La vita si sposta laggiù mentre io sono qua e ci penso sopra.
Non costituisco più un tutt'uno con la vita; laggiù si è prodotto
un evento spiacevole e io, qua, ci penso per trovare una via di
fuga dalla mia sofferenza.
Abbiamo creato una separazione: la vita di là e io di qua.
Equivale alla cacciata biblica dal paradiso terrestre, che
simboleggia l'unità naturale della vita. Ma, di tanto in tanto, lo
incontriamo di nuovo. Può succedere che, dopo una sesshin,
l'unità della vita sia ovvia, e per qualche giorno percepiamo la
sua non problematicità.
Per la maggior parte del tempo, invece, culliamo l'illusione
che ci sia, dall'altra parte, la vita che sottopone un problema a
noi, da quest'altra parte. L'unità indivisibile è spezzata (o
almeno, così sembra). Siamo divorati dalle domande: "Chi sono
io? Cos'è la vita? Come sistemare le cose per stare meglio?".
Sembriamo circondati da persone e situazioni che dobbiamo
controllare e rimettere a posto poiché ce ne sentiamo separati.
Analizzare la vita, rifletterci, interrogarci e preoccuparci su di
essa, tentare di essere uno con essa, sono soluzioni artificiali. In
realtà, da sempre, non c'è nulla che debba essere risolto.
Nonvediamo la perfezione dell'unità perché il senso di separazione
la nasconde. Perfetta, la nostra vita? Chi mai lo crederebbe!
Siamo immersi nella vita (poiché non siamo altro che il
pensare, vedere, udire, odorare, toccare) ma vi aggiungiamo
considerazioni egoistiche sugli aspetti che 'non mi vanno'. Ecco
che non siamo più consapevoli dell'unità con la vita. Abbiamo
aggiunto qualcosa, la reazione personale, col risultato di
costruire ansia e tensione. Non passa minuto che non
sovrapponiamo alla vita la nostra reazione. Non precisamente un
bel quadro...
Perché il titolo: "Il filo del rasoio"? Per riunire le due parti
illusoriamente separate dobbiamo camminare sul filo del rasoio.
Cosa vuol dire?
La pratica vuol dire comprendere il filo del rasoio e
lavorarci su. Viviamo nell'illusione della separazione, che noi
stessi abbiamo creato. Se ci sentiamo minacciati, se un aspetto
della vita non ci piace, si avvia la preoccupazione e l'esame
delle possibili soluzioni per cavarcela. È la reazione comune.
Non abbiamo intenzione di essere con la vita così com'è perché
può esserci sofferenza, che è inaccettabile. Da una malattia
grave alla più insignificante contrarietà, non siamo disposti ad
accettare. Non vogliamo sopportare, non vogliamo essere la
sofferenza, se ci si offre anche una minima via di scampo.
Vogliamo risolvere il problema, superarlo, eliminarlo. È qui che
dobbiamo comprendere la pratica di camminare sul filo del
rasoio, ogni volta che iniziamo a sentirci irritati, arrabbiati,
risentiti o scontenti.
Per prima cosa, dobbiamo sapere di essere irritati. Molti
non lo sanno neppure. Quindi, passo numero uno:
consapevolezza dell'irritazione nascente. In zazen, quando
cominciamo a conoscere la nostra mente e le nostre reazioni,
acquistiamo la consapevolezza: "Sì, sono irritato".
Ma il primo passo non ci porta ancora sul filo del rasoio.
Siamo ancora divisi, ma almeno lo sappiamo. Come rimettere
insieme le due parti? Camminare sul filo del rasoio significa
appunto essere di nuovo ciò che intrinsecamente siamo: vedere,
toccare, udire, odorare. Significa sperimentare qualunque
espressione della vita, in questo preciso momento. Siamo irritati,
e facciamo esperienza dell'irritazione. Abbiamo paura, e
facciamo esperienza della paura. Siamo competitivi, e facciamo
esperienza della competitività. Nella pratica, l'esperienza è
fisica; non si occupa delle costruzioni mentali sovrapposte
all'esperienza.
