mercoledì 21 febbraio 2018

Da IO SONO QUELLO Nisargadatta Maharaj


77. 9 Novembre 1971
I.: Sono molto legata ai miei figli e alla famiglia. Come si vince l'attaccamento?
M.: L'attaccamento nasce con l'idea dell'"io" e del "mio". Trova il vero significato di
queste parole e sarai libera da ogni schiavitù. La mente si dispiega nel tempo. Le cose
ti accadono una dopo l'altra e ne resta il ricordo. Non c'è nulla di sbagliato in ciò. Il
problema sorge solo quando il ricordo dei dolori e dei piaceri trascorsi - che sono
essenziali a qualsiasi forma di vita - diventa un comportamento riflesso, e oppressivo.
Questo riflesso assume la forma dell'"io" e usa il corpo e la mente per i suoi scopi,
che sono invariabilmente la ricerca del piacere e la fuga dal dolore. Quando
riconoscerai l'"io" per quello che è, un grappolo di desideri e paure, e il "mio", come
il ricettacolo di tutto l'occorrente, in cose e persone, per evitare il dolore e assicurare
il piacere, vedrai che l'"io" e il "mio" sono falsi e infondati. Creati dalla mente, la
dominano finché sono presi per veri; non appena se ne dubita, dileguano. Poiché sono
di per sé insussistenti, hanno bisogno di un supporto che trovano nel corpo, il quale
diventa il loro punto di riferimento. Quando dici "mio" marito, i "miei" bambini,
intendi il marito e i figli del corpo. Abbandona l'idea di essere il corpo e affronta la
domanda: chi sono? Immediatamente si mette in moto un processo che ripristina la
realtà o che, piuttosto, riconduce la mente alla realtà. Basta non avere paura.
I.: Chi sono per averla?
M.: Entri nella realtà solo se abbandoni le idee di "io" e "mio". Allora ristabilisci il
tuo stato normale e naturale, nel quale non sei né il corpo né la mente, né l'"io", né il
"mio". È la pura consapevolezza di essere, senza essere questo o quello, e senza
identificarti con alcunché di particolare o generale. In quella limpida luce della
coscienza non c'è nulla, nemmeno l'idea del nulla. Solo luce.
I.: Ci sono persone che amo. Devo abbandonarle?
M.: Abbandona solo la presa psichica. Il resto riguarda loro. Potranno continuare a
interessarsi a te, oppure no.
I.: Come no? Non sono i miei cari?
M.: Sono i cari del tuo corpo, non di te. O meglio, non c'è nessuno che non sia un tuo
caro.
I.: E le mie proprietà?
M.: Se non c'è il "mio", dove sono le proprietà?
I.: Allora, se perdo l'"io" perderò tutto?
M.: Forse sì, forse no. E comunque per te sarà lo stesso. La tua perdita sarà il
guadagno di qualcun altro. Non t'importerà.
I.: Se non m'importerà, perderò proprio tutto!
M.: Se non hai nulla, non hai problemi.
I.: Mi resta quello della sopravvivenza.
M.: Ci pensa il corpo a risolverlo, mangiando, bevendo e dormendo. Ce n'è a
sufficienza per tutti, purché sia condiviso.
I.: La società è basata sul prendere, non sul condividere.
M.: Condividendo la cambierai.
I.: Non me la sento. Del resto, le mie proprietà sono già tassate.
M.: Non è lo stesso che condividere volontariamente. La società non cambierà con la
costrizione. Ci vuole un cambiamento nel cuore. Convinciti che niente è tuo, che tutto
è di tutti. Solo allora la società potrà cambiare.
I.: La comprensione di un uomo non porterà lontano il mondo.
M.: Il mondo in cui vivi sarà profondamente influenzato. Sarà sano, felice e aperto. Il
potere di un cuore sincero è immenso.
I.: Ditecene di più.
M.: Parlare non è il mio svago preferito. A volte parlo, a volte no. Il fatto che parli o
no, fa parte di una data situazione, e non dipende da me. Quando c'è una situazione in
cui devo farlo, mi ascolto parlare. Altre volte no. Per me è tutto lo stesso. Che parli o
no, la luce e l'amore dell'essere ciò che sono, restano intatti, né comunque dipendono
da me. Esistono e io lo so. C'è la lieta consapevolezza, ma nessuno che sia lieto. Non
che manchi il senso dell'identità, ma è l'identità di una traccia della memoria, come
quella di una serie di immagini sullo schermo. Senza la luce e lo schermo non c'è il
