Fonte questo interessantissimo blog https://ciboprossimo.wordpress.com
Abbiamo creato un’economia che dà la ricchezza che produciamo, sempre di più, ad un numero sempre più piccolo di persone: così diceva Rob Hopkins durante la presentazione del bando delle “Comunità Resilienti” della Fondazione Cariplo. Ero presente e sono andato a ricercare nell’intera registrazione video le quattro slides che mi avevamo colpito maggiormente: quelle che secondo me centrano il vero problema che va combattuto.
Il 97% di tutto il cibo fresco che compriamo nel Regno Unito è venduto attraverso gli 8000 supermercati. Negli anni 60 questo rappresentava solo il 10%.
Uno studio fatto a New Orleans confronta due diversi tipi di negozi. Da un lato abbiamo un punto vendita di una catena distributiva che produce un ricavato di 50 milioni di dollari all’anno e provoca un indotto nell’economia locale di soli 8 milioni di dollari. Nell’altro caso abbiamo un sacco di piccoli negozietti di famiglia, che occupano più o meno lo stesso spazio, che generano circa 105 milioni di dollari di ricavo lasciando 34 milioni di dollari alla comunità locale. Gli introiti restano locali. Questa è la sfida fondamentale: fare in modo che il riciclo del denaro resti locale.
Questo è il Mercado de la Esperanza, si trova a Santander in Spagna, ed è un mercato coperto dove vendono di tutto dal pane alla frutta. Vendono alimenti in generale, anche il pesce. Quelli inglesi sono tutti scomparsi. Nel regno Unito questi shopping center sono diventati supermercati. Il mercato spagnolo dà da vivere a molte famiglie: questa è una forma di sussistenza, di resilienza.
Questa non è la stessa cosa. E’ un camion di Tesco, la grossa catena di supermercati inglesi, che ha un nuovo logo. “Ci piace fare shopping localmente”. In realtà vuol dire, “a noi piace che voi facciate shopping nel nostro supermercato dove realmente non troverete nulla che sia prodotto localmente”. Come vedete non è esattamente la stessa cosa.
Infatti mano a mano che diventiamo sempre più dipendenti da questa economia, rappresentata al 97% da questi negozi e distributori, trovate sempre meno prodotti locali ma solo prodotti che appartengono ad numero sempre più piccolo di aziende globali.
Questo non l’ha detto Hopkins alla conferenza, ma in qualche maniera ne ribadisce il concetto. In Svizzera nei supermercati stanno vendendo anche prodotti locali e all’ingresso mostrano le facce dei produttori. E’ un buon primo passo, ma bisognerebbe conoscere però l’incidenza del locale sul globale, per capire se non è solo un’operazione di facciata.
Approfondite leggendo l’interessante rapporto di Oxfam Italia dedicato a questi temi, oppure giocate a Scopri Il Marchio sempre fatto da loro per sensibilizzare le persone sulla concentrazione delle industrie nel settore agroalimentare.
Lo studio utilizzato da Hopkins lo trovate citato in questo lungo elenco di studi analoghi, tutti molto interessanti, dove viene analizzata la reddittività per la comunità locale contrapponendo strutture globali a strutture locali: insomma il consiglio è compra locale.
Abbiamo creato un’economia che dà la ricchezza che produciamo, sempre di più, ad un numero sempre più piccolo di persone: così diceva Rob Hopkins durante la presentazione del bando delle “Comunità Resilienti” della Fondazione Cariplo. Ero presente e sono andato a ricercare nell’intera registrazione video le quattro slides che mi avevamo colpito maggiormente: quelle che secondo me centrano il vero problema che va combattuto.
Il 97% di tutto il cibo fresco che compriamo nel Regno Unito è venduto attraverso gli 8000 supermercati. Negli anni 60 questo rappresentava solo il 10%.
Uno studio fatto a New Orleans confronta due diversi tipi di negozi. Da un lato abbiamo un punto vendita di una catena distributiva che produce un ricavato di 50 milioni di dollari all’anno e provoca un indotto nell’economia locale di soli 8 milioni di dollari. Nell’altro caso abbiamo un sacco di piccoli negozietti di famiglia, che occupano più o meno lo stesso spazio, che generano circa 105 milioni di dollari di ricavo lasciando 34 milioni di dollari alla comunità locale. Gli introiti restano locali. Questa è la sfida fondamentale: fare in modo che il riciclo del denaro resti locale.
Questo è il Mercado de la Esperanza, si trova a Santander in Spagna, ed è un mercato coperto dove vendono di tutto dal pane alla frutta. Vendono alimenti in generale, anche il pesce. Quelli inglesi sono tutti scomparsi. Nel regno Unito questi shopping center sono diventati supermercati. Il mercato spagnolo dà da vivere a molte famiglie: questa è una forma di sussistenza, di resilienza.
Questa non è la stessa cosa. E’ un camion di Tesco, la grossa catena di supermercati inglesi, che ha un nuovo logo. “Ci piace fare shopping localmente”. In realtà vuol dire, “a noi piace che voi facciate shopping nel nostro supermercato dove realmente non troverete nulla che sia prodotto localmente”. Come vedete non è esattamente la stessa cosa.
Infatti mano a mano che diventiamo sempre più dipendenti da questa economia, rappresentata al 97% da questi negozi e distributori, trovate sempre meno prodotti locali ma solo prodotti che appartengono ad numero sempre più piccolo di aziende globali.
Questo non l’ha detto Hopkins alla conferenza, ma in qualche maniera ne ribadisce il concetto. In Svizzera nei supermercati stanno vendendo anche prodotti locali e all’ingresso mostrano le facce dei produttori. E’ un buon primo passo, ma bisognerebbe conoscere però l’incidenza del locale sul globale, per capire se non è solo un’operazione di facciata.
Approfondite leggendo l’interessante rapporto di Oxfam Italia dedicato a questi temi, oppure giocate a Scopri Il Marchio sempre fatto da loro per sensibilizzare le persone sulla concentrazione delle industrie nel settore agroalimentare.
Lo studio utilizzato da Hopkins lo trovate citato in questo lungo elenco di studi analoghi, tutti molto interessanti, dove viene analizzata la reddittività per la comunità locale contrapponendo strutture globali a strutture locali: insomma il consiglio è compra locale.
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