sabato 28 febbraio 2015

Grecia: “Colpirne uno per educarne cento”

Fonte un portale russo molto interessante.http://it.sputniknews.com/ Questa era la risposta tedesca al problema dalla crisi greca e l’inflessibilità doveva servire ad impedire che altre “cicale” si immaginassero di poter seguire la stessa strada.
Tuttavia, il successo del partito SYRIZA nelle ultime elezioni e l'effetto domino che questo potrebbe avere su Podemos in Spagna, sul Front National in Francia e sui partiti anti-euro ed anti-austerità, in Italia ed altrove, hanno obbligato Berlino a venire in qualche modo a patti. Dopo l'accordo di 20 Febbraio tra i vertici europei ed il governo greco, nonostante l'ipocrisia generale consentirà a tutti di dirsi vincitori, anche la rigidità tedesca ha dovuto fare concessioni.  Nella realtà, l'ipocrisia non sarà solo nelle parole ma anche nella sostanza perché da quell'intesa usciranno solo tutti perdenti.
Sono perdenti Tzipras e il suo ministro delle finanze Varufakis che saranno obbligati, contro le promesse della campagna elettorale, a confermare il controllo esterno da parte della Troika (che si limiterà a cambiare nome) sulle scelte economiche del Governo e a continuare una politica, almeno parzialmente, recessiva. E' perdente le Germania, e quindi i difensori dell'austerità, perché, pur salvando la faccia col ribadire la necessità dell'approvazione europea delle misure proposte da Atene, ha dovuto concedere quattro ulteriori mesi di tempo (i greci ne chiedevano sei) prima di prendere atto che la Grecia non riuscirà a ripagare i propri debiti. Quattro mesi che significano almeno sette nuovi miliardi di euro elargiti alla Repubblica Ellenica e destinati a non ritornare mai.
Purtroppo, sembra non ci fosse altra scelta né per gli uni né per gli altri. Non consentire ai greci questa dilazione avrebbe significato dover affrontare l'incognita del possibile "contagio" con gli altri Paesi  deboli e lo scatenarsi della speculazione. Ma soprattutto avrebbe significato, con l'uscita della Grecia dall'euro la svalutazione e  nuove barriere tariffarie, la sua conseguente ed inevitabile uscita dalla Unione Europea mettendo così a rischio la tenuta di tutta l'Unione.
La minaccia greca di dichiarare fallimento e uscire dall'euro era un evidente ricatto anche se basato soprattutto su di un bluff. Durante la campagna elettorale, Tzipras aveva continuamente citato l'esempio dell'Argentina del 2003 che, annunciando l'impossibilita' di pagare i propri debiti e rinegoziandoli drasticamente, era riuscita, almeno temporaneamente, a far ripartire la propria economia con tassi di crescita eccellenti.  Quello che un economista colto come Varufakis però sapeva bene è che il caso dell'Argentina aveva tre variabili importanti che hanno consentito al Paese sudamericano di fare fronte all'impossibilità di ottenere un qualunque nuovo credito sul piano internazionale. Variabili che alla Grecia mancano: la presenza di abbondanti materie prime sul suolo nazionale, la continuità della stessa valuta e un mercato mondiale dominato dalla domanda. Come è noto, Atene non può contare sulla disponibilità di materie prime e neanche su una agricoltura ed un allevamento importanti e sviluppati come quelli argentini. La necessità poi di tornare alla dracma con un tasso di conversione tutto da definire (che penalizzerebbe o  i debitori privati o, in alternativa, le banche creditrici) richiederebbe, inoltre, un enorme controllo poliziesco contro la fuga di locali capitali che si aggiungerebbero alle decine di miliardi già fuggiti negli ultimi mesi. Infine, anche qualora misure del genere fossero attuate, non si riuscirebbe ad immaginare come la Grecia potrebbe aumentare le proprie entrate dall'estero vista la contrazione economica mondiale e la crisi che tocca tutti i Paesi, tra i quali  la Russia,  da cui, fino a poco fa, arrivava il più grande flusso turistico e quindi l'entrata di valuta straniera.
Detto ciò, che Atene sia nell'impossibilita' di pagare i debiti pregressi e presenti era, e resta, una certezza.
Il Governo non è in condizione, senza dover affrontare più gravi tensioni sociali, di ridurre ulteriormente la spesa pubblica ma, contemporaneamente, non è nemmeno in grado di aumentare, come sarebbe necessario, il prodotto nazionale lordo. Dove e come, con tutta la buona volontà, potrebbe aumentare le proprie entrate? La risposta che Tzipras offre agli altri ministri europei è una più intensa lotta all'evasione fiscale ma, considerata l'esperienza fallimentare pluridecennale di campagne di questo genere in Grecia, in Italia ed negli altri Paesi con forte vocazione all'evasione, è evidente che si tratti solamente di fumo negli occhi. Fingere di crederlo rientra in quella ipocrisia di cui parlavamo poco sopra.
Ora e' tardi per recriminare su ciò che già andava fatto e non fu attuato per la cieca opposizione tedesca nel 2008. Un intervento immediato avrebbe comportato minori rischi e minori costi. Ci sarebbe piuttosto da domandarci se ha un senso, e quale, che l'Europa continui a inviare i propri soldi verso Paesi che dell'Europa non sono membri e, probabilmente, non lo diventeranno mai. Pensiamo, ad esempio,alle decine di miliardi già spesi per l'Ucraina e alle centinaia ancora necessarie per risollevare la disastrata economia di quel Paese.
Considerato che, fra quattro mesi, con Atene saremo esattamente allo stesso punto e dovremo scegliere se consentirne il fallimento o trovare nuovi fondi, sarebbe stato probabilmente più opportuno, già  fin d'ora,  accettare di annullare almeno il 50% dei crediti che l'Europa vanta con questo suo Stato Membro. Si sarebbe dimostrata così  la necessaria solidarietà verso chi all'Unione partecipa da anni e si sarebbe data ai greci  una vera, unica, chance per rialzarsi.

