lunedì 1 febbraio 2021

Semplicità

 

di Sister Ajahn Sundara

© Ass. Santacittarama, 2010. Tutti i diritti sono riservati.
SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Tradotto da Gabriella De Franchis
Tratto dal libro “Freeing the heart”, reperibile dal sito www.amaravati.org.

 

L’ESPERIENZA DEL PERIODO TRASCORSO IN THAILANDIA, durante il quale ho praticato la meditazione abbastanza intensamente, mi ha insegnato molto. Per quasi due anni e mezzo ho avuto la possibilità di fare parte di una cultura che ha una visione della vita molto diversa dalla nostra e, vivendo in quel contesto, ho potuto rendermi conto di quanto la mia mente fosse condizionata dai valori occidentali, da preconcetti, pregiudizi e arroganza.

All’inizio molti elementi di quella cultura mi erano completamente estranei: c’erano molte cose per me impossibili da comprendere. Ma già prima che arrivasse il momento di partire mi sentivo come a casa. Così mi farebbe piacere condividere con voi alcuni aspetti di questo periodo trascorso in quel meraviglioso paese.

Nella zona rurale dove si trova il monastero gli abitanti sono prevalentemente contadini; gente semplice che vive una vita semplice. Al contrario di noi, non sembrano pieni di problemi psicologici o di crisi esistenziali. La loro vita gravita attorno a bisogni immediati, come il cibo e il sonno, ai semplici piaceri della vita e a come superare la giornata. I Tailandesi si sanno proprio divertire!

Quando incontrai per la prima volta il mio maestro, Ajahn Anan, egli mi chiese come procedeva la mia pratica. Io gli dissi che uno dei motivi per i quali mi trovavo in Thailandia era quello di avere l’opportunità di continuare a svilupparla. Poi mi chiese se avessi incontrato difficoltà, così gli raccontai come avevo praticato e come mi sentivo in quel periodo.

Fu straordinario! Mentre stavo parlando ebbi la sensazione improvvisa di avere un solido specchio di fronte a me e di vedere questo ‘Io’, che ripeteva la solita scena con sagaci argomentazioni, diventare improvvisamente una grande nuvola di proliferazioni! Fu un’intuizione meravigliosa. Con chiunque altro mi sarei sentita offesa o avrei pensato di non essere presa seriamente, ma con lui provai un grande senso di sollievo: forse perché era solo se stesso e profondamente tranquillo.

Il modo in cui i tailandesi si avvicinano agli insegnamenti e a se stessi è fortemente influenzato dalla dottrina buddhista e dalla sua psicologia. Anche la loro lingua di tutti i giorni è ricca di parole Pali. Ricordo di avere notato che il modo in cui essi parlano della mente/cuore a noi potrebbe sembrare alquanto freddo. Quando attraversavamo periodi di grandi sofferenze, di paure o ricordi dolorosi, il maestro ci diceva soltanto: “Bene, si tratta solo di kilesa (stati mentali non salutari)” oppure “Il tuo cuore non è felice?”

Stranamente, cose simili dette in quel contesto, ridimensionavano totalmente l’abitudine di pensare a cose come: “‘Io’ che ho un’enorme problema che deve essere risolto.” E poi c’era sempre questo specchio solido e compassionevole, che rifletteva. Chiunque altro avesse detto che i miei ‘problemi’ derivavano semplicemente dal fatto che mi sentivo infelice, mi avrebbe fatto veramente seccare e mi sarei sentita ignorata, ma con Ajahn Anan, nel quale credevo molto, ero capace di vedere il modo in cui lavorava la mia mente e di abbandonare la confusione. Le domande: “Che cosa sta succedendo? Il tuo cuore è infelice?”, mi riportavano al momento presente.

L’atmosfera del villaggio, situato in una incantevole foresta sul versante di una montagna, era molto tranquilla e in quel periodo non succedeva niente di particolare. Era un luogo semplice, calmo e isolato, e non c’era molto da fare durante la giornata tranne che ricevere l’elemosina del cibo, mangiare e spazzare il proprio sentiero per mezz’ora circa. Tutto qui. Nel tempo che restava potevamo dedicarci alla pratica formale. La mia mente si calmò molto.

Attraverso queste esperienze ho imparato ad apprezzare la semplicità e la mente quando si trova in uno stato di normalità: quando non crea problemi sul modo di essere delle cose. Non sto dicendo che quest’approccio, apparentemente semplice e diretto, nei confronti della mente, sia giusto o sbagliato, ma ho notato che praticare in quell’ambiente e in quella cultura per due anni, ha avuto un effetto potente. Mi ha aiutato a smettere di continuare a creare la mia persona e questo è stato un atto alquanto liberatorio. Quando la mente si calmava potevo vedere con molta chiarezza questo senso dell’‘Io’, la persona, ogni volta che sorgeva.

Se riusciamo a deprogrammarci, non si tratta di diventare zombie o fantasmi, ma di agire nella consapevolezza costante che stiamo vivendo un...