giovedì 2 aprile 2015

Sul filo del rasoio


La vita si sposta  laggiù  mentre io sono  qua  e ci penso sopra.
Non costituisco più un tutt'uno con la vita; laggiù si è prodotto
un evento spiacevole e io, qua, ci penso per trovare una via di
fuga dalla mia sofferenza.
Abbiamo creato una separazione: la vita di là e io di qua.
Equivale  alla  cacciata  biblica  dal  paradiso  terrestre,  che
simboleggia l'unità naturale della vita. Ma, di tanto in tanto, lo
incontriamo di nuovo. Può succedere che, dopo una sesshin,
l'unità della vita sia ovvia, e per qualche giorno percepiamo la
sua non problematicità.
Per la maggior parte del tempo, invece, culliamo l'illusione
che ci sia, dall'altra parte, la vita che sottopone un problema a
noi,  da  quest'altra  parte.  L'unità  indivisibile  è  spezzata  (o
almeno, così sembra). Siamo divorati dalle domande: "Chi sono
io? Cos'è la vita? Come sistemare le cose per stare meglio?".
Sembriamo  circondati  da  persone  e  situazioni  che  dobbiamo
controllare e rimettere a posto poiché ce ne sentiamo separati.
Analizzare la vita, rifletterci, interrogarci e preoccuparci su di
essa, tentare di essere uno con essa, sono soluzioni artificiali. In
realtà, da sempre, non c'è nulla che debba essere risolto.
Nonvediamo la perfezione dell'unità perché il senso di separazione
la nasconde. Perfetta, la nostra vita? Chi mai lo crederebbe!
Siamo immersi nella vita (poiché non siamo altro che il
pensare,  vedere,  udire,  odorare,  toccare)  ma  vi  aggiungiamo
considerazioni egoistiche sugli aspetti che 'non mi vanno'. Ecco
che non siamo più consapevoli dell'unità con la vita. Abbiamo
aggiunto  qualcosa,  la  reazione  personale,  col  risultato  di
costruire  ansia  e  tensione.  Non  passa  minuto  che  non
sovrapponiamo alla vita la nostra reazione. Non precisamente un
bel quadro...
Perché il titolo: "Il filo del rasoio"? Per riunire le due parti
illusoriamente separate dobbiamo camminare sul filo del rasoio.
Cosa vuol dire?
La  pratica  vuol  dire  comprendere  il  filo  del  rasoio  e
lavorarci su. Viviamo nell'illusione della separazione, che noi
stessi abbiamo creato. Se ci sentiamo minacciati, se un aspetto
della vita non ci piace, si avvia la preoccupazione e l'esame
delle possibili soluzioni per cavarcela. È la reazione comune.
Non abbiamo intenzione di essere con la vita così com'è perché
può  esserci  sofferenza,  che  è  inaccettabile.  Da  una  malattia
grave alla più insignificante contrarietà, non siamo disposti ad
accettare.  Non  vogliamo  sopportare,  non  vogliamo  essere  la
sofferenza,  se  ci  si  offre  anche  una  minima  via  di  scampo.
Vogliamo risolvere il problema, superarlo, eliminarlo. È qui che
dobbiamo  comprendere  la  pratica  di  camminare  sul  filo  del
rasoio,  ogni  volta  che  iniziamo  a  sentirci  irritati,  arrabbiati,
risentiti o scontenti.
Per prima cosa, dobbiamo  sapere  di essere irritati. Molti
non  lo  sanno  neppure.  Quindi,  passo  numero  uno:
consapevolezza  dell'irritazione  nascente.  In  zazen,  quando
cominciamo a conoscere la nostra mente e le nostre reazioni,
acquistiamo la consapevolezza: "Sì, sono irritato".
Ma il primo passo non ci porta ancora sul filo del rasoio.
 Siamo  ancora divisi, ma almeno lo sappiamo. Come rimettere
insieme le due parti? Camminare sul filo del rasoio significa
appunto essere di nuovo ciò che intrinsecamente siamo: vedere,
toccare,  udire,  odorare.  Significa  sperimentare  qualunque
espressione della vita, in questo preciso momento. Siamo irritati,
e  facciamo  esperienza  dell'irritazione.  Abbiamo  paura,  e
facciamo esperienza della paura. Siamo competitivi, e facciamo
esperienza  della  competitività.  Nella  pratica,  l'esperienza  è
fisica;  non  si  occupa  delle  costruzioni  mentali  sovrapposte
all'esperienza.
Fare  esperienza  non  verbale,  cioè  essere  il  momento