giovedì 26 febbraio 2015

Nessun mondo multipolare se i media sono unipolari di Roberto Quaglia

Una narrazione non allineata. Alla ricerca di un mondo unipolare dentro un sistema mediatico tutto unipolare. L’egemonia USA sui media vera super-arma.
 | TEHERAN (IRAN)  
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Il grande interrogativo della geopolitica globale di oggi è se il mondo andrà verso un mondo unipolare a tempo indeterminato dominato dagli Stati Uniti (ciò che con orgoglio - o con arroganza − gli americani chiamano Full Spectrum Dominance, "dominio sull’intero spettro") o se invece si muoverà verso un mondo multipolare in cui coesistono diversi centri di potere.
Dal punto di vista economico il mondo è già multipolare, essendo la quota statunitense del prodotto mondiale lordo di appena circa il 18 per cento (dati 2013) e in costante diminuzione. Allora come mai gli USA sono ancora così dominanti a livello globale? La ragione non è il suo gigantesco budget militare, dal momento che non si può realisticamente bombardare tutto il mondo.
Il primo strumento magico che gli Stati Uniti usano per dominare il mondo è il loro dollaro. La parola "magico" è qui licenza non poetica: il dollaro è effettivamente una creatura magica, in quanto la Federal Reserve può crearlo in quantità illimitate dentro i computer, e tuttavia il mondo lo considera come qualcosa di prezioso, pensando comunque ai petrodollari. Il che rende un compito facile per gli Stati Uniti finanziare con miliardi di dollari le "rivoluzioni colorate" e altre sovversioni in tutto il globo, praticamente a costo zero. Questo è un problema grave che ogni mondo che cerca la multipolarità dovrebbe affrontare. L’altra super-arma degli Stati Uniti è il loro dominio folle dei mezzi d’informazione, qualcosa di molto vicino all’egemonia assoluta, la cui dimensione è fuori dall’immaginazione della maggior parte degli analisti. Hollywood è la più straordinaria macchina della propaganda mai vista in questo mondo. Hollywood trasmette in miliardi di cervelli di tutto il mondo i canoni hollywoodiani per la comprensione della realtà, che includono − ma non solo − il modo di pensare, di comportarsi, di vestirsi, cosa mangiare e bere, fino a come esprimere il dissenso. Sì, Hollywood è perfino in grado di istruirci su come esattamente esprimere il nostro dissenso verso lo stile di vita americano. Solo per citare un esempio (ma ce ne sono molti), i dissidenti occidentali spesso citano il film "Matrix" [1999] per riferirsi a un’invisibile rete di controllo sulle nostre vite, ma anche Matrix fa parte della stessa matrice, se posso metterla in chiave umoristica. Ecco la confezione hollywoodiana del processo di comprensione che viviamo in un mondo ingannevole: utilizzando allegorie, simboli e metafore prodotti negli Stati Uniti, facciamo comunque pienamente parte del loro sistema e quindi contribuiamo a rendere questo reale.
Gli Stati Uniti hanno anche il controllo dell’informazione mainstream a livello mondiale, essendo la CIA infiltrata nella maggior parte dei più importanti network. Il giornalista tedesco Udo Ulfkotte, che ha lavorato per la Frankfurter Allgemeine Zeitung, uno dei principali quotidiani tedeschi, nel suo libro bestseller Gekaufte Journalisten ["Giornalisti venduti"] ha recentemente confessato di essere stato pagato per anni dalla CIA per manipolare le notizie, e che questo è del tutto normale nei media tedeschi. Possiamo tranquillamente ritenere che ciò sia molto comune anche in altri paesi. Questo controllo globale sui mezzi d’informazione permette agli Stati Uniti di dominare la guerra della percezione in tale misura da rendergli possibile trasformare facilmente il bianco in nero agli occhi del pubblico. È incredibile come i media europei sotto il controllo americano abbiano potuto distorcere i fatti durante le recenti crisi in Ucraina: la giunta filonazista di Kiev, salita al potere con un colpo di Stato, è stata capace di bombardare e uccidere i propri cittadini per mesi, mentre i media occidentali la raffigurano sempre come la parte buona e Putin è descritto come il nuovo Hitler senza nessun motivo realmente fondato.
Per capire fino a che punto il dominio delle informazioni è di per sé sufficiente a plasmare una realtà effettiva, ricordiamo questa citazione del 2004 attribuita a Karl Rove, all’epoca consulente senior di George W. Bush:
«Noi siamo un impero e quando agiamo creiamo la nostra realtà; così, mentre voi studiate quella realtà - con tutto l’equilibrio di cui siete capaci - noi agiamo di nuovo, creando altre nuove realtà che voi potete anche studiare, ed è così che le cose si gestiscono: noi siamo i protagonisti della storia... e a voi, a tutti voi, sarà solamente consentito di studiare ciò che noi facciamo.»
E se tutto questo non bastasse, la maggior parte delle informazioni che circolano oggi nel mondo è elaborata da computer con sistemi operativi americani (Microsoft e Apple), mentre le persone − compresi coloro che si oppongono agli Stati Uniti − comunicano fra loro attraverso Facebook, Gmail e altri canali controllati dalla CIA. È proprio questo pressoché totale monopolio dell’informazione che fa la vera differenza. Così, anche se l’importanza economica americana ha subìto un netto declino negli ultimi decenni, la sua influenza sul piano dell’informazione è paradossalmente cresciuta. Perciò i paesi che oggi guardano a un vero e proprio mondo multipolare dovrebbero rivedere le loro priorità e iniziare a competere seriamente sul campo dell’informazione, piuttosto che concentrarsi solo su questioni economiche.
Oggi il potere è solo una questione di percezione, e gli Stati Uniti sono ancora gli impareggiabili maestri di questo gioco. Non avremo nessun mondo veramente multipolare fino a quando altri giocatori con competenze analoghe non entreranno in gioco.
Ci sono già alcuni casi di servizi di news non allineati con gli Stati Uniti di qualità eccellente e con l’ambizione di un’audience globale, fra i quali i più notevoli sono Russia Today e l’iraniana Press TV, ma questo è ancora poco o niente in confronto al costante tsunami di informazioni audiovisive filoamericane che dilaga in tutto il mondo 24 ore su 24. Russia Today sta progettando di allestire anche canali in francese e tedesco: questo è un passo in avanti, ma ancora lontano dall’essere sufficiente. Gli USA non sono davvero preoccupati dai paesi che li sorpassano nei propri interessi, però cominciano a innervosirsi se questi paesi utilizzano valute diverse dal dollaro per i loro commerci e letteralmente impazziscono quando sullo scacchiere dell’informazione appaiono importanti network non allineati. Il che suona abbastanza strano, dato che la libertà di stampa è un punto centrale della moderna mitologia americana, ma ogni fonte di informazione non allineata con gli Stati Uniti mette appunto in pericolo il loro monopolio della realtà. Questo è il motivo per cui hanno bisogno di demonizzare i concorrenti e di etichettarli come antiamericani o peggio. Tuttavia, spesso i giornalisti o gli editori non allineati sono semplicemente una realtà non americana, non necessariamente antiamericana; ma agli occhi degli egemonisti americani tutte le informazioni non-americane sono per definizione antiamericane, dal momento che la compattezza del loro impero si fonda soprattutto sul loro monopolio della realtà percepita. Ricordate la citazione di Karl Rove.
Così, i paesi non allineati con gli USA che veramente aspirano a un mondo multipolare non hanno altra scelta se non quella di imparare dal loro avversario e agire di conseguenza. Al di là della creazione di un proprio news network all’avanguardia, essi dovrebbero anche cominciare a fornire un sostegno concreto all’informazione indipendente nei paesi in cui le notizie sono attualmente controllate dagli Stati Uniti. Giornalisti indipendenti, scrittori e ricercatori dei paesi occidentali oggi stanno facendo il loro lavoro solo per passione civile, spesso non pagati e al costo di pubbliche derisioni, emarginazione sociale e sacrifici economici. Diffamati nelle loro patrie e senza nessun aiuto da parte dei paesi che presumibilmente mirano a sottrarsi al giogo statunitense: questo non è un buon inizio per la fine della Full Spectrum Dominance degli Stati Uniti. Non c’è e non ci sarà mai un mondo realmente multipolare senza una gamma veramente multipolare di punti di vista sulla scena. Un impero postmoderno è più che altro una condizione mentale: se questa condizione rimarrà unipolare, il mondo resterà tale.
Traduzione
Emilio M. Piano

