giovedì 16 agosto 2018

"Egli non cerca" (dallo Shodoka)

Fonte http://www.lameditazionecomevia.it/shodoka1.htm
Lo Shodoka (Il canto del risveglio) di Yoka Daishi (VII sec.) inizia con questi versi:
"Caro amico, vedi
quest'uomo saggio,
che ha smesso con la dottrina
ed è inattivo?
Egli non cerca più di reprimere
i pensieri illusori e non cerca la verità.
La vera natura della nostra ignoranza
è in realtà la natura del Buddha;
il nostro corpo vuoto e illusorio
è il corpo del Dharma.
Quando si comprende il corpo del Dharma,
non c'è più niente di fronte a noi.
La Fonte originaria,
da cui ha origine la nostra natura
è l'autentico Buddha".

Chi si attacca a una dottrina non può essere definito saggio: lui stesso ne è consapevole, in quanto cerca nella sua dottrina la verità, la cartina geografica della sua vita, le risposte alle sue innumerevoli questioni. Cosa devo fare? Vediamo cosa dice la dottrina al riguardo. Ecco, l'uomo saggio non si pone su questo sentiero. Appunto, è questo il fatto: l'uomo saggio non si pone in nessun sentiero. Il suo stesso camminare lungo il sentiero è diventato il sentiero medesimo. L'ha intrapreso, certo, e infatti c'è scritto che "ha smesso". Se ha smesso, prima aveva a che fare con una dottrina. È stato necessario, ma ora l'ha abbandonata. Ha avuto una sua funzione, ma ora è inutile, chiusa, settaria, è rischiosa: pensi di essere sulla luna e invece sei aggrappato al dito che la indica; ti dici libero e invece agisci continuamente con il vademecum sotto braccio. Misuri la realtà attraverso il metro di giudizio che ti proviene dalla tua dottrina: non vedi più la realtà, la giudichi, la sezioni, ti privi del godimento, della fruizione piena di essa.
La dottrina dice: fai questo e non fare quello. Anche in certi testi zen ci sono molte indicazioni in questa direzione. Medita in un certo modo, comportati seguendo certe regole, usa il tuo corpo con una certa disciplina, ecc. Ma si deve andare oltre: non abbiamo a che fare con un manuale di istruzioni. Per alcuni sarebbe consolante agire secondo i suggerimenti di un prontuario, ma continuerebbero a vivere sempre nella solita gabbia. Magari dorata, ma sempre gabbia. Il saggio invece è andato al di là: non c'è più esercizio, non c'è più pratica. Dire esercizio e pratica significa dire dualismo: qui c'è un esercizio e qui c'è il resto della vita; qui pratico e poi questa sera esco con gli amici. Che terribile situazione! Che faticoso impegno! Pensare che ci siano delle cose che vanno bene e altre che sono da estirpare, pensieri da pensare e pensieri da rifiutare: è tutto così illusorio. È uno zen da soldati! Da fanatici.
Il saggio supera il dualismo, anche quello tra ignoranza e saggezza, tra illusione e verità. Cercare la verità: questa è la più terribile malattia della mente di un "ricercatore spirituale". Già il nome stesso: ricercatore! Ma cosa cerchi? Non vedi? Accattone! In questo senso il saggio è inattivo: non si dà proprio alcuna pena. Non c'è più nessun obiettivo da perseguire: è presente nel qui e ora, è consapevole, è lucido. Cosa ci sarebbe da aggiungere?
È un dato di fatto: non può che essere così. Sei sei in cerca di qualcosa che chiami verità, evidentemente ritieni che ci sia qualcosa che non sia tale. E viceversa: se vedi da qualche parte illusione o ignoranza, non potrai che cercare qualche verità da altre parti. In ogni caso, sei già caduto: sei nel dualismo. Il saggio invece ha superato verità e illusione, e se non c'è più la coppia verità-illusione, c'è solo la buddhità. Già qui, già ora, nel campo dei nostri pensieri illusori - proprio quelli che qualche sprovveduto vorrebbe eliminare - c'è la natura del Buddha. Ignoranza è buddhità, illusione è dharma (la realtà-verità). È questa la (non-)via naturale. E ardua: perché siamo tutto tranne che naturali...

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