Non sono assolutamente razzista,ma i media italiani a mio avviso sono razzisti , nei confronti degli italiani
Fermo, 7 lug – L’Italia è scossa dall’omicidio di Emmanuel Chidi Namdi, il rifugiato nigeriano ucciso da Amedeo Mancini, un “ultrà” fermano. Dal mondo politico e mediatico si levano grida di dolore, moniti, richieste di aggravanti. Renzi è volato immediatamente a Fermo “contro l’odio e la violenza” e per dimostrare la vicinanza del Governo a “don Vinicio e le istituzioni locali”. Alfano si è fiondato a Fermo pure lui, per presiedere il Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza invocando a gran voce “l’aggravante di razzismo” per l’aggressore. La Boschi già parla di Emmanuel vittima “dell’odio razzista” e ci invita tutti quanti a “restare umani”. Sulle dichiarazioni della Boldrini soprassediamo. Colpiscono anche le prime pagine di tutti i principali quotidiani, le aperture dei telegiornali, che ci spiegano come un povero richiedente asilo sia stato barbaramente ucciso da un “ultrà razzista sottoposto anche a Daspo”, solo perché aveva osato difendere la propria moglie dopo aver subito un insulto razzista.
La condanna è unanime e scontata, mentre sui media si parla di “ricostruzione confusa o discordante dei fatti”, nonostante l’unico testimone oculare, Pisana Bacchetti, la donna che ha assistitio alla scena e per prima ha chiamato la polizia, raccontando tutto quanto agli inquirenti, parli chiaramente di un’aggressione perpetrata dai coniugi nigeriani armati di un palo contro il fermano, la cui colpa e sfortuna sarebbe stata quella di aver risposto all’aggressione con un pugno, causando la morte del richiedente asilo. Ma qui è chiaro che la dinamica dei fatti passa in secondo piano, mentre la strumentalizzione ideologica è lampante. A partire dalle categorie: da una parte un povero richiedente asilo, buon cristiano, sposato, ospitato da una struttura ecclesiastica, che avendo subito (forse) l’insulto più grave, quello di razzismo, è autorizzato a difendere l’onore della moglie, anche sradicando un palo e tentando di ammazzare l’uomo che lo aveva offeso, in ogni caso sarà sempre vittima. Dall’altra invece c’è il cattivo perfetto: italiano, “razzista”, ultrà già punito con un Daspo, autore probabilmente di un brutto insulto, a causa del quale non è concesso difendersi da due nigeriani che tentano di ammazzarlo con un palo.
E soprattutto in questo caso la questione diventa politica e “sistemica”: le istituzioni e i media sono là per condannare il razzismo e sostenere ideologicamente l’immigrazione, non si tratta più di un fatto contingente. Dinamica di sistema che invece non si innesca quando a subire aggressioni simili sono gli italiani da parte di immigrati e richiedenti asilo. Potremmo citare decine di casi, ma basti pensare ai casi del ghanese Kabobo che uccise a picconate tre passanti, continuando con i due pensionati di Palagonia barbaramente ammazzati da un ivoriano ospite del Cara di Mineo (dove Renzi si limitò a dire “quello dei clandestini è un tema delicato”), arrivando allo sgozzamento in pieno centro a Terni del 27enne David Raggi da parte di un marocchino, richiedente asilo e già espulso nel 2007.
Proprio l’uccisione del ragazzo ternano avvenuta nel marzo del 2015, se confrontata con l’omicidio di Fermo, rappresenta perfettamente i due pesi e i due misure operati da stampa e governo in questi casi. Per David Raggi non ci furono aperture di telegiornali, non si scomodarono Renzi e Alfano che a Terni non si recarono mai. Anzi, la famiglia di Raggi citò anche in giudizio il premier e il ministro dell’Interno, a causa di un mandato di espulsione mai diventato realtà. Perché ad uccidere Emmanuel Namdi è stato il razzismo, ma ad uccidere David Raggi non è stata l’immigrazione. Perché la vera strumentalizzazione è quella del pensiero unico dell’accoglienza a tutti i costi, non certo quella di qualche giornale di secondo piano o di qualche “leader populista” che tenta invano di difendere gli italiani. La realtà è che Fermo è più importante di Terni, e che la vita di un richiedente asilo vale più di quella di un nostro connazionale.
Davide Di Stefano
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