di GIANLUCA BALDINI (FSI Pescara)
Anni fa conobbi Saïd.
Veniva dal Marocco, aveva il viso
angelico di un bambino, la voce squillante, gli occhi grandi e tondi che
quasi la sua testolina non li conteneva. Carnagione olivastra da
fototipo magrebino, capelli corti ricci neri come il petrolio. La sera
stavamo insieme, gli offrivo spesso da mangiare e da bere. Adorava il
panino con la frittata e lo mandava giù alla velocità della luce con una
lattina di Coca Cola. Saïd mi inteneriva solo a guardarlo, piccolo,
implume e innocuo. Poco dopo scoprii che aveva qualche anno più di di
me, ma continuavo a trattarlo come un cuginetto da accudire. Mi raccontò
la sua storia, un film drammatico che ambiva a concludersi con un lieto
fine. Saïd aveva raggiunto l’Europa illegalmente dalla Spagna,
viaggiando in un vano sotto il semirimorchio di un camion. Un viaggio
attaccato alla vita con l’asfalto che correva sotto a cento all’ora. Mi
diceva di essere ospite di alcuni ragazzi che lo avevano aiutato una
volta raggiunta l’Italia in un appartamento vicino lo stadio, che però
non volle mai farmi vedere. Passò da Roma e si ritrovò a Pescara per
puro caso, nel suo vagare senza meta. Saïd le giornate le passava per
strada, con gli altri diseredati nordafricani che bazzicano la stazione.
Non passò molto tempo, forse un paio di mesi, prima di iniziare ad
assistere alla sua trasformazione. La strada è una scuola di vita, dove
non esistono i compiti in classe, i voti, gli esami. Si affrontano prove
ben più faticose e rischiose. O sopravvivi, o muori. Questo è il metro
di valutazione. Sono certo che Saïd volesse sopravvivere e che, se
avesse potuto, avrebbe scelto un’altra strada. Fatto sta che di lì a
poco mi avrebbe incrociato per strada ignorandomi, con gli occhi
sbarrati e iniettati di sangue e la camminata dinoccolata strafottente
da ras del quartiere. Avevo capito tutto. Una sera lo incontrati col suo
gruppo di “amici” e lo avvicinai per salutarlo e chiedergli come
andasse. Mi rispose “sciao belo, fumo, coca…?”. Il “lieto fine” di
questa storia purtroppo si è consumato nel carcere di San Donato. Non ho
più saputo nulla di Saïd e francamente non ci ho neanche più pensato,
sono passati più dieci anni ormai.
Stamattina però mi è tornato in mente
Saïd. L’ho rivisto negli occhi di Samuel, un ragazzo nigeriano che è
arrivato un mese fa in città. Aspetta seduto su una cassetta della
frutta rotta all’ingresso di un noto bar del centro dove vado a fare
colazione ogni mattina. Samuel sembra un angelo, come Saïd. Ha un viso
delicato e lo sguardo che parla da solo. Le sofferenze e la voglia di
riscatto gliele leggi negli occhi. Sembra un bambinone, ma ha poco più
di vent’anni. Quando lo incrocio gli chiedo se vuole fare colazione.
Solo la prima volta ha accettato di buon grado, ma ormai mi dice sempre
che ha già fatto, così all’uscita gli lascio due euro. “Dio ti benedica,
grazie, buona giornata”. Per due euro, Cristo! “Dio ti benedica”.
Perché per lui due euro sono oro. La sofferenza e la marginalità ti
portano ad accettare tutto, a sopravvivere di fronte alle difficoltà e
ad accogliere qualsivoglia tipo di aiuto come una benedizione dal cielo.
Quanto durerà? Quanto tempo passerà prima che questo bambinone faccia
la fine dell’amico venuto dal Marocco? La delinquenza nigeriana non ha
nulla da invidiare alle altre. Molte prostitute di colore sono nigeriane
e sappiamo che vengono portate qui con la promessa del paradiso e poi
finiscono per strada sfruttate e ricattate con rituali voodoo, perché i
nigeriani sono per lo più animisti e credono nella magia nera. Gli
sfruttatori nigeriani sono i più efferati, arrivano a praticare
mutilazioni e vessazioni di ogni tipo. E, benché specializzati nel
mercato del sesso a pagamento, non disdegnano il business della droga.
Quando Samuel verrà avvicinato da questi bastardi subumani sarà troppo
tardi anche per lui, ma certe storie sono tutte uguali, dall’incipit al
finale. Se vivi per strada, tra l’altro in un paese straniero, la lotta
per la sopravvivenza ti porta a fare scelte che non avresti mai voluto
fare. È inevitabile.
Ecco perché dico che l’accoglientismo
scriteriato, le porte aperte a tutti, il mondo senza frontiere, la
fratellanza universale… sono belle parole per descrivere un inferno
senza fine. Samuel, che è un angelo, probabilmente farà una brutta fine.
La sua storia sarà strumentalizzata per alimentare il razzismo più
becero. L’intolleranza monterà fino al limite dell’odio sociale, mentre
aumenteranno sempre di più i casi di giovani bravi ragazzi stranieri
assoldati dai peggiori criminali loro connazionali.
Contemporaneamente gli italiani che
vivono condizioni di marginalità si sentiranno depredati delle risorse
che spetterebbero loro, perché nell’attuale sistema economico, in regime
di pareggio di bilancio, le risorse destinate a un utilizzo sono
sottratte ad altro. I quattro miliardi di euro l’anno impiegati per la
gestione dei migranti (cui l’UE aggiunge una miseria, 90 milioni) sono
risorse che potrebbero essere destinate per esempio all’edilizia
residenziale pubblica per coprire l’emergenza abitativa di quanti
risiedono in italia (italiani e immigrati regolari) e non hanno alloggi
disponibili.
In questa guerra tra poveri perdono
tutti. I migranti, utilizzati per alimentare un business e sbattuti da
una parte all’altra senza garanzia alcuna sulla fine che faranno. Gli
immigrati regolari che risiedono e lavorano in Italia, che pagano con la
diffidenza o anche l’odio sociale le politiche di importazione di
uomini che stanno generando tensioni crescenti. Gli italiani più poveri,
che si sentono saccheggiati dallo straniero e nei quali viene dunque
inoculato il virus del razzismo.
Per capire chi desidera tutto ciò,
fatevi una domanda: se tutte queste categorie di persone, che
costituiscono le fasce deboli, ci perdono, chi ci guadagna?
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