Di Paolo Becchi su Libero, 27/04/2017
Sbagliano coloro che oggi credono che la partita in Francia sia già chiusa, e che ormai, anche a seguito del “tradimento” di Donald Trump
e del suo programma isolazionista, Marine Le Pen sia comunque destinata
a soccombere. Più in generale, e sul piano geopolitico, sbagliano
coloro che pensano che le potenze «marittime» abbiano ormai avuto la
meglio su quelle «telluriche», per dirla con il Carl Schmitt di Terra e mare
(Adelphi). L’opposizione tra terra e mare ha costituito, almeno a
partire dal XVII secolo, l’asse a partire dal quale si sono nel tempo
definiti i rapporti di forza tra gli Stati, e si è instaurata quella
dialettica tra equilibrio ed egemonia che ancora oggi determina e misura
il tempo della politica.
In fin dei conti, le più recenti mosse di
Trump – Siria e Corea del Nord – sono i colpi di coda di una potenza
imperiale in declino che vuole riaffermare un ruolo egemone in mondo
ormai sì tendenzialmente multipolare, ma che continua periodicamente a
cercare nuovi assestamenti e nuovi equilibri: oggi, quello tra il “mare”
americano e la “terra” russa. Per dirla ancora una volta con Carl
Schmitt, dopo la crisi dello ius publicum europaeum il nuovo nomos
della terra si è spostato in Russia e oggi Vladimir Putin, per capacità
e visione strategica, è l’unico uomo politico all’altezza del tempo
storico che viviamo.
ATLANTISMO EUROPEO
La domanda fondamentale che ora dobbiamo
porci è la seguente: quale ruolo è destinata a svolgere l’Europa in
questa nuova situazione geopolitica? A partire dal secondo dopoguerra,
il Patto atlantico, con la Nato, ha collocato l’Europa in un contesto
americano. L’Unione europea non ha fatto altro che continuare nella
medesima direzione, con l’alleanza franco-tedesca a partire da
Mitterrand e Kohl. L’atlantismo rappresentò, ed ha continuato, sia pure
in forma diverse, a rappresentare il vero tratto politico comune delle
democrazie europee, l’assicurazione della loro fondamentale collocazione
geopolitica dalla parte degli Stati Uniti, e contro la Russia.
La Francia, da questo punto di vista, è
sempre stata l’anello debole: più sovranista e più europeista che
atlantista, fin da De Gaulle essa ha sempre tentato di rivendicare,
contro l’idea di un’Europa satellite delle potenze marittime (Stati
Uniti e Inghilterra), quella di un equilibrio tra alleati che garantisse
le aspirazioni francesi nazionali a una forte unità continentale.
Se oggi irrompe, nuovamente, il “Fronte
Nazionale”, è essenzialmente per la sua forza tellurica, il suo
rivendicare la terra come l’esistenza autentica di una Francia che ha da
sempre pensato se stessa come destinata a un’alleanza continentale, più
che di una sfera d’influenza extra-europea. Era stato così, come si è
detto, con De Gaulle, e il suo tentativo di fare della cooperazione
franco-tedesca l’asse con cui rendersi indipendente dai due blocchi.
Ancor prima, alla fine del XIX secolo e ai tempi del progetto della
costruzione della linea ferroviaria Parigi-Vladivostok, era stato
carezzato il sogno di un’alleanza Francia-Germania-Russia.
Questa vocazione tellurica è tornata oggi
a farsi prepotentemente sentire: Le Pen vince nelle terre francesi,
nelle province, mentre a Parigi, la capitale, i francesi non vanno più
neppure a votare.
E allora, dovremmo chiederci se la vera
contrapposizione, oggi, non sia quella tra destra e sinistra – entrambe
se ne escono con le ossa rotte dalle elezioni – ma, di nuovo, quella più
originaria tra la terra e il mare, tra le potenze telluriche e la
finanza globale. Questa è la vera sfida epocale. Da una parte, le forze
populiste, che non sono né di destra né di sinistra, ma sono le forze
legate alla terra, all’agricoltura e all’industria, al recupero di
un’idea nazionale e, insieme, delle grandi questioni sociali del nostro
tempo, a partire da quella del lavoro. Dall’altra, le élites
finanziarie, con il loro modello di sviluppo liberista fondato in Europa
su una moneta che ha solo il compito di distruggere i deboli a
vantaggio dei forti, per imporre dappertutto la forza astratta del
globalismo marittimo. Il sovranismo identitario è così diventato
l’alleato naturale di tutti coloro che contestano le devastazioni della
globalizzazione. Così sovranismo e questione sociale inevitabilmente si
intrecciano, dando luogo a una miscela esplosiva. Carl Schmitt avrebbe
detto: die konservative Revolution (la rivoluzione conservatrice) contro quella liberale.
Le Pen vuole restaurare lo Stato, le
frontiere, la voglia di comunità, il senso di appartenenza nazionale e
per farlo ha persino “ucciso” il padre, trasformando il suo partito,
mutandone sostanzialmente la natura. Macron si è inventato un partito in
due giorni, un partito privo di qualsiasi radicamento sul territorio, è
il banchiere, europeista e cosmopolita, liberale, l’uomo dei flussi
migratori e dei capitali, della casta mediatica, l’uomo d’affari per cui
l’interesse pubblico è al servizio di quello privato, un prodotto
fecondato in vitro dalle élites finanziarie per sconfiggere una donna,
la nuova Giovanna d’Arco.
CONFLITTO DEGLI ELEMENTI
Terra e mare, il conflitto degli elementi
continua. Un conflitto che oggi significa e ha preso la forma
dell’opposizione tra popoli stanziati su territori che rivendicano il
senso della loro radici e la cosmopolis “rizomatica” della società
liquida. Chi ha votato Le Pen o Mélenchon – se superiamo le ormai
obsolete contrapposizioni ideologiche tra destra e sinistra, le grandi
narrazioni del secolo scorso – ha votato per la stessa cosa e contro la
stessa cosa: per la terra, contro il mare. Per vincere Le Pen dovrà però
riuscire a dimostrare che non si vota pro o contro il Fronte Nazionale,
ma pro o contro la globalizzazione e i suoi prodotti tossici, in primis
l’euro; dovrà cioè riuscire a dimostrare che se vince lei vincono i
francesi, e potranno un domani vincere anche gli italiani, i tedeschi e
così via, se vince Macron vincono le élites finanziarie mondialiste e le
burocrazie dell’Unione europea.
La posta in gioco è altissima. La
Francia, uno Stato nazionale, può ancora spostare gli equilibri
geopolitici globali. La vittoria di Le Pen sarà una sconfitta
dell’atlantismo, del mare, e la nascita di un nuovo grande spazio:
quello tellurico euroasiatico.
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