[ 26 maggio 2018 ] fontehttps://sollevazione.blogspot.it
Presentiamo ai lettori alcuni significativi stralci del libro di Paolo Savona "Come un incubo come un sogno" (Rubbettino) in libreria nei prossimi giorni. Sarà chiaro perché gli euroinomani lo detestano e Mattarella non vuole nominarlo ministro.
SE QUALCOSA NON FUNZIONA SI CAMBIA...
«Non ho mai chiesto di uscire dall'euro, ma di essere preparati a farlo se, per una qualsiasi ragione, fossimo costretti volenti o nolenti (il piano B da me invocato). Ritengo che uscire dall'euro comporti difficoltà altrettanto gravi di quelle che abbiamo sperimentato e sperimenteremo per restare. Il problema consiste nel fatto che non abbiamo né piano A, né B. Il piano A dell'Italia è quello della Ue con le conseguenze indicate. Ho il timore che il piano B sia quello di consegnare la sovranità fiscale alla "triade" (Fmi-Bce-Commissione) se le cose peggiorano, infilandoci nella soluzione greca. Il Paese è in un vicolo cieco. Le autorità hanno il dovere di approntare e attuare due diversi piani, quello necessario per restare nell'Ue e nell'euro, e quello per uscire se gli accordi non cambiano e i danni crescono. Invece si insiste nella loro inutilità essendo l'euro irreversibile e si è disposti a pagare qualsiasi costo pur di stare nell'eurosistema. La prima dichiarazione viene fatta a voce alta, la seconda raramente, ma viene comunque pensata dagli ideologi dell'Ue e dell'euro, ben sapendo che questo costo non verrebbe pagato da loro, ma da una minoranza, sia pure di dimensione significativa».
«L'Italia
è in una nuova condizione coloniale.... siamo in presenza di un
fascismo senza dittatura e, in economia, di un nazismo senza
militarismo».
(Paolo Savona)
Presentiamo ai lettori alcuni significativi stralci del libro di Paolo Savona "Come un incubo come un sogno" (Rubbettino) in libreria nei prossimi giorni. Sarà chiaro perché gli euroinomani lo detestano e Mattarella non vuole nominarlo ministro.
COME CI FICCAMMO NEI GUAI...
«Il
mancato perseguimento degli obiettivi conduce a uno stato permanente di
tensione all'interno dell'Europa per le ingiustizie che implica: i
cittadini non sono tutti uguali nei diritti, ma solo nei doveri. L'esprit d'Europe si attenua e vengono meno le componenti
sociali della pace, la vera forza che ha trainato all'inizio l'idea di
Europa. I motivi di questa situazione sono due: l'unione non era ancora
maturata nella coscienza dei popoli europei finendo con il peggiorarla
per le cattive performance registrate nei momenti di crisi e
perché le istituzioni create confliggevano con gli obiettivi. La scelta
fu decisa da un'élite che procedette illudendo il popolo con le promesse
contenute nell'articolo 3 riportato. Per l'euro, invece, la volontà
delle élite divergeva e fu necessario un compromesso che assegnò compiti
limitati all'eurosistema e condusse a una sua nascita prematura
rispetto all'indispensabile unione politica. Le preoccupazioni erano
dovute al fatto che l'assegnazione di poteri più ampi alla Banca
centrale europea non avrebbe garantito un'inflazione contenuta e poteva
condurre a una mutualizzazione dei debiti pubblici, entrambi aspetti che
la Germania non intendeva accettare. Fu un atto di debolezza dovuto
alla fretta».
TUTTI CONTRO.... Anche Il fatto Quotidiano del 22 maggio |
ITALIA COLONIA (TEDESCA)...