mercoledì 25 febbraio 2015

LA RUSSIA VERSO L’ABBANDONO DEL DOLLARO, AUMENTA LE RISERVE IN ORO E SI LIBERA DEI BOND USA

1093DI ATTILIO FOLLIERO
Gli USA stanno conducendo una “guerra” contro la Russia (1). Per il momento, non si tratta di una guerra convenzionale con armi e bombe, ma a colpi di sanzioni, ritorsioni e soprattutto cercando di minare la sua economia alla base. La Russia è il principale produttore mondiale di petrolio (con oltre 10 milioni di barili al giorno) per cui – nei propositi degli USA – un crollo del prezzo del petrolio le avrebbe inferto un colpo mortale, come era successo con la ex Unione Sovietica (2).
Gli USA, in alleanza con le monarchie arabe, grandi riserve e grandi produttori di petrolio, hanno fatto crollare i prezzi del petrolio (3); contemporaneamente, assieme ai paesi europei hanno imposto sanzioni ed impedito l’esportazione di prodotti agricoli verso la Russia con la scusa della crisi creata ad hoc in Ucraina. Insomma, gli USA ed i suoi alleati contano di stroncare la Russia, attaccandola políticamente, economicamente e mediaticamente.
La Russia è una potenza in ascesa, alleatasi apertamente con la Cina, con la quale ha stipulato grandi accordi commerciali bilaterali tendenti a superare l’uso del dollaro nelle transazioni; basta citare lo storico accordo per la fornitura di gas alla Cina (4). Inoltre, è del primo dicembre scorso l’altro storico accordo con la Turchia per l’estensione del Blue Stream, l’oleodotto che trasporterà gas dalla Russia alla Turchia, passando per il Mar Nero; dalla Turchia il gas arriverà ai paesi dell’Europa meridionale (Grecia ed Italia), all’Austria ed ai paesi dei Balcani. A questo oleodotto che porta il gas russo all’Europa, si unirà un ramo che porterà anche il gas dell’Iran e dell’Azerbaigian. I paesi dell’Europa che lo desiderano hanno totalmente assicurato l’approvvigionamento gassifero. Tutto ciò rappresenta una minaccia per la potenza USA, perchè tale gas non sarà certo fornito utilizzando il dollaro come strumento di pagamento.
Questi accordi commerciali in cui si elimina l’utilizzo del dollaro, si stanno diffondendo grazie alla Russia (ed alla Cina) anche ad altri stati,  come Malesia, Nuova Zelanda e vari paesi dell’America Latina.
Un eventuale abbandono del dollaro come moneta di riserva internazionale avrebbe conseguenze catastrofiche sull’economia statunitense, anzi minerebbe l’esistenza stessa dell’Unione, per cui gli USA sono impegnati a fermare con ogni mezzo (sanzioni, ritorsioni, guerra economica, fino ad arrivare a bombardamenti ed invasioni) tutti coloro che cercano di superare l’uso del dollaro (5). E’ questa la política che stanno portando avanti anche contro la Russia.
La Russia, però non è l’iraq di Suddam Hussein o la Libia di Geddafi, paesi di pochi milioni di abitanti, che bombardati ed invasi sono stati prontamente sottomessi, o per essere più esatti gli USA ed i media occidentali presumono o diffondono l’idea di averli sottomessi.
La Russia non è facile da sottomettere, anzi sta reagendo e, come avevamo previsto, “Il tentativo degli occidentali (statunitensi ed europei) di isolare la Russia determinerà un boomerang, ossia alla fine a rimetterci saranno europei e statunitensi” (6).
Come sta reagendo la Russia? L’attacco alla Russia (politico, economico e mediatico) ha determinato una riduzione nel valore del rublo e dei titoli russi, titoli di stato e azioni delle imprese statali quotate alla borsa di Mosca. La Russia ha approfittato di questa caduta del prezzo dei titoli di stato e delle azioni delle imprese statali per ricomprarseli a prezzi scontati. Anche le sanzioni ed in particolare il divieto per i paesi europei di esportare in Russia beni agricoli ed alimentari, ha contribuito a stringere alleanze con altri produttori, come Argentina, Nicaragua ed altri paesi dell’America Latina e di altri continenti.
Ciò che preocupa maggiormente l’occidente, in particolare gli USA è la vendita dei titoli del debito pubblico statunitense (vedasi grafico).
garficofoliero



