Fonte ilcorsivoquotidiano.net
La costituzione americana vieta di attaccare uno stato estero per primo. Un bel problema per l’aggressiva politica a stelle e strisce che mira all’incondizionato dominio planetario. Nel corso della storia, tutti i guerrafondai governi degli Stati Uniti, hanno risolto il problema creando ad arte dei falsi attacchi alle forze militari americane, facendo così passare ogni operazione di guerra come una contromossa difensiva d’obbligo. Il falso “casus belli” poi, con l’aiuto dei compiacenti strilli della stampa filo-governativa, veniva utilizzato per convincere l’intera opinione pubblica a sostenere l’interventismo.
La pratica di creare finti attacchi nemici per raggirare la costituzione e poter liberamente dichiarare guerra ai fantomatici aggressori ha un nome ben preciso nella lingua degli yankees: si chiama false flag. E tutte le più recenti guerre che hanno coinvolto gli States ne hanno una. Tutte le guerre moderne dell’America nascono da una menzogna.
Lo stile sensazionalistico con il quale i media americani trattarono i casus belli creati ad hoc, convincendo ogni singolo americano che l’America fosse stata attaccata per prima, ha invece assunto il nome di Yellow Journalism ovvero “Stampa Gialla”. Il primo grande convincimento mediatico di una ipotetica aggressione agli Stati Uniti fu architettato da William Randolph Hearts, il grande magnate della stampa americana, una sorte di Berlusconi ante litteram, che sul suo “New York Journal” convinse l’intera nazione ad entrare in guerra contro gli spagnoli. Era il 1898.
1898. Conflitto ispanico-americano.
Il naufragio del Maine.
Con questa guerra gli Stati Uniti tolsero alla Spagna il controllo su Cuba e Portorico nell’Atlantico e su Guam e le Filippine nel Pacifico. Il naufragio dell’incrociatore della Marina Americana U.S.S. Maine fu la causa scatenante del conflitto. Anni dopo si scoprì che non furono gli spagnoli a far colar a picco il Maine, come aveva gridato i giornali di Hearts, ma fu un incendio avvenuto nei locali delle caldaie a carbone a causare l’affondamento che uccise 266 Marines.
Nonostante la Spagna smentisse fin da subito ogni coinvolgimento fino a chiedere l’istituzione di una commissione internazionale per indagare sulle vere cause del naufragio, gli USA dichiararono sbrigativamente guerra alla Spagna. Ciò non sarebbe stato possibile se la stampa gialla di Hearts non avesse fatto bene il suo compito. L’indignazione popolare per l’accaduto, fomentata oltre misura dagli “yellow papers”, fu necessaria per far approvare dal Congresso il rapidissimo via libera per la guerra. Il 20 aprile 1898 il presidente McKinley approvò così una risoluzione che imponeva l’immediato ritiro dell’esercito spagnolo da Cuba. In 4 giorni, subito dopo lo scontato rifiuto di Madrid alla firma della resa incondizionata, l’intera flotta spagnola colò a picco sotto i colpi della più forte e numerosa compagine dei Marines.
La Spagna dovette arrendersi e firmare il trattato di Parigi, che sanciva la completa perdita della propria sovranità sui territori cubani. Fu la stessa stampa della propaganda bellica a dipingere poi come eroe di guerra il cospiratore Theodore Roosevelt, il Ministro della Marina che mise in piedi la grande bugia dell’ U.S.S. Maine, favorendolo così nelle successive elezioni presidenziali. Solo nel 1987, ben cento anni più tardi, fu messa in piedi una vera ed imparziale commissione d’inchiesta (dopo l’inconcludente commissione del 1911 e seguita da quella del 2000 che ne confermò la validità) che stabilì che gli spagnoli non ebbero alcuna responsabilità nell’attentato. I commissari dichiararono che l’esplosione sarebbe avvenuta “a causa di esplosivi fatti collocare troppo vicino alle caldaie dal capitano della nave” e che “tutti i fori nello scafo erano orientati dall’interno all’esterno compatibilmente con una esplosione interna”.
Solo 17 anni dopo il Maine un altro naufragio riportò l’America in guerra. Anche nel caso della Prima Guerra Mondiale la false flag per l’entrata in guerra fu l’affondamento di una nave, in questo caso un transatlantico britannico con a bordo migliaia di civili americani.
1915. Prima Guerra Mondiale.
Il Naufragio del Lusitania.
Sono le 14:10 del 7 maggio 1915. La grande nave da crociera Lusitania con a bordo un migliaio di cittadini americani, salpata da New York il primo maggio, si trovava a circa 30 miglia al largo delle coste irlandesi. Il comandante Turner decise di ridurre la velocità a 18 nodi a causa della forte nebbia. 18 minuti dopo la nave era già sul fondo mare, silurata da un sommergibile tedesco U-20.
L’America intera si indignò. Qualunque americano ignaro d’essere manipolato, gridò alla vendetta contro la Germania. Ennesimo naufragio, ennesima messinscena, ennesima guerra.
Il transatlantico affondato, fatto passare dalla stampa americana come una nave da crociera carica di soli civili, in realtà trasportava 1248 casse di granate Shrapnel da 3 pollici e 4927 cassette di cartucce dal peso complessivo di 173 tonnellate; Altre 2000 casse di munizioni furono trasbordate dalla nave Queen Margaret al Lusitania, all’ultimo momento, poco prima della partenza.