«Al
di là dei difetti in materia "economica", i modi in cui l'Ue è nata,
con poca preparazione dei cittadini europei e in assenza di un
referendum in molti dei paesi firmatari, sono la manifestazione più
chiara della filosofia politica più ingiusta e pericolosa per
l'affermarsi della democrazia: quella che gli elettori non sanno
scegliere, mentre sarebbero capaci di farlo per loro conto solo gruppi
dirigenti "illuminati" che, guarda caso, coincidono con quelli al
potere. Tra questi Paesi vi è l'Italia, dove la Costituzione decisa dai
padri della Repubblica contiene la più chiara violazione del principio
democratico, quello che i trattati internazionali non possono essere
oggetto di referendum. Conosciamo le origini di questa grave
limitazione, ma esse non valgono più dalla caduta del comunismo
sovietico; torna comodo tenersi la proibizione per imporre la volontà
dei gruppi dirigenti economici e politici. Posso testimoniare
personalmente che i sostenitori del Trattato di Maastricht, in
particolare per quanto riguarda la cessione della sovranità monetaria,
erano coscienti dei difetti insiti negli accordi firmati, ma la sfiducia
che essi avevano maturato sulla possibilità di collocare l'Italia nel
nuovo contesto geopolitico hanno indotto il Parlamento a seguire i loro
consigli, compiendo un atto che sarebbe potuto essere favorevole al
Paese se l'assetto istituzionale dell'Ue avesse condotto a un'unione
politica vera e propria e non avesse i gravi difetti di architettura
istituzione e di politeia indicati...Poiché l'unione commerciale e
monetaria non ha condotto all'unione politica come sperato, questi
gruppi dirigenti ci hanno lasciato un'eredità negativa che, sommandosi
ai difetti culturali e politici del Paese, fa scivolare l'Italia in una
nuova condizione coloniale, quella stessa sperimentata dalla Grecia».
FASCISMO SENZA DITTATURA...
«L'Italia
era impreparata nel 1992 ed è ancor più impreparata oggi, per le
difficoltà che si sono accumulate e perché ha capito con quali compagni
di strada si è messa. Non accuso la sola dirigenza italiana della scelta
errata, ma anche quella europea, che era ben conscia, anche spingendosi
oltre la realtà fattuale, che l'Italia non fosse preparata per stare
nella moneta unica così come era stata concepita. Nella riunione del 24
marzo 1997, tenutasi a Francoforte, l'Italia era fuori dall'euro,
nonostante Ciampi, ministro del Tesoro del governo Prodi, avesse varato
il 30 dicembre precedente una manovra fiscale di 4.300 miliardi di lire,
imponendo quella che è ricordata come "eurotassa" per rientrare nei
parametri fiscali concordati. L'Italia aveva chiesto inutilmente di
prorogare l'avvio dell'euro, ma la Germania si oppose. Un anno dopo, il
28 marzo, l'Italia venne accettata nel gruppo di testa dei Paesi
aderenti all'euro. Non si conosce che cosa sia esattamente successo nel
corso di quell'anno; forse ha contato l'impegno della diplomazia
monetaria, dove la Banca d'Italia svolgeva un ruolo importante, o forse
il fatto che, fatti bene i calcoli, i Paesi-membri hanno compreso che,
tenendoci fuori, avrebbero patito la nostra concorrenza sul cambio e,
accettandoci, avrebbero bardato il nostro sviluppo. Ora la nuova
sovranità da espugnare è quella fiscale con le stesse modalità che hanno
ispirato la cessione della sovranità monetaria, ossia secondo una
visione di parte, pregiudiziale, del suo funzionamento, accompagnata
dalla solita dichiarazione che servirebbe a migliorare il benessere
generale. Essa non sarebbe un passo verso un'unione dove i cittadini
godono degli stessi diritti ma per consentire una buona performance
dell'euro e del mercato unico che causa una divisione tra essi. L'uomo
al servizio delle istituzioni e non viceversa, una concezione sovietica
dietro il paravento della liberaldemocrazia. Semmai si decidesse di
farlo — e i gruppi dirigenti italiani, la stessa cultura accademica
prevalente sono pronti ad accettarlo — si rafforzerebbero ancor più le
forme di coordinamento obbligatorio, di tipo burocratico, diminuendo
quello spontaneo garantito dal mercato unico creato con gli Accordi di Roma del
1957. Il problema dell'Ue non è l'autonomia delle sovranità fiscali
nazionali, peraltro già vincolate dai parametri di Maastricht e
rafforzate con il fiscal compact, ma l'assenza di un'unione
politica in una delle forme conosciute di Stato. Spiace doverlo
evidenziare, ma, cavalcando l'ideale elevato di porre fine alle guerre
tra Paesi europei, non potendo procedere per via politica, i gruppi
dirigenti hanno deciso di seguire una soluzione dove i principi
democratici non hanno accoglienza. La conseguenza di questa scelta ha i
contenuti di un fascismo senza dittatura e, in economia, di un nazismo
senza militarismo».
|
SE QUALCOSA NON FUNZIONA SI CAMBIA...