Elaborazione Attilio Folliero su dati del Tesoro USA aggiornati al 31/12/2014 e pubblicati il 17/02/2015
La Russia nel mese di ottobre del 2012 deteneva titoli del debito pubblico statunitense pari a 171 miliardi di dollari ed era all’ottavo posto tra i principali paesi finanziatori del debito pubblico statunitense, dopo Cina, Giappone, Banche caraibiche, Paesi esportatori di petrolio, Brasile, Taiwan e Svizzera. Da allora ha progressivamente ridotto tale quota. Secondo l’ultimo dato disponibile e pubblicato pochi giorni fa dal Tesoro USA, a dicembre del 2014 la quota russa del debito pubblico statunitense (Bond USA) era scesa a 86 miliardi. In particolare, nell’ultimo mese (dicembre 2014) è passata da 108 miliardi a 86, con una riduzione di oltre il 20%.
Anche l’altro grande alleato dei Russia, la Cina sta tagliando i finanziamenti al Governo USA; infatti dai 1.316 miliardi di dollari in titoli del debito USA del novembre 2013 è passata a 1.244 miliardi del dicembre 2014.
La Russia malgrado i duri attacchi economici subiti negli ultimi mesi, non solo è riuscita a ricomprarsi quote del proprio debito pubblico, come visto sopra, ma ha accresciuto le proprie riserve in oro. Quella di accrescere le riserve in oro è una política che sta sviluppando da lungo tempo; infatti, nell’ultimo decenio, la Russia è il paese che ha maggiormente incrementato le proprie riserve, acquistando una media di circa 100 tonnellate di oro all’anno: dalle 386 tonnellate di riserve d’oro del 2005 è arrivata alle 1.208 tonnellate del 2014 (Vedasi grafico sottostante). Nell’ultimo anno l’incremento è stato di ben 173 tonnellate. C’è da aggiungere che i dati del 2014 non sono ancora definitivi essendo aggiornati al mese di novembre.
2015
Elaborazione Attilio Folliero su dati del WorldGold Council
In conclusione, la stipula di contratti commerciali in cui si utilizzano monete nazionali, l’estensione del Blue Stream alla Turchia, l’oleodotto che porterà gas ai paesi dell’Europa meridionale e dei balcani, l’aumento delle riserve in oro, evidentemente per sostenere la propia moneta e la riduzione dei titoli del debito USA in dollari dimostra che la Russia si sta allontanando sempre più dal dollaro.
Attilio Folliero
24.02.2015
Note
1)    Vedasi articolo “Cause e conseguenze dei prezzi bassi del petrolio. Gli USA all’attacco di Russia e Venezuela”, Url:http://umbvrei.blogspot.com/2014/12/cause-e-conseguenze-dei-prezzi-bassi.html;
2)    Vedasi articolo: “I bassi prezzi del petrolio hanno influito sulla dissoluzione della Unione Sovietica”, Url:http://umbvrei.blogspot.com/2012/11/i-bassi-prezzi-del-petrolio-hanno.html;
3)    Vedasi articolo in nota 1;
4)    Vedasi articoli: “La Cina spera di imporre il yuan come moneta alternativa al dollaro”, Url: http://umbvrei.blogspot.com/2014/12/la-cina-spera-di-imporre-il-yuan-come.html e “Catastrofe annunciata per il dollaro e l’economia USA?”, Url: http://umbvrei.blogspot.com/2014/04/catastrofe-annunciata-per-il-dollaro-e.html;
5)    Vedasi articoli: “Il dollaro, l’euro, il petrolio e l’invasione nordamericana”, Url: http://umbvrei.blogspot.com/2004/02/il-dollaro-leuro-il-petrolio-e.html; “Lo strano caso di Dominique Strauss-Kahn”, Url: http://umbvrei.blogspot.com/2011/05/lo-strano-caso-di-dominique-strauss-kahn.html;
6) Vedasi articolo: “Verso la fine del predominio del dollaro”, Url: http://umbvrei.blogspot.com/2014/03/verso-la-fine-del-predominio-del.html

martedì 24 febbraio 2015

Antoine de Maximy, professione viaggiatore a impatto (e costo) zero

Fonte http://www.greenews.info/
Una delle persone più interessanti scovate in rete,ne sono veramente innamorato,ecco alcuni dei video che mi sono piaciuti di più.
A dire il vero sono tutti bellissimi 


