaria, dalla Spagna alla Polonia?
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