martedì 27 novembre 2018

Francia, giubbotti gialli: “nazionalismo” contro “sovranismo”

Fonte https://scenarieconomici.it
Dopo una settimana di proteste, i gilets jaunes, come volevasi dimostrare, stanno ancora manifestando oggi in tutto il paese. E non si fermeranno. Fanno sul serio. Hanno creato un movimento. Le loro rivendicazioni? Meno tasse e via Macron. Qualcuno parla di tornare alle urne.

Alcuni sindacati di polizia si sono schierati con il popolo, dichiarando il loro imbarazzo per le azioni di repressione che alcuni di loro sono stati portati a compiere. Grazie all’intervento “fortunato” dei black-blocks infatti, Macron, ha colto l’occasione per uscire da un silenzio stampa tanto assordante quanto cinico e sordo per ribadire le sue accuse alle violenze dei manifestanti che poi sono solo quelle di qualche BB felicemente infiltrato (https://www.huffingtonpost.fr/2018/11/24/macron-dit-sa-honte-face-a-la-violence-des-gilets-jaunes_a_23599408/).
Vi chiederete: come mai tanta ostinazione (e sto parlando del pupazzo di Parigi) nel non volere ascoltare le trippe del popolo? Semplice, la finanza internazionale, di cui lui è il fantoccio, malata di narcisismo patologico, ha un sogno: quello di potere venire allo scoperto e di potere apertamente prevaricare i popoli della terra senza doversi più nascondere, ma come in un gioco sadomaso, che la cosa sia richiesta e apprezzata dal popolo, che esso la ringrazi, e ne chieda ancora!
Purtroppo non tutti amano il sadomasochismo, c’è ancora una parte di umanità sana che dice no. Ogni volta che la casta monecratica mette i suoi emissari, come Macron, il malcontento sale nonostante i potentissimi mezzi di corruzione di cui dispone per corrompere tutta la società: lo strumento monetario fiat e debito.
Oggi egli è troppo occupato a fare dichiarazioni vacue su Brexit ed Europa mentre la sua casa brucia e quella europea si scalda.
Alcuni si chiederanno. Ma la Francia, avendo il trattamento privilegiato da parte delle politiche europee, di cui abbiamo parlato in alcuni articoli, come mai brucia?
Vorrei pertanto sottolineare l’importanza fondamentale della distinzione tra, da una parte, la sovranità di uno Stato – che può sfociare come nel caso francese in nazionalismo e prevaricazione dei popoli di altri paesi – e dall’altra la sovranità di un popolo, di ognuno di noi. In un mondo normalmente democratico la sovranità del popolo dovrebbe dipendere in qualche modo anche dalla sovranità di un paese, perché le sue istituzioni dovrebbero essere la fedele rappresentazione del volere di un popolo, ma sappiamo che così non è.
In Francia la sovranità del paese, che è nazionalismo, è squilibrata, neocoloniasta, prepotente, sfocia nel volere di una elite depravata e psicopatica che sta usando le istituzioni della République a suo uso e consumo arrivando a tracimare al punto da schiacciare la seconda sovranità, quella del popolo, quella di ognuno di noi.
Nel paese che più di tutti al mondo è vissuto nella dicotomia e nella propaganda ipocrita, inculcata sin da piccini, di presentarsi al mondo come la culla dei diritti universali fino a quando il comitato d’affari misto pubblico privato al vertice della République aggrediva “solo” altri continenti, e drogava il popolo francese con aiuti e sovvenzioni a non finire, tutto ok Madame la Marquise. Ma il popolo francese è per l’appunto, e grazie al cielo, un popolo viziato, abituato al guanto di velluto di Mitterand che non disdegnava di utilizzare specie con le colonie il pugno di ferro fuori.
E non è solo la goccia del caro benzina ad avere fatto traboccare il vaso, in Francia. E’ qualcosa nelle trippe, un cortocircuito tra mente e viscere che è saltato: un popolo crassamente manipolato a pensare di essere la culla dei diritti umani, non può neanche lontanamente sopportare il trattamento che gli è riservato dall’élite, non può rassegnarsi a capire che è stata tutta propaganda menzognera. Donde la determinazione dei nostri vicini: è la propaganda di cui il loro dna è fatto che si ritorce come un boomerang.