Fare esperienza non verbale, cioè essere il momento
presente: ecco il filo del rasoio. Lì, sul filo, si riuniscono le due
strazianti metà. La riunificazione forse non è la felicità, ma ci dà
gioia. Capire il filo del rasoio, anzi, camminarci, è la pratica
dello Zen. La sua difficoltà nasce dal fatto che non siamo
disposti a farlo. Al contrario, siamo dispostissimi a scappare.
Se mi sento offesa, voglio aderire ai pensieri che alimento
sull'offesa; voglio aumentare la mia separazione; mi compiaccio
di cuocermi in focose idee di lesa maestà. Ma le idee, i pensieri
sono una barriera che erigo per non sentire il dolore. Più la mia
pratica si affina e più rapidamente mi rendo conto del trucco,
ritornando alla nuda esperienza del dolore, il filo del rasoio.
Dove, un tempo, sarei rimasta amareggiata per due anni, ora la
ferita mi brucia per due mesi, due settimane, due minuti. Una
buona pratica mi consente di fare l'esperienza del dolore alla sua
comparsa, di salire immediatamente sul filo del rasoio.
Lo stato illuminato consiste nel camminare sempre sul filo
del rasoio. Forse non sempre, ma nella maggior parte delle
situazioni. Ed è una gioia.
Ripeto ancora: bisogna partire dal riconoscimento che non
abbiamo nessuna intenzione di salire sul filo del rasoio,
chesoddisfazione, eppure preferiamo una vita incompleta a
un'esperienza diretta della vita, quando ci sembra dolorosa e
sgradevole.
Le difficoltà nei rapporti, in famiglia come sul lavoro,
nascono dal desiderio di separatezza: strategia su cui contiamo
per sentirci realmente esistenti nella nostra separata
individualità, per sentirci 'più' importanti. Camminando sul filo
del rasoio smettiamo di essere un 'più': siamo un non io immerso
nella vita. Ci fa paura, anche se vivere il non sé è pura gioia. La
paura ci mantiene 'da questa parte', nella nostra isolata alterigia.
È un paradosso: solo camminando sul filo del rasoio, solo
sperimentando direttamente la paura, possiamo conoscere la non
paura.
So che è impossibile capirlo di primo acchito, e peggio
ancora farlo. A volte balziamo sul filo e subito schizziamo via
come una goccia d'acqua caduta su una padella rovente. Forse è
tutto ciò che riusciamo a fare all'inizio, ma va bene lo stesso.
Poi, continuando a praticare, ci sentiamo sempre più a nostro
agio sul filo. Scopriamo che solo lì è possibile essere in pace.
Molti, tra coloro che vengono al Centro, dicono: "Cerco la
pace", pur non sapendo come trovarla. Il modo è di camminare
sul filo del rasoio. Nessuno vuole sentirlo, preferiamo che un
altro si incarichi di liberarci dalla paura e ci prometta la felicità.
Nessuno vuole sentire la verità, e non la sentiremo finché non
saremo pronti.
Sul filo del rasoio, immersi nella vita, non c'è né 'io' né 'tu'.
Questa pratica è di beneficio per tutti gli esseri senzienti e,
naturalmente, è il nocciolo dello Zen: la mia vita e la vostra vita
che crescono in saggezza e compassione.
preferiamo continuare a stare separati. Vogliamo avvoltolarci
nella sterile soddisfazione che dice: 'Io ho ragione'. È una misera soddisfazione,
eppure preferiamo una vita incompleta a
un'esperienza diretta della vita, quando ci sembra dolorosa e
sgradevole.
Le difficoltà nei rapporti, in famiglia come sul lavoro,
nascono dal desiderio di separatezza: strategia su cui contiamo
per sentirci realmente esistenti nella nostra separata
individualità, per sentirci 'più' importanti. Camminando sul filo
del rasoio smettiamo di essere un 'più': siamo un non io immerso
nella vita. Ci fa paura, anche se vivere il non sé è pura gioia. La
paura ci mantiene 'da questa parte', nella nostra isolata alterigia.
È un paradosso: solo camminando sul filo del rasoio, solo
sperimentando direttamente la paura, possiamo conoscere la non
paura.
Charlotte Joko Beck ,dal libro Zen quotidiano
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