film. Riconoscere che il film è l'effetto di un gioco di luce sullo schermo, libera
dall'impressione che sia reale. Limitati a capire che tu ami il sé, che lui ti ama, e che
l'"io sono" è il vincolo tra voi, nonostante l'apparente diversità. Vedi l'"io sono" come
un segno d'amore fra l'interno e l'esterno, la realtà e l'apparenza. Come nel sogno
tutto è mutevole tranne la coscienza dell'"io" che ti fa dire "Ho sognato", così l'"io
sono" ti fa riconoscere "Sono ancora il vero me stesso. Non sono io che faccio, e
niente è fatto a me. Sono ciò che sono e nulla può influenzarmi. Sembro dipendere da
tutto, in realtà tutto dipende da me".
I.: Sostenete di non far nulla: non state forse parlando?
M.: Non ho la sensazione di farlo. Il parlare accade.
I.: Io parlo.
M.: Veramente? Piuttosto, ti ascolti parlare e dici: parlo.
I.: Chiunque dice: "io lavoro, vengo, vado".
M.: Non ho niente da obiettare alle convenzioni del tuo linguaggio, ma esse
distorcono e distruggono la realtà. Sarebbe più appropriato dire: "c'è un parlare, un
lavorare, un andare e venire". Perché accada una cosa, l'universo deve coincidere in
quel punto. È sbagliato credere che ogni singola cosa possa causare un evento. Ogni
causa è universale. Il tuo stesso corpo non esisterebbe se l'universo non contribuisse
alla sua creazione e sopravvivenza. Le cose accadono come accadono perché il
mondo è com'è. Per alterare il corso degli eventi, devo immettere un fattore nuovo,
che non può essere che me stesso, il potere dell'amore e della comprensione messi a
fuoco dentro di me.
Quando nasce il corpo, gli succedono un mucchio di cose alle quali tu, che ne sei solo
l'abitante, partecipi credendo di essere il corpo stesso. Piuttosto, sei come lo
spettatore che ride e piange per la trama del film. Basta che egli sposti l'attenzione
dallo schermo su di sé per rompere l'incantesimo. Quando il corpo muore, la vita che
vivi ora - un succedersi di eventi fisici e psichici - si estingue. Ma per quel tipo di
estinzione, potresti non attendere la morte del corpo; basterebbe trasferire l'attenzione
sul sé e mantenervela. Tutto avviene come se un potere misterioso creasse e
muovesse ogni cosa. Persuaditi che non sei colui che muove, ma solo l'osservatore, e
sarai in pace.
I.: Questo potere è separato da me?
M.: Naturalmente no. Ma devi anzitutto allenarti a diventare un osservatore
spassionato. Solo allora coglierai la tua vera natura di amante e attore universale.
Finché sei coinvolto nei triboli della persona, non puoi vedere nulla al di là. Verrà il
momento in cui scoprirai di non essere né il particolare - la persona che appari -, né
l'universale, ma al di là. Come la punta della matita può tracciare tantissimi disegni,
così il punto inesteso della consapevolezza traccia i contenuti dell'universo; trova
quel punto e sii libero.
I.: Con che cosa creo il mondo in cui sto?
M.: Con i tuoi ricordi. Finché ignori il tuo ruolo di creatore, vivi in un mondo limitato
e iterativo. Se non ti identifichi col passato, sei libero di creare un mondo nuovo
armonico e bello. Oppure, sii semplicemente - al di là dell'essere e del non-essere -.
I.: Che cosa mi resta se lascio andare i ricordi?
M.: Nulla.
I.: Ho paura.
M.: Avrai paura finché non assaggerai la libertà e le sue beatitudini. Naturalmente
qualche ricordo che ti aiuti a identificare il corpo e a guidarlo, può restare, ma è
l'attaccamento al corpo come tale, che devi estinguere; il corpo cessa di essere il
campo del desiderio e della paura. Non è difficile capirlo e attuarlo, ma devi tenerci.
Senza interesse non fai nulla.
Sei un grappolo di ricordi tenuti insieme dall'attaccamento. Saltane fuori e guarda.
Per la prima volta vedrai qualcosa che non è un ricordo. Cessi di essere il tal-dei-tali,
assorto nei fatti suoi. Sei finalmente in pace. Vedi che non c'è mai stato nulla di
sbagliato al mondo: lo sbagliato eri tu, e ora è tutto finito. Le maglie del desiderio,
che è figlio dell'ignoranza, non t'intrappolano più.

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