Purtroppo la massa critica non è ancora arrivata all’idea che “sovranismo” nel mondo senza Stati, che è quello che la casta mondialista ha in mente di propinarci, significherebbe che ognuno fosse libero di organizzarsi in comunità e fosse sovrano. Essere sovrani significa che la moneta che hai in tasca, l’hai in virtù del fatto che un essere umano ha diritto ipse facto di vivere dignitosamente, come ci insegna proprio quella Dichiarazione dei diritti dell’uomo di cui la Francia si fa a parole campionessa, senza costringerti a prostituirti e soprattutto è tua e non è debito nei confronti di nessuna casta di privati. Ecco perché la casta dei falsari monetari odia il sovranismo, non sopporta il populismo, e li fa coincidere con nazionalismo e fascismo. Perché un popolo che si sa sovrano, non accetta più la legge fallace del do ut des, e del mors tua vita mea, rivendica la sua sovranità riprendendosi la moneta e riprendendosela, sia chiaro, non in quanto singolo cittadino ma in quanto comunità organica.
“Sovranismo” non è nazionalismo. Nazionalismo è spingere per la sovranità di una nazione, fatta di Stato, popolo, territorio nei confronti degli altri Stati, trarre il proprio benessere dal predominio e lo sfruttamento delle risorse appartenenti ad altri popoli, come fa per l’appunto la Francia con il CFA. Sovranismo è un fatto interno, è spingere per la sovranità dei cittadini, cioè degli uomini e delle donne, all’interno dello stesso paese, ed è un fatto universale. Nazionalismo invece è una conseguenza dell’internazionalismo apolide, quello che spinge per il globalismo perché è proprio con la complicità di alcune nazioni, USA, Francia, Norvegia, Olanda, Danimarca, Gran Bretagna, Cina, più “sovrane” di altre e con il sofisma che il loro nazionalismo sarebbe “patriottismo” legittimo che si perpetua il neocolonialismo finanziario in tutte le sue forme.
Un cittadino sovrano ha il dovere di difendersi dalla casta organizzandosi in COMMUNITAS, perché solo uniti potremo esercitare la nostra sovranità, e fino a quando tale communitas è lo Stato, dobbiamo farne la nostra casa e la nostra cassa, con una compartecipazione agli utili che esso accentra da trasferire ad anonimi creditori, che creano la moneta che prestano, con un gioco di scrittura contabile.
Lo Stato in poche parole va depersonalizzato e strumentalizzato a nostro servizio e non viceversa come è successo da quando abbiamo dato la personalità giuridica a società per azioni ed enti pubblici.
Infine, quando Macron dice che patriottismo non è nazionalismo, lo fa come al solito per rovesciare le parole, lo fa per giustificare quel nazionalismo insano e neocoloniale della Francia nel mondo, che ai francesi hanno inculcato come “rayonnement” nel mondo, per far loro accettare il nazionalismo spietato del loro paese, chiamato, in modo “mignon” “chauvinisme”.
Se così non fosse, il popolo francese parlerebbe come Marine Le Pen che alla domanda di che cosa ne pensasse della parità fissa tra CFA ed euro ha dichiarato:
“E’ un dramma per le colonie africane, già è un dramma per noi (l’euro). Tiene l’economia africana in asfissia. E’ un modo per uccidere economicamente l’Africa, quindi io sono fondamentalmente contraria a questo modo di fare. Condanno questa moneta perché è impossibile farcela.
Considero che Tutte le nazioni hanno il diritto di avere la loro moneta, la moneta è uno degli elementi della sovranità. Sono coerente, non considero che alcuni paesi abbiano dei diritti e non degli altri, quello che rivendico lo chiedo per il mio paese e il mio popolo e anche per tutti i paesi e per tutti i popoli.” (tratto da https://www.youtube.com/watch?v=zw1DKcVBXUw&feature=share )
Nforcheri 25/11/2018
14 Stati africani costretti a pagare il signoraggio alla Francia
La zona Franco: appannaggio del signoraggio coloniale della Francia
https://nicolettaforcheri.wordpress.com/2018/06/13/francia-africa-ipocrisia-vomitevole/

