Fonte https://www.libreidee.org
Vinco perché nessuno mi nota, nessuno mi vede mai arrivare: lo dice Al Pacino al giovane Keanu Reeves nel film “L’avvocato del diavolo”. Una parte che sembra attagliarsi bene a un attore come Giuseppe Conte, fino a ieri perfettamente sconosciuto. Ma il due volte premier, prima al servizio del sovranismo-populismo gialloverde e ora prediletto dall’Ue, non era l’avvocato del popolo? Tutto si tiene, se si rilegge la storia con le lenti della pellicola di Taylor Hackford, uscita nel ‘97: puoi fare bingo, se nessuno sa veramente chi sei. Quando lo scoprono è ormai troppo tardi: siedi già a Palazzo Chigi. Da lì obbedirai ai tuoi veri padrini. Dietro a Conte, sostiene Fausto Carotenuto (già analista strategico dei servizi segreti) c’è lo stesso potentissimo club vaticano sul quale poteva contare l’eterno Giulio Andreotti, ininterrottamente in sella per mezzo secolo. Altra stoffa, certo. Ma identici mandanti? «Conte può, come Di Maio, essere interprete ed esecutore di spartiti anche opposti», scrive il giornalista della “Stampa” Jacopo Iacoboni, nel libro “L’esecuzione”, edito da Laterza. «È un Di Maio 2.0 nel momento in cui Di Maio non viene creduto più». Del resto ne ha fatta, di strada, il devoto di Padre Pio. «Partito da Volturara Appula, a Roma ha costruito un network trasversale di relazioni che spazia tra il mondo dei giuristi-grand commis dello Stato e il Vaticano».
Quando il suo nome viene ufficiosamente fatto pervenire sul tavolo di Sergio Mattarella da Di Maio e Salvini, a maggio del 2018, si avviano discreti sondaggi (non solo da parte del consigliere Ugo Zampetti) per avere qualche notizia in più su questo giurista, «che il capo dello Stato non conosce personalmente», scrive Iacoboni. Si attiva così un informale giro di pareri, «nessuno dei quali si rivelerà negativo». Viene tenuto in considerazione Giacinto Della Cananea, un altro giurista (allievo di Sabino Cassese) che Di Maio aveva messo a capo di una strana entità, il “Comitato per valutare la compatibilità del programma M5S con i programmi degli altri partiti”. I commenti provenienti dal mondo di più influenti giuristi romani pervengono a Bernardo Giorgio Mattarella, figlio del presidente della Repubblica e docente di diritto amministrativo a Siena, oltre che condirettore del master in management della pubblica amministrazione alla Luiss di Roma (dove anche Conte tiene corsi). «I rapporti accademici di questo avvocato pugliese sono, insomma, ben coltivati». Conte figura tra i relatori – ben più illustri – del forum annuale sulla strategia energetica nazionale: tra questi il consigliere di Stato Luigi Carbone, lo stesso Bernardo Giorgio Mattarella e un altro Cassese-bioy, Giulio Napolitano, figlio di Re Giorgio e professore di diritto amministrativo a Tor Vergata.
«Insomma, Conte ha un profilo pacato e ben inserito», sintetizza Iacoboni. E, ciò che più conta, «non attiva veti di nessuno sulla sua figura: è talmente poco noto e silente che non fa rumore, si muove abbastanza in sordina, non è osteggiato da influenti colleghi giuristi del Palazzo». Spiega “l’avvocato del diavolo”, nel film di Hackford, all’aitante apprendista: «Non se ne devono accorgere, che arrivi. Devi mantenere un profilo basso. Sembrare insignificante: uno stronzetto, emarginato. Sottovalutato, dal giorno della nascita». Mario Calabresi, all’epoca direttore di “Repubblica”, osserva che è singolarissima la circostanza di un uomo che arriva sulla soglia di Palazzo Chigi senza che nessuno abbia mai sentito il suo tono di voce, o sappia se è in grado di parlare in pubblico. «Conte però sa eseguire, e non è uno con la cattiva fama di voler strafare», continua Iacoboni. «L’esecuzione potrebbe aver trovato il suo uomo. Una capacità che, forse, è stata affinata fin da ragazzo tra le felpate stanze di Villa Nazareth, il collegio cattolico che aiuta i giovani studenti di famiglie non abbienti a mantenersi (anche Conte ci ha studiato, ma da non residente all’interno della struttura; per essere residenti bisognava che in famiglia entrasse un solo stipendio)».