presente: ecco il filo del rasoio. Lì, sul filo, si riuniscono le due
strazianti metà. La riunificazione forse non è la felicità, ma ci dà
gioia. Capire il filo del rasoio, anzi, camminarci, è la pratica
dello  Zen.  La  sua  difficoltà  nasce  dal  fatto  che  non  siamo
disposti a farlo. Al contrario, siamo dispostissimi a scappare.
Se mi sento offesa, voglio aderire ai pensieri che alimento
sull'offesa; voglio aumentare la mia separazione; mi compiaccio
di cuocermi in focose idee di lesa maestà. Ma le idee, i pensieri
sono una barriera che erigo per non sentire il dolore. Più la mia
pratica si affina e più rapidamente mi rendo conto del trucco,
ritornando alla nuda esperienza del dolore, il filo del rasoio.
Dove, un tempo, sarei rimasta amareggiata per due anni, ora la
ferita mi brucia per due mesi, due settimane, due minuti. Una
buona pratica mi consente di fare l'esperienza del dolore alla sua
comparsa, di salire immediatamente sul filo del rasoio.
Lo stato illuminato consiste nel camminare sempre sul filo
del  rasoio.  Forse  non  sempre,  ma  nella  maggior  parte  delle
situazioni. Ed è una gioia.
Ripeto ancora: bisogna partire dal riconoscimento che non
abbiamo nessuna intenzione di salire sul filo del rasoio,
chesoddisfazione,  eppure  preferiamo  una  vita  incompleta  a
un'esperienza diretta della vita, quando ci sembra dolorosa e
sgradevole.
Le  difficoltà  nei  rapporti,  in  famiglia  come  sul  lavoro,
nascono dal desiderio di separatezza: strategia su cui contiamo
per  sentirci  realmente  esistenti  nella  nostra  separata
individualità, per sentirci 'più' importanti. Camminando sul filo
del rasoio smettiamo di essere un 'più': siamo un non io immerso
nella vita. Ci fa paura, anche se vivere il non sé è pura gioia. La
paura ci mantiene 'da questa parte', nella nostra isolata alterigia.
È  un  paradosso:  solo  camminando  sul  filo  del  rasoio,  solo
sperimentando direttamente la paura, possiamo conoscere la non
paura.
So  che  è  impossibile  capirlo  di  primo  acchito,  e  peggio
ancora farlo. A volte balziamo sul filo e subito schizziamo via
come una goccia d'acqua caduta su una padella rovente. Forse è
tutto ciò che riusciamo a fare all'inizio, ma va bene lo stesso.
Poi, continuando a praticare, ci sentiamo sempre più a nostro
agio sul filo. Scopriamo che solo lì è possibile essere in pace.
Molti,  tra  coloro  che  vengono  al  Centro,  dicono:  "Cerco  la
pace", pur non sapendo come trovarla. Il modo è di camminare
sul filo del rasoio. Nessuno vuole sentirlo, preferiamo che un
altro si incarichi di liberarci dalla paura e ci prometta la felicità.
Nessuno vuole sentire la verità, e non la sentiremo finché non
saremo pronti.
Sul filo del rasoio, immersi nella vita, non c'è né 'io' né 'tu'.
Questa  pratica  è  di  beneficio  per tutti  gli  esseri  senzienti e,
naturalmente, è il nocciolo dello Zen: la mia vita e la vostra vita
che crescono in saggezza e compassione.
preferiamo continuare a stare separati. Vogliamo avvoltolarci
nella sterile soddisfazione che dice: 'Io ho ragione'. È una misera soddisfazione,
 eppure  preferiamo  una  vita  incompleta  a
un'esperienza diretta della vita, quando ci sembra dolorosa e
sgradevole.
Le  difficoltà  nei  rapporti,  in  famiglia  come  sul  lavoro,
nascono dal desiderio di separatezza: strategia su cui contiamo
per  sentirci  realmente  esistenti  nella  nostra  separata
individualità, per sentirci 'più' importanti. Camminando sul filo
del rasoio smettiamo di essere un 'più': siamo un non io immerso
nella vita. Ci fa paura, anche se vivere il non sé è pura gioia. La
paura ci mantiene 'da questa parte', nella nostra isolata alterigia.
È  un  paradosso:  solo  camminando  sul  filo  del  rasoio,  solo
sperimentando direttamente la paura, possiamo conoscere la non
paura.

Charlotte Joko Beck ,dal libro Zen quotidiano

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