Antoine De Maximy è riuscito a mettere insieme due grandi passioni e ne ha fatto un lavoro di successo: è l’ideatore del formatfrancese trasmesso in Italia da Rai 5, dal titolo “Posso venire a dormire da voi?”
Ha presentato il suo approccio al viaggio, al lavoro e alla vita giovedì 31 maggio, in un incontro con il pubblico organizzato all’interno del festival torinese “Per sentieri e Remiganti“, quest’anno dedicato alla “gentilezza”.
Camicia rossa, instancabile intrattenitore, Antoine gira il mondo da solo con una telecamera alla spalla che riprende i suoi interlocutori e una attaccata al suo braccio che lo riprende grazie ad un distanziatore fisso. Una telecamera normale e il registratore nello zaino per qualche ripresa speciale, ma le mani sempre completamente libere per muoversi e relazionarsi.
Si, perché in tempi di viaggi solidali, responsabili e green, Antoine nel suo format vuole fornire delle idee e un esempio concreto per viaggiare a costo e impatto zero, ma soprattutto per prendere contatto, da vicino, molto vicino, con i paesi e le culture che si visitano.
D) Antoine, com’è nata l’idea di questo programma?
R) Dopo aver lavorato su diversi reportage di guerra, documentari su natura e animali, ho deciso di provare un nuovo lavoro, con budget decisamente più ridotto ma con molta più libertà. Così è nato il programma, dalla volontà di creare un ponte tra due culture, di creare amicizie brevi ma vere attraverso la complicità dei piccoli gesti. Ho iniziato a viaggiare e riprendere ormai otto anni fa. Ho visitato 90 paesi, circa la metà di quelli esistenti e i due terzi dei più grandi. All’inizio è stato tutt’altro che facile, ho girato 19 paesi nei primi due anni perché il format aveva bisogno di un buon materiale di base per la partenza e il lancio ufficiale. Se si considera che viaggio sempre da solo, che in ogni posto mi fermo due settimane e che solitamente curo anche il montaggio, sarà facile capire perché una parte di me è incredibilmente schizofrenica.
D) Che cosa distingue il tuo programma dagli altri documentari di geografia e cultura?
R) I documentari, per come nascono, raccontano il mondo, ma soprattutto le persone, le culture e le psicologie, per questo ho deciso di dare un taglio diverso alle puntate e di togliere quasi completamente le informazioni più ufficiali e di contestualizzazione sui paesi visitati, di cui spesso citiamo solo il nome. Più che presentare un paese, io voglio trasmettere delle atmosfereI documentari che ne escono rappresentano perfettamente la varietà della natura umana e nonostante le grandi diversità, in tutti i paesi esistono grandi punti comuni, le priorità dalla gente sono simili ovunque: mi è capitato di visitare paesi più disponibili e altri più difficili, come gli Emirati, o più timidi come il Giappone, ma quando l’approccio del viaggiatore è verso la ricerca del divertimento, ovunque ti vengono aperte le porte di casa!
D) Dopo poche battute riesci a farti ospitare per la notte o invitare per un pasto in casa. Grande gentilezza, dunque, di chi arriva e di chi accoglie…
R) Il rispetto è alla base del viaggio. Una buona regola per esempio è quella di non essere invadente, negli spazi e nei tempi, cercando di ridurre l’impatto e la presenza al minimo possibile. Non bisogna fare domande, questo permette agli interlocutori di sentirsi liberi di esprimersi e di parlare di quello che vogliono, senza influenzare i pensieri e per conoscere le reali passioni, preoccupazioni e idee di chi si incontra.
D) Sfatiamo qualche luogo comune…
R) Non è vero che è maleducazione rifiutare il cibo offerto. Ci sono occasioni, davanti a piatti dal nome irripetibile e aspetti incommentabili, in cui è molto meglio dire un “no, grazie” che contorcersi in smorfie indelicate per tutta la durata del pasto!
Alfonsa Sabatino

domenica 22 febbraio 2015

Geografia,mia grande passione

Iquique Cile,circa 25 anni fa,dopo aver mangiato dei frutti di mare,verso le 10 di sera partenza per Calama,dove risiede la più famosa miniera di rame del mondo.
All"alba del giorno dopo arrivo nella cittadina,sceso dal bus,mi prendono dei dolori fortissimi allo stomaco,devo andare alla toilette,è tutto chiuso,non ce un albero,infatti solo nel deserto più arido del mondo, solo strade larghe,vedo una vecchietta,gli chiedo in uno stentato spagnolo,se mi fa adoperare il suo bagno,lei dice di no,tiro fuori cinque dollari,e lei dice di si,ahahah.
Questa è stata l"unica volta, che in vita mia, in tutti i miei viaggi,per complessivi 3 anni, che ho chiesto insistentemente di entrare nella casa di qualcuno.
Al contrario questo fantastico viaggiatore,non fa che chiedere di essere ospitato.
In questa  puntata ,verso la fine,conosce un italiano della svizzera italiana,che gli dice di non aver visto mai il mare.
Be ultimamente voglio diventare come lui l"italiano,accontentarmi di vedere l"intero mondo in un granello di sabbia,amplificando la mia sensibilità.
Il viaggiatore Antoine de Maximy,una persona fantastica,questo probabilmente per me è il suo miglior video

 Capisco la sua grande passione,e ve lo consiglio vivamente,ma oggi so davvero che in un granello di sabbia si può trovare un mondo intero.

Biologa Molecolare spiega come il THC della canapa UCCIDE COMPLETAMENTE IL CANCRO

canapa
All’Università Complutense di Madrid, in Spagna, la dottoressa Christina Sanchez sta studiando, da oltre un decennio, gli effetti antitumorali del THC, il principale componente psicoattivo della cannabis. In un video spiega esattamente come il THC uccida del tutto le cellule tumorali, senza alcun effetto negativo per le cellule sane.
La sua ricerca si somma a quella dello scienziato britannico Wai Liu, oncologo presso l’Università di scuola medica di Londra, St. George.
La ricerca della dottoressa Liu rivela anche come il THC abbia potenti caratteristiche anticancro e come possa significativamente sbarrare i percorsi che permettono al tumore di crescere.
Liu sottolinea che le aziende farmaceutiche spendono miliardi in farmaci che fanno la stessa cosa che la pianta della Cannabis, fa naturalmente.
Nel seguente video, la Dott. Sanchez, spiega esattamente come il THC elimini le cellule tumorali attivando i recettori dei cannabinoidi del corpo, creando altri endocannabinoidi. Cosa c’è di più? La Cannabis può fare tutto questo senza effetti psicoattivi.