sabato 3 novembre 2018

Smartphones, social e tutto il resto. La fine dell’umanità così come è sempre stata.

Fonte https://www.andreabizzocchi.it
Ho sempre avuto una istintiva repulsione, o come minimo diffidenza, nei confronti della tecnologia. Ovviamente la tecnologia presenta, come qualunque altra cosa al mondo, una commistione di caratteri sia negativi che positivi. Ma presenta anche delle caratteristiche ben precise: ad esempio la tecnologia non è tanto l’oggetto tecnologico che ha prodotto, quanto un certo tipo di mentalità e una certa “visione della vita” che quell’oggetto sono arrivati a concepire. Per dire: i popoli della natura non si sono mai sviluppati da un punto di vista tecnico-tecnologico non perché non avessero sufficienti capacità intellettive, ma semplicemente perché l’idea di progresso/sviluppo era del tutto alieno ad una mentalità che viveva “nel tempo” (e non del tempo) e nel “Tutto” (generalizzando, l’unione simbiotica con la Natura e il cosmo, la capacità di immedesimarsi in un animale, in una foglia che cade, in un fiume che scorre, eccetera). Più semplicemente questi popoli “freddi” (come li chiamava Levy Strauss) non hanno mai avuto smanie di “progresso” di alcun genere (tanto meno tecnologico) perché stavano bene così come stavano. A differenza nostra, che ci “agitiamo” a progredire e svilupparci proprio perché non stiamo bene.
Ma veniamo a noi. Ho scritto queste poche righe qualche mese fa seduto su una panca del terminal GreyHound di Port Autorithy (Newark) dopo aver passato quasi due giorni per aeroporti (Bologna, Parigi, Atlanta, Orlando, New York). Ovunque ho visto solo persone a testa bassa smanettare sul loro smartphone; e nessuno, dico nessuno, ridere/scherzare/giocare/parlare con il proprio compagno, con il proprio figlio, con l’amico o con lo sconosciuto vicino di sedia (che una volta era cosa assolutamente normale). Eppure ancora solo dieci anni addietro le cose stavano diversamente, e quando ho cominciato a viaggiare da solo per il mondo (una trentina d’anni fa, che non sono pochi ma non sono nemmeno un’altra era geologica) il viaggio era la quintessenza del conoscere persone e dell’intessere relazioni. Anzi, direi che si viaggiava soprattutto per questo. Ma oramai è così ovunque e la sostanza del discorso è che questi aggeggi che si sono impossessati delle nostre vite (unitamente a tutto il resto è ovvio), sono un formidabile strumento di distruzione del tessuto sociale e di rapporti. E una società che piuttosto che delle molteplici e drammatiche realtà che sta vivendo a diversi livelli si preoccupa del numero dei like della pizza che sta mangiando e condivide in tempo reale su qualche social, è una società che ha poche speranze di combinare qualcosa di buono. Ed è anche una società in cui cooperazione, mutuo aiuto, condivisione, senso di solidarietà, eccetera, scompaiono progressivamente. Perché i valori (si fa per dire) diventano altri.
Che fare? Non credo ci siano soluzioni perché le operazioni di ingegneria sociale (cioè di trasformazione della società dirette dall’alto) sono molteplici e portate avanti in maniera scientifica e impercettibile (vedi tra le altre cose la distruzione della famiglia tradizionale, promozione di genderismo e gravidanze via uteri in affitto, ecc).
Siamo tutti in riprogrammazione e non ce ne rendiamo conto. Siamo, antropologicamente parlando, in una fase di transizione che ci scaricherà direttamente nel postumano. Eppure pochi paiono capirlo. Antropologicamente parlando, non siamo già più esseri umani, che ci piaccia o meno ammetterlo. Qui non si tratta di “salvare l’uomo”, ma di vivere con dignità e semmai di non essere complici di coloro che “l’uomo” lo stanno distruggendo.
Mi sento solo di dire: rendiamoci conto di dove, come umanità, stiamo andando, e mettiamo giù questi strumenti, non usiamoli o quantomeno il meno possibile. La realtà, la vita, l’amore e il cuore, che sono ciò di cui abbiamo bisogno per vivere bene, stanno da un’altra parte. Torniamo alla nostra umanità, che sarà pure molto imperfetta ma che nel suo farci ridere e piangere, gioire e soffrire, amare e a volte anche “odiare”, è pur sempre reale e soprattutto ci fa sentire ed essere “vivi” e non morti come quegli oggetti tecnologici con cui ci relazioniamo costantemente (anche qui si fa per dire. Non ci si può relazionare con qualcosa di morto).
Perché come “a stare con lo zoppo si impara a zoppicare”, a relazionarsi con ciò che è morto ci si spegne e poi si muore. Anche
se si è “vivi”.

Scritto da Cristina Bassi Ripropongo un vecchio articolo da Raptitude.com perchè ha a che fare con il senso della realtà, che è cosi tanto c...