domenica 3 settembre 2017

Guerra tra poveri: chi ci guadagna?

di GIANLUCA BALDINI (FSI Pescara)
Anni fa conobbi Saïd.
Veniva dal Marocco, aveva il viso angelico di un bambino, la voce squillante, gli occhi grandi e tondi che quasi la sua testolina non li conteneva. Carnagione olivastra da fototipo magrebino, capelli corti ricci neri come il petrolio. La sera stavamo insieme, gli offrivo spesso da mangiare e da bere. Adorava il panino con la frittata e lo mandava giù alla velocità della luce con una lattina di Coca Cola. Saïd mi inteneriva solo a guardarlo, piccolo, implume e innocuo. Poco dopo scoprii che aveva qualche anno più di di me, ma continuavo a trattarlo come un cuginetto da accudire. Mi raccontò la sua storia, un film drammatico che ambiva a concludersi con un lieto fine. Saïd aveva raggiunto l’Europa illegalmente dalla Spagna, viaggiando in un vano sotto il semirimorchio di un camion. Un viaggio attaccato alla vita con l’asfalto che correva sotto a cento all’ora. Mi diceva di essere ospite di alcuni ragazzi che lo avevano aiutato una volta raggiunta l’Italia in un appartamento vicino lo stadio, che però non volle mai farmi vedere. Passò da Roma e si ritrovò a Pescara per puro caso, nel suo vagare senza meta. Saïd le giornate le passava per strada, con gli altri diseredati nordafricani che bazzicano la stazione. Non passò molto tempo, forse un paio di mesi, prima di iniziare ad assistere alla sua trasformazione. La strada è una scuola di vita, dove non esistono i compiti in classe, i voti, gli esami. Si affrontano prove ben più faticose e rischiose. O sopravvivi, o muori. Questo è il metro di valutazione. Sono certo che Saïd volesse sopravvivere e che, se avesse potuto, avrebbe scelto un’altra strada. Fatto sta che di lì a poco mi avrebbe incrociato per strada ignorandomi, con gli occhi sbarrati e iniettati di sangue e la camminata dinoccolata strafottente da ras del quartiere. Avevo capito tutto. Una sera lo incontrati col suo gruppo di “amici” e lo avvicinai per salutarlo e chiedergli come andasse. Mi rispose “sciao belo, fumo, coca…?”. Il “lieto fine” di questa storia purtroppo si è consumato nel carcere di San Donato. Non ho più saputo nulla di Saïd e francamente non ci ho neanche più pensato, sono passati più dieci anni ormai.
Stamattina però mi è tornato in mente Saïd. L’ho rivisto negli occhi di Samuel, un ragazzo nigeriano che è arrivato un mese fa in città. Aspetta seduto su una cassetta della frutta rotta all’ingresso di un noto bar del centro dove vado a fare colazione ogni mattina. Samuel sembra un angelo, come Saïd. Ha un viso delicato e lo sguardo che parla da solo. Le sofferenze e la voglia di riscatto gliele leggi negli occhi. Sembra un bambinone, ma ha poco più di vent’anni. Quando lo incrocio gli chiedo se vuole fare colazione. Solo la prima volta ha accettato di buon grado, ma ormai mi dice sempre che ha già fatto, così all’uscita gli lascio due euro. “Dio ti benedica, grazie, buona giornata”. Per due euro, Cristo! “Dio ti benedica”. Perché per lui due euro sono oro. La sofferenza e la marginalità ti portano ad accettare tutto, a sopravvivere di fronte alle difficoltà e ad accogliere qualsivoglia tipo di aiuto come una benedizione dal cielo. Quanto durerà? Quanto tempo passerà prima che questo bambinone faccia la fine dell’amico venuto dal Marocco? La delinquenza nigeriana non ha nulla da invidiare alle altre. Molte prostitute di colore sono nigeriane e sappiamo che vengono portate qui con la promessa del paradiso e poi finiscono per strada sfruttate e ricattate con rituali voodoo, perché i nigeriani sono per lo più animisti e credono nella magia nera. Gli sfruttatori nigeriani sono i più efferati, arrivano a praticare mutilazioni e vessazioni di ogni tipo. E, benché specializzati nel mercato del sesso a pagamento, non disdegnano il business della droga. Quando Samuel verrà avvicinato da questi bastardi subumani sarà troppo tardi anche per lui, ma certe storie sono tutte uguali, dall’incipit al finale. Se vivi per strada, tra l’altro in un paese straniero, la lotta per la sopravvivenza ti porta a fare scelte che non avresti mai voluto fare. È inevitabile.
Ecco perché dico che l’accoglientismo scriteriato, le porte aperte a tutti, il mondo senza frontiere, la fratellanza universale… sono belle parole per descrivere un inferno senza fine. Samuel, che è un angelo, probabilmente farà una brutta fine. La sua storia sarà strumentalizzata per alimentare il razzismo più becero. L’intolleranza monterà fino al limite dell’odio sociale, mentre aumenteranno sempre di più i casi di giovani bravi ragazzi stranieri assoldati dai peggiori criminali loro connazionali.
Contemporaneamente gli italiani che vivono condizioni di marginalità si sentiranno depredati delle risorse che spetterebbero loro, perché nell’attuale sistema economico, in regime di pareggio di bilancio, le risorse destinate a un utilizzo sono sottratte ad altro. I quattro miliardi di euro l’anno impiegati per la gestione dei migranti (cui l’UE aggiunge una miseria, 90 milioni) sono risorse che potrebbero essere destinate per esempio all’edilizia residenziale pubblica per coprire l’emergenza abitativa di quanti risiedono in italia (italiani e immigrati regolari) e non hanno alloggi disponibili.
In questa guerra tra poveri perdono tutti. I migranti, utilizzati per alimentare un business e sbattuti da una parte all’altra senza garanzia alcuna sulla fine che faranno. Gli immigrati regolari che risiedono e lavorano in Italia, che pagano con la diffidenza o anche l’odio sociale le politiche di importazione di uomini che stanno generando tensioni crescenti. Gli italiani più poveri, che si sentono saccheggiati dallo straniero e nei quali viene dunque inoculato il virus del razzismo.
Per capire chi desidera tutto ciò, fatevi una domanda: se tutte queste categorie di persone, che costituiscono le fasce deboli, ci perdono, chi ci guadagna?

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