Fonte https://www.libreidee.org
Un tampone molecolare costa dai 70 ai 120 euro, e in Italia ormai si eseguono 300.000 test Pcr al giorno. La spesa quotidiana è esorbitante: come minimo, oltre 21 milioni di euro, cioè quasi 150 milioni alla settimana, mezzo miliardo al mese, 6 miliardi all’anno. Si parla tanto di vaccini, dice l’avvocato Mauro Sandri – che già raccolto 1.500 italiani per una causa collettiva contro lo Stato – ma non si fa caso alla spesa, infinitamente maggiore, per i tamponi. Il vaccino Astrazeneca (demonizzato a reti unificate per le reazioni avverse che ha provocato) costa appena 3 euro a dose, dice l’avvocato, mentre il concorrenze Pfizer (che sconta un numero ancora maggiore di effetti collaterali, passati però sotto silenzio) ne costa 14. C’è una regia commerciale, dietro la “guerra” tra vaccini? E soprattutto: il business dei tamponi è incomparabilmente più grande. Una vera e propria gallina dalle uova d’oro: chi avesse il coraggio di uscire dall’emergenza Covid dovrebbe vedersela, un minuto dopo, con i produttori del tampone, che – a livello internazionale – stanno cavalcando un business stellare, da decine di miliardi di euro.
La stessa Oms, rileva il legale, invita a non affidarsi ciecamente al
tampone molecolare: non è un vero e proprio strumento diagnostico, ha
avvertito il suo “inventore”, che raccomanda di non superare i 20-22
“cicli di amplificazione” cui viene sottoposto il campione organico, a contatto
con appositi reagenti per rilevare tracce virali. Oltre quella soglia,
si spiega, si rischia di intercettare qualsiasi altro virus presente
nell’organismo, inclusi quelli (innocui) del semplice raffreddore. In
Italia, denuncia l’avvocato Sandri, la prassi è regolarmente sbagliata:
si eseguono anche 40 “cicli di amplificazione”, col risultato poi di
indicare come “positivo al Covid” il soggetto refertato. Ecco perché
molti medici hanno parlato di una quantità esorbitante di “falsi
positivi”: soggetti risultati positivi al tampone, ma assolutamente
asintomatici e in ottima salute. Nonostante ciò, da ormai un anno, li si annovera tra quelli che i media chiamano “casi”, nel quotidiano “bollettino di guerra” che pretende di monitorare l’andamento della cosiddetta pandemia.
«Contro tutto questo sto preparando cause precise, di risarcimento
danni: non mi bastano le denunce astratte, voglio arrivate a risultati
concreti», averte l’avvocato Sandri. «La drammatizzazione del Covid non
dipende dalla pretesa gravità della malattia: è un problema di
disservizio gestionale della sanità». Gli unici soggetti potenzialmente a
rischio
erano gli ultra-75enni, dice il legale, e non si è fatto nulla di
specifico per proteggerli. «Il Covid poteva e doveva gestito con
l’ordinaria diligenza sanitaria, che uno Stato deve mettere in campo».
Sandri mette nel mirino soprattutto Conte, Speranza e il Cts: «Dobbiamo
concertizzare una controffensiva legale che faccia finalmente giustizia: dobbiamo diventare milioni, e fare del tribunale la nostra vera piazza». Sandri ha firmato tre ricorsi in sede Ue
contro i contratti per i vaccini. E attacca il governo italiano:
«Essere stati privati della libertà non può passare così, senza una
sanzione: dev’essere fatta giustizia, per risarcire i cittadini e ricompattare la comunità nazionale».
«E’ un problema che riguarda milioni di persone», insiste il legale, ospite di “Visione Tv“: «E’ importante che venga accertato che il problema non è il Covid, come malattia grave in sé, ma è la gestione del Covid». Oltre alla follia dei lockdown, che hanno colpito l’intera popolazione (in maggioranza, non esposta ad alcun pericolo sanitario), Mauro Sandri insiste sull’opaco business dei tamponi, che sta fruttando decine di miliardi. «E’ un affare enormemente superiore a quello dei vaccini: è imparagonabile». Chiosa il legale: «Chi parla di “dittatura sanitaria” non ha compreso che la sanità è solo il vettore su cui è salita la finanza: perché le case farmaceutiche guadagnano tantissimo, ma la finanza – indebitando gli Stati a livelli mai visti, nella storia – sta realizzando il vero, grande profitto».