sabato 5 luglio 2014

Il dolore e l’ipocrisia

Da un poco di tempo le associazioni e i gruppi vegani e vegetariani stanno prendendo di mira la macellazione degli animali provenienti dagli allevamenti “biologici” facendo notare che, per quanto allevati a terra, nei pascoli, in situazioni ambientali non costrittive, alla fine gli animali vengono uccisi come gli altri e per lo stesso motivo: essere trasformati in cibo. Ed è proprio così … per quanto si tenti di spiegare la differenza di qualità di vita tra un allevamento industriale e uno biologico … la fine è identica: morire per finire nel nostro piatto.
Manifesto animalista
Presso i “popoli nativi” l’uccisione dell’animale era ed è sempre accompagnata da preghiere o riti di ringraziamento per il sacrificio o scusa per la morte arrecata … ma molto probabilmente a nessun animale  interessavano e interessano queste scuse o preghiere: il suo istinto è vivere … vivere e procreare. Il cibo di origine animale che noi consumiamo provoca una sconfinata, immensa e indicibile spirale di sofferenza e morte.
Nel mondo naturale, che tanto ci affascina, meraviglia e commuove … l’imperativo è: vivere, nutrirsi e riprodursi. Il fiero lupo, la nobile aquila, il delfino … tutti i predatori insomma uccidono e mangiano le loro prede … quindi anche il ciclo di vita-morte che sovraintende tutte le forme animate è, nello stesso tempo, un infinito susseguirsi di sofferenze : senza morte non sarebbe la vita.
Ma noi umani facciamo di più: ogni nostra attività, ogni oggetto che usiamo, ogni cosa che possediamo ha provocato e provoca da qualche parte del pianeta  l’identica spirale di sofferenza e morte. Basta pensare alla storia del petrolio, delle materie prime, alla colonizzazione, all’industrializzazione, all’agricoltura intensiva … l’elenco sarebbe infinito. Se non usi scarpe in cuoio le usi in materiale sintetico derivato dal petrolio … se mangi cibo biologico lo puoi fare grazie all’uso di concimazioni a base di letame (che proviene da allevamento animale) …
Appena il sistema economico in cui tutti viviamo, più o meno bene,  a cui tutti partecipiamo in differenti forme e con differenti gradi di consenso o dissenso, comincia entrare in crisi … appena il tasso di crescita si arresta o scende di mezzo punto … ovvero appena abbiamo meno soldi per consumare e meno opportunità di lavorare, produrre e guadagnare … andiamo nel pallone. Ci fosse uno straccio di forza politica, di movimento sindacale, di movimento di protesta, di piazza indignata che proponga e lotti per la diminuzione della produzione, del consumo e del lavoro.
Questo tempo che viviamo è talmente complesso, interdipendente che a nessuno di noi sono concesse vie di fuga: partecipiamo attivamente tutti alla costruzione del dolore planetario.
Il poeta Gary Snyder diceva che l’unica cosa che possiamo fare è vivere con attenzione e leggerezza cercando di provocare la sofferenza minore al pianeta e di riparare ad alcuni dei danni  che provochiamo, quando ci è possibile. Credersi innocenti è un puro esercizio di ipocrisia.

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