L’Istituto Nazareth – fondato nel dopoguerra da monsignor Domenico Tardini, che dopo la morte darà il nome alla Fondazione che gestisce il centro – è un luogo simbolo del cattolicesimo democratico italiano. «Dietro i suoi cancelli, andando a ritroso, sono transitati negli anni, come professori o come ospiti, Sergio Mattarella, Romano Prodi, Oscar Luigi Scalfaro, fino ad Aldo Moro», ricorda Iacoboni. Il porporato di peso che tiene d’occhio nella sua prima formazione lo studente Conte è – guardacaso – monsignor Pietro Parolin, oggi segretario di Stato del Vaticano. «Nel corso degli anni si fa sempre più stretto il rapporto di affetto di Conte verso monsignor Parolin, un uomo che in più di una occasione – a Roma come a Washington, e all’ambasciata presso la Santa Sede – Luigi Di Maio ha incontrato e consultato, spesso nella massima riservatezza, nel processo di avvicinamento del Movimento Cinque Stelle alle stanze vaticane, e al governo». In quella fase, a metà maggio 2018, non sono in pochi, anche nel mondo cattolico romano delle più diverse ispirazioni – non solo a Villa Nazareth – a interessarsi a quel movimento «così plasmabile, malleabile, apparentemente romanizzabile», e quindi «così potenzialmente utile per tramandare l’eterna struttura, immutata, del potere temporale e spirituale della romanità».
Certo – aggiunge Iacoboni – è assai diverso il cattolicesimo di Parolin da quello del cardinale Raymond Burke, l’ultraconservatore amico di Steve Bannon, l’ex “strategist” della Casa Bianca, «anche lui di casa sia Oltretevere che nella politica italiana post-4 marzo, e in particolare nel Movimento Cinque Stelle con cui, come sappiamo, Bannon ha dichiarato di aver avuto diversi incontri». Tra parentesi: l’ideologo sovranista Bannon, massone reazionario, è stato formato alla Georgetown University di Washington, culla del potere gesuitico negli Usa. E dunque, si domanda Iacoboni: quale Vaticano sta vincendo, nel 2018, con l’insediamento del primo governo guidato dal premier Giuseppe Conte? Il Vaticano di Parolin o quello di Burke? «Chi prevale nel conflitto, che da allora diventerà endemico di questa stagione italiana: il Conte teorico del sovranismo, allineato agli interessi di Salvini e Casaleggio, o il Conte apprezzato nell’ambiente dei giuristi romani, e nel Vaticano moderato e più “politico”, il Conte che a dicembre del 2018 porta a casa – certamente incoraggiato e quasi guidato dalla presidenza della Repubblica – il negoziato con l’Europa per evitare la procedura d’infrazione, che a un certo punto il suo governo era sembrato quasi cercare?».
La figura del premier-esecutore «riassume in sé tutta l’ambiguità di questo biennio, le ombre e i poteri che si addensano e circondano l’esecuzione, e il fatto che molti segmenti istituzionali, o pezzi di centrosinistra, siano ancora convinti, o a volte semplicemente fiduciosi, di poter disarticolare il Movimento, e usarlo, assimilarlo, ricondurlo nelle spire sempre avvolgenti della romanità». E tuttavia, di nuovo: «L’esecuzione è esecuzione di cosa, e per conto di chi?». Il fine ultimo di questo intreccio così appassionante di storie e relazioni, umane e politiche, resta controverso, conclude Iacoboni nel suo libro, in commercio dal 28 marzo. «Sebbene il governo Lega-Movimento e la pulsione estremista-sovranista appaiano resistenti e tenaci, nell’autunno-inverno del 2018-2019, degli spread, del degrado dei rapporti dell’Italia con l’Unione Europea e degli editti dei Cinque Stelle contro i giornali, una cosa è certa: non tutto cambia, nel “governo del cambiamento”. Molti poteri sono all’opera per resistere immutati, cambiare tutto per non cambiare nulla o, al limite, staccare il Movimento dalla Lega». Facile profeta, Iacoboni. Il potere che ha messo Conte a Palazzo Chigi con la Lega ora si gode il Conte-bis col Pd. «Tu non mi crederesti mai un padrone dell’universo, non è vero?», domanda Al Pacino a Keanu Reeves, a cui l’anonimo e insignificante “avvocato del diavolo” svela la sua arma infallibile: «La gente non mi vede arrivare».
Nessun commento:
Posta un commento