Sto
leggendo le analisi degli editorialisti che, ora, ci spiegano con
sicurezza e spesso toni saccenti le ragioni per cui Grillo è finito.
Sottolineo: ora. Come sempre accade in Italia si è cortigiani con i
vincenti e spietati con i perdenti. Quelli che oggi impartiscono lezioni
a Grillo sono gli stessi che hanno ignorato e poi sottovalutato la sua
strepitosa ascesa. Ma tant’è, non è la prima volta. Veniamo al punto. Le
ragioni per cui il “Movimento 5 Stelle” è entrato verosimilmente nella
parabola finale del suo percorso politico, con scarsissime possibilità
di riscatto, sono legate essenzialmente a errori di comunicazione, il
che è paradossale per uno che sulla comunicazione ha costruito la
propria carriera artistica e poi quella politica.
Quando Grillo volava nei sondaggi mi sono chiesto più volte per quale
ragione incontrasse poca resistenza dall’establishment. Sì, certo, per
mesi, anzi anni, i media
tradizionali lo hanno ignorato, ma la coltre del silenzio non bastò a
neutralizzarlo perché Grillo (assieme a Casaleggio) raggiungeva il suo popolo via Internet.
Poi c’è stata la fase in cui i media
rincorrevano Grillo e ne parlavano male, ma il leader del M5S usò molto
abilmente questa popolarità indotta, usando le tv, che erano costrette a
trasmettere i suoi interventi, pur continuando a delegittimare e a
criticare pesantemente le tv. Il fatto di negarsi ai talk show faceva
salire le sue quotazioni mediatiche. Grillo e Casaleggio, come scrissi
più volte su questo blog, furono bravissimi nel cavalcare l’onda.
Risultato: una copertura mediatica fantastica, in cui alla mobilitazione
tramite la Rete si aggiunse l’effetto propagatorio di radio, giornali e
soprattutto tv che permise al M5S di raggiungere il 25% alle elezioni
di inizio 2013. Ma poi sono iniziati i guai. Un leader accorto deve
sapere quando è il momento di togliere il piede dall’acceleratore,
quando la capacità di gestione deve prevalere sulla costruzione del
successo. Bisogna saper cambiare i toni, mantenendo la tensione ideale
tra i militanti della base; occorre perseguire obiettivi di lungo
periodo mantenendo alta l’attenzione nel breve, partecipando ai
dibattiti d’attualità ma senza farsi travolgere, dunque tenendo sempre
ben presente a quale pubblico ci si rivolge e cosa bisogna dire per
ampliare il consenso.
E’
un’arte quasi scientifica che presuppone self control, un partito ben
inquadrato, squadre compatte, capacità di modulare i toni, analisi
sociologiche mirate, capacità di programmazione. E invece Grillo ha
fatto l’opposto. Ha continuano a gridare come quando non aveva il 25%
dei consensi, non ha costruito una classe dirigente capace di
assecondarlo; non solo: ha perso chiaramente la testa procedendo a
espulsioni che hanno spaventato e definitivamente allontanato la
stragrande maggioranza dell’elettorato. Deputati e senatori si sono
dimostrati inadeguati, un gruppo eterogeneo e piuttosto modesto; certo
non una squadra compatta. Aggiungete gli sbandamenti nella
comunicazione, con l’improvviso e mal motivato sdoganamento delle
apparizioni in tv, che ha disorientato i suoi sostenitori, o i
trattamenti riservati al portavoce Claudio Messora e le giravolte
programmatiche, tra cui senz’altro la più clamorosa quella sull’euro, e il quadro è completo.
Insomma
abbiamo assistito a un processo di auto-distruzione che verosimilmente è
irreversibile. Sarei meravigliato se Grillo riuscisse a recuperare il
consenso perduto, mentre il rischio che finisca come Di Pietro o Vendola
è sempre più concreto. E ora capisco perché l’establishment lo abbia
lasciato scorrazzare, anche nei momenti in cui la spinta dei grillino
sembrava irresistibile. Evidentemente speculava sull’incapacità di
Grillo e Casaleggio di trasformarsi in forza politica
consolidata. Sapeva che i due si sarebbero fatti del male da soli. E ha
avuto ragione. E’ la stessa strategia – condita da attacchi alla
personalità, peraltro iniziati subito dopo la vittoria della Lega in
Emilia Romagna – che l’establishment riserverà all’unico politico in
grado di raccogliere e raggruppare l’ampio popolo
degli scontenti: Matteo Salvini. Chissà se il leader della Lega avrà la
forza, il coraggio e soprattutto la saggezza di non commettere gli
stessi errori di Grillo.
(Marcello
Foa, “Grillo s’è suicidato, Salvini avrà imparato la lezione?”, dal
blog di Foa su “Il Giornale” del 30 novembre 2014).
