Visto da vicino, Yanis Varoufakis convince. Ho avuto il privilegio di intervistarlo pubblicamente a Lugano e poi di trascorrere alcune ore assieme a lui. E mi ha fatto un’eccellente impressione. Mi verrebbe dire che è un greco tutto d’un pezzo, uno spirito libero, capace di rompere gli schemi e di andare oltre le barriere ideologiche. Varoufakis ha presieduto il ministero delle Finanze di Atene per cinque mesi, durante i quali ha lasciato il segno.
Di solito un politico approfitta di ruoli così alti per costruire ulteriori avanzamenti. Lui, no; non aveva mire di carriera ad Atene né a Bruxelles. Di solito un politico ha debiti di riconoscenza verso sponsor o lobby economiche. Lui, no; dunque poteva permettersi di dire quel che pensava e di difendere davvero gli interessi del proprio Paese o almeno di provarci.
E’ un pensatore fuori dagli schemi anche nell’approccio economico: è di sinistra ma al governo si è battuto come un leone per tentare di impedire l’inasprimento delle tasse sulle società, nella consapevolezza che la Grecia non si sarebbe mai ripresa se le aziende non fossero state indotte a investire e a credere nel Paese.
Ma a impressionarmi è stata soprattutto la descrizione del Potere europeo vissuto da vicino. Altro che democrazia! Altro che libertà! Altro che, ancora una volta, sovranità! E’ molto peggio di quanto si intuisce da fuori.
Un ministro delle Finanze di un Paese Ue soggetto alle “attenzioni” di Bruxelles ha la facoltà di cambiare ben poco, in compenso è chiamato ad obbedire spesso. Non al popolo, ma alla Ue o alla Bce o al Fondo monetario o ai tre assieme. Diciamola tutta: è quasi impotente, ma non può ammetterlo pubblicamente, per orgoglio personale e per ovvi motivi di opportunità. Varoufakis questo coraggio lo ha avuto. Ed è un miracolo che abbia resistito cinque mesi.
Già, perché all’Unione europea sono bastate 72 ore per fargli capire chi comandava davvero. Tre giorni dopo la sua nomina a ministro, il presidente dell’Eurogruppo con fare brusco gli ha intimato: o accetti tutte le nostre condizioni o chiudiamo le banche greche. Come avvenuto due anni prima a Cipro. Varoufakis si è rifiutato ma ben presto si è accorto che i nemici non erano solo a Bruxelles, ma anche in casa, nel suo ministero. Funzionari, che riferivano alla Troika quel che lui faceva. Sì, spie o se, preferite, traditori. Invisibili. Oltre a interi dipartimenti commissariati dagli “esperti” stranieri che di lui – ovvero del ministro eletto dal popolo – semplicemente si infischiavano.
Pensate che negli altri Paesi europei sia diverso? Gli Stati si controllano occupando i gangli vitali nei ministeri, nei tribunali, nella Banca centrale, nei grandi enti sovranazionali, laddove l’influenza di alti funzionari, quasi sempre sconosciuti al pubblico, risulta superiore anche a quella di un premier. Non dimenticatelo.
Varoufakis mi è simpatico perché, da vero combattente, ha cercato di aggirare l’invisibile dittatura. Aveva un piano B per garantire la liquidità all’economia reale nel caso, poi verificatosi, che la Bce avesse deciso di tagliare la liquidità alla Grecia ma per riuscirci doveva impossessarsi del sistema informatico fiscale, che – udite udite – era controllato dai funzionari europei. E allora affidò a un team segreto composto di sole cinque persone il compito di “crackarlo” ovvero di riappropriarsi dei codici. Per intenderci: è come se l’Agenzia delle Entrate rispondesse a Bruxelles anziché a Roma. E c’era persino riuscito ma, Tsipras bloccò tutto.
Mi è simpatico anche perché, pur rimanendo un convinto europeista, si interroga sull’uscita dall’euro con onestà intellettuale e fornendo validi motivi di riflessione a chi sostiene l’exit. Pensa che nonostante tutto si debba restare nella moneta unica, non fosse che per ragioni pratiche. Com’è possibile organizzare l’uscita dalla moneta unica se i funzionari che dovrebbero implementarla rispondono a Bruxelles prima ancora che al proprio Paese? Com’è possibile mantenere segreto un processo che solo per la stampa e per la distribuzione delle banconote e delle monete richiede almeno un anno di tempo? Ha ammesso che se la Grecia uscisse, dopo due anni l’economia tornerebbe a crescere ma è consapevole che nel frattempo dovrebbe affrontare un vero e proprio tsunami finanziario, causato dalla repentina violenza dei movimenti dei mercati, che avrebbe conseguenze umanitarie insostenibili per una Grecia già oggi ridotta a pelle ed ossa dalle “cure” della Troika.
E mi è simpatico perché ritiene da un lato che anche la Germania stia segando l’albero su cui è seduta, continuando ad accumulare insostenibili surplus commerciali (Bagnai docet), e dall’altro perché vede con chiarezza il disastro prossimo venturo. Se si va vanti di questo passo, tutta l’impalcatura europea crollerà. A meno che …
Ed è qui che il pragmatico Varoufakis lascia spazio al pensatore e forse all’utopista. Pensa che sia possibile convincere i tedeschi a cambiare le regole di Maastricht e di Lisbona, vetuste e infondate ; ritiene che la Grande Macchina Europea possa virare dolcemente abbandonando la strada che porta al precipizio. Come se a far da contraltare a una Germania sempre più potente e rigida ci fossero davvero degli statisti. E invece abbiamo gli Hollande e i Renzi e gli Juncker. E ci sono milioni di cittadini che non ne possono più dell’austerità.
E che non credono più a questa Europa.
E che non credono più a questa Europa.
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