giovedì 5 ottobre 2017

Era “ANTIFA” lo sterminatore di Las Vegas. Ma non si dice.

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Subito dopo aver fatto irruzione  nella stanza del Mandaly Bay Hotel  da cui Stephen Paddock sparava, gli uomini dello Hostage Rescue Team (Gruppo salva-ostaggi) hanno  trovato, oltre il cadavere dell’uomo che si era sparato alla testa e le decine di ami d’assalto, anche “molta letteratura Antifa”.  La notizia, diffusa inizialmente, è stata però subito censurata dai media mainstream.  Lo stesso Trump è stato istruito dai suoi gestori a ripetere che lo stragista era “un uomo molto malato”, attribuendo ad una follia senza movente la strage.
“Antifa” è l’abbreviazione gergale di “Azione Antifascista”, la galassia violenta e corpuscolare di gruppi rossi e neri (anarchici) che, da quando è stato eletto Trump, secondo loro esponente della frangia fascista della società, sono passati all’azione diretta. Picchiano, minacciano, interrompono riunioni della “destra” (altra galassia),   a cui negano con le cattive l’agibilità politica, il diritto di riunione e di parole: “Hate speech is not free speech”,  i discorsi d’odio non hanno (diritto alla ) libertà di parola, è uno dei loro slogan. Nutrono   una ideologia anarco comunista, contro le “tre oppressioni: razzismo, sessismo, capitalismo”.  Insomma si credono anti-sistema ma sono  la guardia armata del Politicamente Corretto Totale, i picchiatori del conformismo del Sistema portato al parossismo demente.
Demente non è una esagerazione. Sono Antifa i gruppi che abbattono, o fanno abbattere, le statue del generale Lee e quella del “razzista” Cristoforo Colombo – uno sforzo supremo di “pulire” la storia americana di tutto il politicamente scorretto, per farne la società purificata della  perfezione antirazzista e  anti-Alt  Right: reincarnazione  impazzita, se ci si pensa, della “città luminosa sulla collina”, dell’America come “nazione necessaria” e purificatrice del mondo.

Il contagio collettivo dell’odio

Snowflakes e black-bloc, politici e giornalisti di grido partecipano alla frenesia,   si contagiano a vicenda.  Molti psichiatri Usa hanno diagnosticato – non scherzano –  una nuova sindrome: “President Trump Stress Disorder”, caratterizzato da “angoscia, ansia, attacchi di panico” che cresce con il crescere del  caos della stessa presidenza. “A sinistra è una epidemia di malessere psicologico vera e propria”, rivelano gli psichiatri al New York DAily News:
http://www.nydailynews.com/news/politics/cope-president-trump-stress-disorder-article-1.3414933
Una sindrome che può calmarsi, temporaneamente, solo attaccando fisicamente i concittadini nemici, deplorevoli votanti per Trump o lettori di Breitbart.  Una senatrice  dello Stato del Missouri, tale Chappelle-Nadal, ha postato su Facebook il moderato auspicio: “Io spero che sia assassinato!”. Interpellata dal Secret Service (il servizio di protezione presidenziale)  s’è giustificata: “Sono molto frustrata”. Molti “Antifa” seguono l’ideologia del super-anarchico Saul Alinsky, per il quale “Lucifero è stato il primo dei radicali  rivoluzionari”.
Ora, gli spettatori del concerto country su cui Paddock ha infierito erano  – come non ha mancato di far notare compiaciuto qualche anchorman delle tv progressiste mainstream  – sicuramente elettori di “The Donald”: quindi un bersaglio legittimo per   un ossesso “antifa”.
Si capisce anche come la notizia non venga diffusa troppo.  Nella polarizzazione estrema della società americana,  già eccitata  fino alla paranoia  – non senza la complicità dei media,  che continuano a dipingere Trump come un nemico  servo della Russia –   è ritenuto più prudente non mostrare la strage di Vegas per quel che è: un fatto di guerra civile. La guerra civile americana strisciante,   o meglio corpuscolare che formicola  e polarizza   la società, salita ad un quasi inverosimile parossismo di odio reciproco.  Riconoscere l’eccidio per quel che è, infatti, promuoverebbe la “risposta” dell’opposto radicalismo,  armato anch’esso.  L’evocazione stessa della parola, “guerra civile americana”, ricorda uno dei fatti più brutali della storia  umana, dove i generali nordisti hanno sterminato non solo i sudisti ma “le donne, i bambini,  devastato i loro terreni…”.
Nei quadri di Hopper: sta per avvenire un delitto, o è appena avvenuto.
La violenza endemica della società Usa, ora giunta alla demenza, è tradizionale, come ricorda Nicolas Bonnal. “La brutalità del paese, della sua popolazione e dei suoi costumi” è la prima cosa che hanno rilevato i nuovi arrivati in America, da Tocqueville a Charles Dickens a Louis-Ferdinand Céline; oggi, alla violenza di base  si unisce “la crudeltà del controllo  della  sua polizia, che arriva ad assassinare 1200 cittadini all’anno e  ne controlla col bracciale elettronico 6 milioni (il lager elettronico non è una metafora)”, e “rinchiude 2,3 milioni di detenuti”, quasi la metà (43%) dei carcerati del mondo intero  nei soli Stati Uniti. “Negli ultimi due secoli, 34  milioni  di cittadini americani sono stati incarcerati per durate indeterminate”.