«I
gruppi dirigenti apprezzano l'inversione dei rapporti di forza
favorevole che l'Ue stabilisce tra loro e il popolo, in particolare i
lavoratori, con i media che esaltano quasi quotidianamente "le
magnifiche e progressive sorti" dell'Unione europea per il Paese, anche
se esse non emergono dalla realtà. L'enigma (peraltro di facile
soluzione) è a quale parte del Paese si riferiscono? Purtroppo la
risposta è quella parte che già sta bene e sa difendersi, essendo in
larga maggioranza. Siamo tornati indietro di secoli nelle conquiste
raggiunte nella convivenza civile democratica. Poiché una politica
monetaria comune non si adatta a tutte le esigenze o condizioni di fatto
dei Paesi che aderiscono alla moneta unica, l'aggiustamento dovrebbe
essere attuato con adeguate politiche fiscali, le quali, come si è
ricordato, sono restate nelle mani dei singoli Paesi, ma sono vincolate
da limiti ben precisi posti ai deficit del bilancio pubblico e al
livello del debito sovrano sul Pil. Soprattutto per i Paesi, come
l'Italia, che fin dall'inizio avevano una posizione squilibrata rispetto
a questi due parametri fiscali (oltre il 7% nel deficit di bilancio e
oltre il 100% nel rapporto debito pubblico/Pil), gli spazi per queste
politiche sono di fatto attribuiti in modo asimmetrico, positivi per chi
rientra nei parametri concordati, negativi per gli altri. L'ingiustizia
è innata negli accordi (...) Non c'è verso di convincere i leader
dell'Unione europea di seguire il principio di Franklin Delano Roosevelt
che se qualcosa non funziona, si cambia. Ma il cambiamento richiede
preparazione scientifica, fantasia creatrice e coraggio per
intraprenderlo. Nell'Ue le forze della conservazione prevalgono. La
storia economica brevemente percorsa suggerisce che è necessario mutare
le politiche riguardanti gli investimenti, soprattutto pubblici, e la
tutela del risparmio operando sui tassi dell'interesse e sul rischio,
nonché il funzionamento del sistema monetario internazionale ed europeo,
affrontando con adeguate politiche i divari di produttività tra aree
geografiche, settori produttivi e dimensioni di impresa. Se non lo fa,
la società prima o dopo si vendicherà, seguendo i movimenti di protesta
non perché siano preparati ad affrontare il problema, ma solo perché
insoddisfatti delle politiche seguite dai partiti tradizionali».
«Non ho mai chiesto di uscire dall'euro, ma di essere preparati a farlo se, per una qualsiasi ragione, fossimo costretti volenti o nolenti (il piano B da me invocato). Ritengo che uscire dall'euro comporti difficoltà altrettanto gravi di quelle che abbiamo sperimentato e sperimenteremo per restare. Il problema consiste nel fatto che non abbiamo né piano A, né B. Il piano A dell'Italia è quello della Ue con le conseguenze indicate. Ho il timore che il piano B sia quello di consegnare la sovranità fiscale alla "triade" (Fmi-Bce-Commissione) se le cose peggiorano, infilandoci nella soluzione greca. Il Paese è in un vicolo cieco. Le autorità hanno il dovere di approntare e attuare due diversi piani, quello necessario per restare nell'Ue e nell'euro, e quello per uscire se gli accordi non cambiano e i danni crescono. Invece si insiste nella loro inutilità essendo l'euro irreversibile e si è disposti a pagare qualsiasi costo pur di stare nell'eurosistema. La prima dichiarazione viene fatta a voce alta, la seconda raramente, ma viene comunque pensata dagli ideologi dell'Ue e dell'euro, ben sapendo che questo costo non verrebbe pagato da loro, ma da una minoranza, sia pure di dimensione significativa».
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