Sto leggendo le analisi degli editorialisti che, ora, ci spiegano con
sicurezza e spesso toni saccenti le ragioni per cui Grillo è finito.
Sottolineo: ora. Come sempre accade in Italia si è cortigiani con i
vincenti e spietati con i perdenti. Quelli che oggi impartiscono lezioni
a Grillo sono gli stessi che hanno ignorato e poi sottovalutato la sua
strepitosa ascesa. Ma tant’è, non è la prima volta. Veniamo al punto. Le
ragioni per cui il “Movimento 5 Stelle” è entrato verosimilmente nella
parabola finale del suo percorso politico, con scarsissime possibilità
di riscatto, sono legate essenzialmente a errori di comunicazione, il
che è paradossale per uno che sulla comunicazione ha costruito la
propria carriera artistica e poi quella politica.
Quando Grillo volava nei sondaggi mi sono chiesto più volte per quale
ragione incontrasse poca resistenza dall’establishment. Sì, certo, per
mesi, anzi anni, i media
tradizionali lo hanno ignorato, ma la coltre del silenzio non bastò a
neutralizzarlo perché Grillo (assieme a Casaleggio) raggiungeva il suo popolo via Internet.Poi c’è stata la fase in cui i media rincorrevano Grillo e ne parlavano male, ma il leader del M5S usò molto abilmente questa popolarità indotta, usando le tv, che erano costrette a trasmettere i suoi interventi, pur continuando a delegittimare e a criticare pesantemente le tv. Il fatto di negarsi ai talk show faceva salire le sue quotazioni mediatiche. Grillo e Casaleggio, come scrissi più volte su questo blog, furono bravissimi nel cavalcare l’onda. Risultato: una copertura mediatica fantastica, in cui alla mobilitazione tramite la Rete si aggiunse l’effetto propagatorio di radio, giornali e soprattutto tv che permise al M5S di raggiungere il 25% alle elezioni di inizio 2013. Ma poi sono iniziati i guai. Un leader accorto deve sapere quando è il momento di togliere il piede dall’acceleratore, quando la capacità di gestione deve prevalere sulla costruzione del successo. Bisogna saper cambiare i toni, mantenendo la tensione ideale tra i militanti della base; occorre perseguire obiettivi di lungo periodo mantenendo alta l’attenzione nel breve, partecipando ai dibattiti d’attualità ma senza farsi travolgere, dunque tenendo sempre ben presente a quale pubblico ci si rivolge e cosa bisogna dire per ampliare il consenso.
E’ un’arte quasi scientifica che presuppone self control, un partito ben inquadrato, squadre compatte, capacità di modulare i toni, analisi sociologiche mirate, capacità di programmazione. E invece Grillo ha fatto l’opposto. Ha continuano a gridare come quando non aveva il 25% dei consensi, non ha costruito una classe dirigente capace di assecondarlo; non solo: ha perso chiaramente la testa procedendo a espulsioni che hanno spaventato e definitivamente allontanato la stragrande maggioranza dell’elettorato. Deputati e senatori si sono dimostrati inadeguati, un gruppo eterogeneo e piuttosto modesto; certo non una squadra compatta. Aggiungete gli sbandamenti nella comunicazione, con l’improvviso e mal motivato sdoganamento delle apparizioni in tv, che ha disorientato i suoi sostenitori, o i trattamenti riservati al portavoce Claudio Messora e le giravolte programmatiche, tra cui senz’altro la più clamorosa quella sull’euro, e il quadro è completo.
Insomma abbiamo assistito a un processo di auto-distruzione che verosimilmente è irreversibile. Sarei meravigliato se Grillo riuscisse a recuperare il consenso perduto, mentre il rischio che finisca come Di Pietro o Vendola è sempre più concreto. E ora capisco perché l’establishment lo abbia lasciato scorrazzare, anche nei momenti in cui la spinta dei grillino sembrava irresistibile. Evidentemente speculava sull’incapacità di Grillo e Casaleggio di trasformarsi in forza politica consolidata. Sapeva che i due si sarebbero fatti del male da soli. E ha avuto ragione. E’ la stessa strategia – condita da attacchi alla personalità, peraltro iniziati subito dopo la vittoria della Lega in Emilia Romagna – che l’establishment riserverà all’unico politico in grado di raccogliere e raggruppare l’ampio popolo degli scontenti: Matteo Salvini. Chissà se il leader della Lega avrà la forza, il coraggio e soprattutto la saggezza di non commettere gli stessi errori di Grillo.
(Marcello Foa, “Grillo s’è suicidato, Salvini avrà imparato la lezione?”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 30 novembre 2014).
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