La legge di Lynch applicata al mondo

E’ il paese la cui civiltà giuridica ha dato  la giustizia popolare spiccia, chiamata legge di Lynch.
Bonnal ricorda come   nel suo Lyceum Adress  (1838), l’allora liceale Abraham Lincoln evoca  il fatto che nel Mississippi  i bravi americani han cominciato ad impiccare i giocatori d’azzardo, “professione non particolarmente utile e onesta, ma non vietata dalle leggi”; proseguito con l’impiccare i negri sospettati di insurrezione; poi impiccato i bianchi sospettati di essere d’accordo coi negri; “e infine degli stranieri, provenienti dagli stati vicini, e viaggianti per i loro affari”.
Non è in fondo la stessa legge di Lynch quella che pratica la diplomazia imperiale americana?, chiede Bonnal.  “linciaggio collettivo di presunti “stati canaglia” isolati. Si lincia l’America centrale, l’Irak, la Siria, la  Libia, la  Corea aspettando di linciare l’Iran, la Cina e la Russia”. Impossibile? Tutt’altro: “E’  la logica di questa folla di linciatori che accusano senza prove e si scaldano a vicenda con Bibbia e whisky, e poi sterminano”.
http://www.dedefensa.org/article/lincoln-et-la-barbarie-americaine
Il massacratore di Las Vegas è la figura perfetta di questa violenza totale e corpuscolare ed endemica. Suo padre, Patrick Benjamin Paddock, è stato un rapinatore violento, seriale,negli anni ’70. Il FBI, che riuscì ad arrestarlo nel 1976,  lo ha posto per qualche tempo nella lista dei dieci maggiori ricercati. Nel manifestino “wanted”, si precisa che “deve essere considerato armato e molto pericoloso”, e che è stato “diagnosticato come psicopatico con tendenze suicide”.
Papà Paddock, wanted.
Continuano i dubbi che il figlio abbia agito da solo, come un pazzo isolato nella  sua follia solitaria. Quarantacinque minuti prima della sparatoria, una donna ha gridato alla folla degli spettatori al concerto: “Morirete tutti, fottuti!.  Era, dicono i testimoni, una  donna sulla cinquantina, di tipo ispanico. La security del concerto l’ha portata fuori  di forza, insieme al suo accompagnatore. L’una e l’altra non identificati.
E’ un episodio in più della mostruosa e profondissima malattia morale che invade la società americana, e si riflette ed accelera la disgregazione  dell’impero. E’ la violenza psicopatica con cui l’impero si suicida, rivolgendo il proprio odio armato contro se stesso. Ma non senza aver  prima sparso stragi attorno a sé.

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