“Ci sono un sacco di tumori che dovrebbero rispondere abbastanza bene a questi agenti della Cannabis. Se pensiamo che le compagnie farmaceutiche spendono miliardi di sterline cercando di sviluppare nuovi farmaci, che hanno come target questi percorsi, quando la Cannabis fa esattamente la stessa cosa. Abbiamo qualcosa, prodotto naturalmente, che incide sugli stessi percorsi affrontati dai farmaci che costano miliardi.” ha detto Liu.
Questo avviene in un momento importante in cui gli Stati stanno ricevendo pressioni di depennare dall’elenco delle droghe, la Cannabis, come droga illegale, una definizione arcaica ed erronea di una pianta su cui Big Pharma ha numerosi brevetti.
Il Brevetto N° US 6630507 B1, per esempio, è sui cannabinoidi come antiossidanti e neuroprotettivi: “I cannabinoidi si trovano ad avere particolare applicazione come neuroprotettivi, per esempio nel limitare il danno neurologico a seguito di insulti ischemici, come ictus o trauma, o per il trattamento di malattie neurologiche, come il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson e la demenza HIV.”
A Big Pharma sicuramente sanno che la Cannabis potrebbe curare il cancro:
Nei testi indù, la Cannabis, era conosciuta come ‘Erba Sacra’ ed è stata usata nella medicina tradizionale cinese per secoli.
La Cannabis può sostituire i farmaci tossici e ridurre drasticamente il dolore.
La ricerca della Dott. Sanchez è l’ennesima goccia da aggiungere alla saggezza secolare che circonda l’uso medicinale di questa pianta fenomenale.
La vera storia della Marjiuana di Massimo Mazzuco:

L’uomo ha usato la canapa per 10.000 anni, poi gli USA hanno usato la parola Marijuana per iniziare una campagna di disinformazione per inculcare nell’opinione pubblica che la pianta delle meraviglie in realtà era il demonio. E così il mondo si è orientato verso il petrolio e il gas naturale perché sono risorse controllabili, al contrario della canapa che può crescere ovunque rapidissima e senza costi. In questa ricerca si analizzano gli effetti del THC inalato mediante valorizzazione (quindi senza ne tabacco ne carta ne colla ne tanto meno combustione). La cannabis è menzionata nel testo sacro Indù Atharvaveda (Scienza degli incantesimi) come “Erba Sacra”, una delle cinque piante sacre dell’India. È usata in medicina e nei riti sacri come offerta a Shiva. Nel 6000 a.C. I semi della Cannabis vengono usati come cibo in Cina. Per approfondire La Storia della marijuana e dell’uso della Cannabis tenuta nascosta

mercoledì 18 febbraio 2015

Contro il lavoro

L’ideologia del lavoro, nata solamente con l’avvento della Rivoluzione Industriale ed esplosa negli ultimissimi decenni fino a diventare sinonimo di “successo” nella vita, dimostra pienamente i suoi limiti. Rimetterla in discussione seriamente è il primo ineludibile passo per provare a liberarsene.
Mi rendo ben conto che nel meccanismo del lavoro siamo incastrati ma fino a che non ci convinceremo davvero, fino in fondo, che noi non viviamo grazie al lavoro (e per estensione all’economia) ma nonostante il lavoro, non ci schioderemo mai dalla situazione in cui ci troviamo. Semplifichiamo per intenderci. Il lavoro modernamente inteso nasce solo con l’avvento della “Rivoluzione industriale” e trova la sua esaltazione nel liberismo-capitalismo e nel marxismo, cioè le due correnti che nei fatti proprio dalla “Rivoluzione Industriale” prendono piede. Come è andata a finire, in entrambi i casi, è sotto gli occhi di tutti. Il lavoro, occorre dirlo, esprime anzitutto una logica di dominio, sulla Natura e su quegli umani che trasformando la Natura in merci creano il cosiddetto plusvalore. Ovviamente sono tutte stronzate che di per sé non esistono, ma noi ci crediamo e dunque ci sembrano vere, reali, financo logiche e magari pure “positive. Insomma, dal momento in cui ci crediamo davvero, è proprio lì che trasformiamo tutte queste stronzate in realtà. Per questo dico che dobbiamo davvero convincerci che noi non viviamo grazie al lavoro (e per estensione all’economia) ma nonostante questo.
Il lavoro prima, riassumendo in pochi concetti basilari un percorso di migliaia e milioni di anni di storia umana sul pianeta, semplicemente non esisteva. Bisogna dunque intendersi su cosa significhi veramente lavorare. Un conto è fare cose che ci servono a vivere ed un altro paio di maniche è correre come forsennati per comprare cose, pagare tasse e via dicendo. Se ciò è chiaro, la questione fondamentale diventa che prima si “lavorava per vivere” mentre oggi “si vive per lavorare”. In altre parole oggi si lavora per avere di più, per coprirsi di status symbols, per avere successo, ecc. Grazie (si fa per dire) al lavoro abbiamo sostituito l’avere all’essere. E questo è un fondamentale motivo per cui nel mondo moderno si sta male: perché l’avere non è, né potrà mai esserlo, un riempitivo e men che meno un sostitutivo dell’essere.
Ma il fatto paradossale della modernità, che è ciò che mi scandalizza e mi fa stare male, non è tanto che si lavori (capisco bene che ci sono situazioni in cui si è “costretti” a farlo), ma il fatto che si voglia lavorare, che si adori il lavoro, che gli si voglia bene, il che significa non aver capito che stiamo volendo bene alla nostra schiavitù. Ma al peggio non c’è mai fine e la cosa peggiore di tutte è addirittura che si consideri il lavoro, questo assassino della Vita, qualcosa di “nobile” (“il lavoro nobilita l’uomo”). Non diciamo cazzate. Il lavoro abbruttisce l’uomo e soprattutto lo rincoglionisce; lo rincoglionisce così tanto che l’uomo moderno, stressato, angosciato, depresso, ossessionato dal lavoro, non sa neppure più cos’è la Vita e cos’è vivere.Noi non viviamo, siamo immersi in una bolla artificiale di pseudovita di cui i social network, tanto per dirne una, rappresentano bene l’essenza. Se invece ci fosse rimasto del sale in zucca ce ne staremmo a fare nulla o perlomeno lavoreremmo il meno possibile perché tutto il tempo che sottraiamo al lavoro è Vita (senza contare che così facendo consumeremmo meno, produrremmo meno, inquineremmo meno, sfrutteremmo e devasteremmo meno, avremmo più tempo per la famiglia, i figli, gli amici ecc.).
Qualcuno però ci ha convinto che il lavoro (e l’economia), ci hanno reso liberi. Anche qui, non diciamo cazzate; dovrebbe essere chiaro il fatto che in una società mercificata l’unica libertà possibile è quella di comprare, ovverossia di scegliere tra dieci diversi tipi di dentifrici. E comunque, visto che nel nostro mondo si fa un gran parlare di “attività di evasione”, “spettacoli di evasione” e chipiùnehapiùnemettadievasione, bisognerà pur domandarsi da cosa dobbiamo evadere? Evade solo chi è in prigione, non chi è libero. Altro che libertà.
Lao-Tzu disse chiaro che “senza fare nulla non c’è nulla che non venga fatto”. Il senso è evidente: se non ci agitiamo come forsennati la Vita (non la mia, la tua o quella di quell’altro, ma la Vita con la maiuscola) va avanti lo stesso e anche meglio.
Resta il fatto che nel nostro mondo il dogma del lavoro è sacro, non lo si può toccare. Figuriamoci, lo abbiamo anche messo a fondamento della nostra costituzione. E’ anche ovvio che non lo si possa toccare. Perché se lo facessimo l’intero sistema crollerebbe in un amen. Se qualcuno però si preoccupa che “se nessuno fa nulla la società non andrebbe avanti” (magari. Abbiamo bisogno di tutto tranne che di andare avanti), va qui spiegato che rifiutare l’ideologia del lavoro non significa rifiutare il lavoro tout court, ma semplicemente cercare di affrancarsene. Il rifiuto non è del lavoro in sé ovviamente bensì dell’ideologia che questo rappresenta; e cioè lo sfruttamento, la devastazione, inquinamento (ambientale e sociale) che necessariamente comporta, nonché la schiavitù di chi lo fa e di chi lo subisce. E’ anche, ovviamente, il rifiuto di un’economia assassina che sul lavoro (devastazione e schiavitù) prospera. Il rifiuto del lavoro rappresenta insomma un tentativo legittimo e naturale (cioè che asseconda la nostra natura di esseri viventi e liberi) di riappropriarci della nostra vita e della nostra libertà. Per questo il rifiuto del lavoro è sempre attivo e mai passivo.
In ogni caso, e lo scrivo con tutta serietà e a mo’ di invito ad una riflessione profonda, gli unici con del sale in zucca sono quei pochissimi popoli della natura rimasti (gli altri li abbiamo fatti fuori tutti) che sono gli unici che non lavorano. A partire dal “Saggio sul dono” di Marcel Mauss, passando per “L’economia dell’età della pietra” di Marshall Shalins, per arrivare a Claude Levi-Strauss, Karl Polanyi e tanti altri, possiamo affermare con certezza che i “primitivi” vivevano nell’abbondanza, occupandosi del loro sostentamento in non più di 2-3 ore al giorno, occupazione che era parte del vivere esattamente come il leone si occupa di vivere quando corre dietro alla gazzella (e difatti il leone, così come il “primitivo”, non è stressato mentre noi sì). Insomma, il “primitivo” non lavora. Vive.
Faremo fatica a tornare “primitivi” ma ciò non toglie che è sicuramente più sensato ricominciare a guardare indietro piuttosto che continuare ad andare avanti con gli occhi bendati come stiamo facendo. E comunque il primo passo per liberarci della schiavitù del lavoro è convincersi che questo non è altro che una forma di schiavitù e neppure ben mascherata. Bisogna insomma smettere di ringraziarlo, perché, lo ripeto ancora, noi non viviamo grazie al lavoro ma nonostante questo. Male che vada smettere di ringraziarlo significherà smetterla di farci prendere per il culo. Che è già qualcosa.

martedì 17 febbraio 2015

Carpeoro: l’infame complotto degli italiani contro se stessi

L’Italia, oggi, sicuramente ha come nemico i poteri forti. Ma coloro che si dovrebbero opporre a quei poteri fanno tutt’altro. Il problema vero di questo paese non è di storia criminale, ma di storia non governata. Non è che siamo governati male: non siamo governati – il che, per certi aspetti, è peggio: forse, essere governati male è meglio che non essere governati. Certo, l’ideale sarebbe essere governati bene. Ma sapete cos’è necessario, per essere governati bene? Bisogna che, alla fine, qualcuno abbia il potere di decidere; che si sappia chi è che decide; e che il potere democratico, se le decisioni di questa persona si dimostrano sbagliate, la volta successiva lo lasci a casa. Vorremmo che la nostra vita fosse scandita da certezze, che non abbiamo: non abbiamo certezza nella giustizia e non abbiamo certezza nel nostro potere economico, perché non sappiamo chi lo governa. Non più la Banca d’Italia. La Banca Centrale Europea? Sì, ma chi la governa? Siamo sicuri che la governi quello che sembra che la governi adesso?
In questo mondo globalizzato, dovremmo chiederci: è colpa delle persone o ci sono dei dati strutturali da mettere a posto? Finché cerchiamo i colpevoli nelle persone, e poi pensiamo di averli trovati e puniti, ma dopo non succede niente, allora Gianfranco Carpeorodobbiamo porci il problema di come funzionano le nostre strutture. In generale, io penso che il sistema consumistico non funzioni. Ma in particolare in Italia c’è anche un sistema fondato sull’assoluta casualità. Perché in ogni cosa facciamo c’è lo zampino di una banca, di un prete, di un massone, di un magistrato, di un ladro, di uno che la vuole fare franca. Così, nelle leggi, ognuno aggiunge una parola, così alla fine non si capisce più niente. Nessuno capisce neppure come pagare le tasse: quand’ero giudice tributario non capivo nemmeno come farle pagare, in certi casi. Perché una famiglia monoreddito deve ricorrere al commercialista? Dovrebbero bastare quattro righe. E per quale complottismo siamo l’unico paese al mondo dove esistono i notai? Altrove, le pratiche notarili le espletano le banche, o gli avvocati, o gli uffici comunali. Da noi invece per la semplice autenticazione di una firma bisogna andare da un notaio.
Il vero complotto, il vero potere forte, in Italia è la struttura. E noi abbiamo una struttura burocratica che ha le stesse prerogative del basso Impero Romano del 3-400 dopo Cristo, dove dovevano fare 8 pagine di pandette per giustificare un cavillo. Noi pensiamo che la democrazia rappresentativa consista nell’eleggere qualcuno, che poi fa quello che vuole. Se noi fossimo stati un popolo veramente democratico, avremmo fatto tesoro di quella bellissima frase di Giorgio Gaber, che dice “libertà è partecipazione”. I partiti fanno congressi, eleggono persone, e lo fanno in piena libertà perché sanno che, tanto, noi non ci andiamo, a controllare quello che fanno. Questi signori hanno potuto fare i congressi con gli elenchi telefonici, coi nomi dei morti. Qualcuno di voi è mai andato a un congresso del partito che ha votato? Noi non siamo democratici, perché nonGiorgio Gaberpartecipiamo. Non conosciamo la nostra Costituzione, non conosciamo i nostri diritti, non studiamo l’educazione civica. E’ nostra la colpa per molte cose che non vanno, in Italia. Il primo imputato si chiama: popolo italiano.
Comunque la pensiate, non potete immaginare che questo modello democratico possa funzionare senza la vostra partecipazione, che non consiste nel fatto che ogni quattro anni si vada alle urne a mettere una croce. Questa classe dirigente è lo specchio di questo popolo. Se questo popolo non cambia, la classe dirigente non cambierà. Se avessimo una classe dirigente degna di questo nome, faremmo valere i parametri dell’economia italiana: il patrimonio artistico più grande del mondo e il patrimonio privato in termini di risparmio, beni e denaro, più grande del mondo. Non lo facciamo, perché siamo governati dalle stesse persone che guadagnano speculando sui nostri guai. E questo, per colpa nostra. Perché queste persone o ce le abbiamo mandate noi, là dove sono, con la nostra partecipazione, o ci sono potute andare perché non c’era la nostra partecipazione. Quindi, sia che abbiamo peccato di azione che di omissione, finché non ci assumiamo le nostre responsabilità non ne usciremo. E non perché la speranza te la deve dare qualcun altro. Una democrazia rappresentativa non può vivere così, la nostra è destinata a farsi comandare da gente che viene dalle catacombe. Bisogna cambiarla, la mentalità italiana, altrimenti è giusto che l’Italia ritorni a essere quello che diceva Metternich al Congresso di Vienna, un’espressione geografica.
Cavour disse: fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani. Cavour aveva un suo piano, il problema è che è morto. E il suo piano non era quello che è stato fatto dopo. Cavour era un massone, ma anche una persona intelligente. Il Risorgimento l’ha fatto Cavour, non Mazzini e Garibaldi, che poi l’hanno infiammato. Chi l’ha progettato e aveva le idee chiare su cosa c’era da fare dopo era Cavour. La disgrazia dell’Italia è stata che è morto. E al suo posto è andato un idiota, che si chiamava Ricasoli. Il che ha significato rovinare l’Italia – dall’inizio, da quand’è nata. E’ stata tutta una conseguenza. Ma noi avremmo potuto sovvertirla, questa conseguenza, se fossimo diventati un popolo laico, di gente che si interessa, che ha un’idea, un’ideologia, un ideale, un progetto, e va a vedere se le persone a cui sta dando la sua fiducia quel progetto lo portano avanti. Questo, gli italiani non l’hanno fatto. Io sono stato al congresso del Partito Socialdemocratico svedese quando c’era Olof Palme, che ancora oggi non si sa perché è morto. E ho visto quante persone c’erano. Non c’erano mica quelli caricati coi pullman, come ai congressiCavouritaliani. In Inghilterra la gente va, si interessa, controlla quello che fanno, vanno persino ai consigli comunali. Al sindaco di Edimburgo, che è mio amico, vanno a rompere i marroni ogni giorno, su quello che ha deliberato il giorno prima.
Ma l’Italia dov’è stata, fino ad ora? La gente che si lamenta nei bar dov’è stata fino ad oggi? Finché gli davano la pancia piena, la possibilità di evadere il fisco e il posto da forestale in Meridione, il 90% degli italiani non ha detto un cazzo. Hanno votato chi dovevano votare e sono stati zitti. Adesso che gli manca il pane vanno nelle piazze – adesso, che non ci sono più soldi da evadere, o forestali da sistemare, o quattordicesime da riscuotere. Ma che popolo è? Ma perché non dice: ho sbagliato anch’io, fino ad oggi, e cambia? E’ facile dare la colpa agli altri, sempre agli altri, solo agli altri. E’ più difficile invece assumersi delle responsabilità, che in Italia sono nette, precise, inequivocabili. E se c’è unpotere occulto fatto in quel modo, un potere massonico fatto così, la prima colpa è dei massoni. Non capiscono che, una volta che costruisci una struttura che va in una certa direzione, la dottrina può essere la più bella del mondo, ma la struttura la fa fuori. Però la colpa viene sempre dal basso: continuare a cercare la colpa in alto significa voler assolversi, non voler capire che si è sbagliato. E soprattutto, non voler cambiare.
(Gianfranco Carperoro, estratti delle dichiarazioni rese il 13 maggio 2014 alla conferenza pubblica dell’associazione “Salusbellatrix” a Vittorio Veneto, ripresa integralmente su YouTube. Studioso di simbologia, esoterista, già avvocato e magistrato tributario, giornalista e pubblicitario, Carpeoro è autore di svariati romanzi ed è stato “sovrano gran maestro” della comunione massonica di Piazza del Gesù).

Scritto da Cristina Bassi Ripropongo un vecchio articolo da Raptitude.com perchè ha a che fare con il senso della realtà, che è cosi tanto c...