La nave era inoltre dotata, per ogni ponte, di 12 cannoni girevoli da 6 pollici a tiro rapido, equipaggiati con proiettili ad alto esplosivo. (La Cunard, società di trasporti proprietaria del Lusitania, aveva infatti accettato di mettere le sue navi a disposizione della Marina Militare inglese dell’ammiraglioWinston Churchill).
La Germania non avrebbe mai voluto che l’America entrasse in guerra. Sapeva però che diverse navi passeggeri americane rifornivano costantemente di materie prime l’Inghilterra. Per impedire ciò, impose il divieto di navigazione intorno alle coste del Regno Unito e, tramite la propria ambasciata in America, il capo dei servizi segreti tedeschi Franz Von Papen fece pubblicare su tutte le principali testate giornalistiche il seguente avviso:
Ai viaggiatori che intendono intraprendere la traversata atlantica si ricorda che tra la Germania e la Gran Bretagna esiste uno Stato di guerra. Si ricorda che la zona di guerra comprende le acque adiacenti alla Gran Bretagna e che, in conformità di un preavviso formale da parte del Governo Tedesco, le imbarcazioni battenti la bandiera della Gran Bretagna o di uno qualsiasi dei suoi alleati sono passabili di distruzione una volta entrati in quelle stesse acque.
Era il 22 Aprile 1915. Dopo poco più di una settimana, mille americani ignorarono l’avviso e s’imbarcarono per l’Inghilterra sulla Lusitania.
La Cunard aveva inoltre informato il Comandante William T. Turner che il transatlantico, giunto a circa 40 miglia dalle coste irlandesi, sarebbe stato scortato da alcuni elementi della squadra incrociatori “E” (si trattava in realtà di un solo incrociatore, il Juno). A Mezzogiorno però il Juno ricevette da Churchill l’ordine di rientrare in porto consegnando la Lusitania al suo inesorabile destino.
Il comandante Kenworthy, membro della sezione politica del servizio informazioni dell’esercito inglese, scrisse in seguito che il transatlantico fu “deliberatamente indirizzato verso un’area in cui era noto che si celasse un U-boot tedesco in agguato”.
Il 24 Aprile, Winston Churchill scrisse al Presidente della Camera di Commercio: “É molto importante attirare le navi neutrali verso le nostre coste, al fine di spingere gli USA ad entrare in guerra contro la Germania”.
I giornali americani parlarono di un inspiegabile attacco, ad opera di un nemico psicopatico, che si divertiva nel tiro al bersaglio di inermi civili americani. L’opinione pubblica venne nuovamente ingannata e convinta ad accettare un’altra guerra. D’altronde senza internet e i blog di informazione indipendente, chi poteva confutare ciò che dicevano i giornali? Anche il 7 dicembre 1941 la disinformazione propagandistica dell’America vinse incontrastata.
1941. Seconda Guerra Mondiale.
Attacco a Pearl Harbour.
Nuova guerra, nuova false flag. Gli americani sapevano benissimo che i kamikaze si sarebbero abbattuti sulle flotte americane nel porto hawaiano quel giorno. Il giornale locale“Honolulu Advertiser” aveva previsto l’attacco diversi giorni prima; da mesi tutti i codici segreti giapponesi erano stati decifrati; Roosvelt venne informato dell’imminente attacco nelle Hawaii il 4 dicembre ma non fece nulla per evitarlo.
Il Segretario di Guerra Henry Stimson, scrisse nel suo diario in data 1 dicembre 1941:“Abbiamo trovato (con Roosvelt) la maniera di manovrare i giapponesi in maniera che sparino per primi, contenendo le perdite (alla sola flotta d’ormeggio a Pearl Harbour)”.
Nel 2000 lo storico Robert Stinnett, dopo un approfondito studio sui testi delle intercettazioni della marina nipponica, grazie all’autorizzazione che gli concesse il Presidente Carter nel 1979, giunse alla conclusione che:
- Il 7 ottobre 1940 il capitano di corvetta Arthur McCallum, capo dell’ONI (Office of Naval Intelligence) per l’Estremo Oriente, presentò a Roosevelt un piano in otto punti per provocare l’attacco giapponese contro gli Stati Uniti che sarebbe stato fedelmente applicato dal presidente nei mesi seguenti;
- I servizi statunitensi avevano decifrato fin dall’autunno 1940, oltre al codice Purple (diplomatico), anche quattro varianti del codice della marina giapponese (Kaigun Ango) che avrebbe dovuto permettere, oltre ogni ragionevole dubbio, l’identificazione dei movimenti delle navi da guerra e di tutti i segnali di chiamata radio nipponici;
- Il 27 gennaio 1941 l’ambasciatore Grew comunicò a Washington che un suo funzionario aveva saputo da un diplomatico peruviano in Giappone che i nipponici preparavano un attacco alle Hawaii;
- L’ammiraglio Kimmel non venne informato dei successi dei decifratori statunitensi e venne escluso dalle comunicazioni segrete basate sulla decrittazione;
- Il 2 e il 6 dicembre 1941 l’addetto navale dell’ambasciata olandese, Johan Ranneft, testimoniò di aver visto all’ONI, a Washington, le carte con la posizione identificata delle portaerei giapponesi, che quindi era conosciuta dagli statunitensi prima di Pearl Harbor;
- Le navi della forza d’attacco dell’ammiraglio Nagumo non mantennero il silenzio radio ma rilasciarono una serie di messaggi che furono intercettati dalle stazioni di ascolto alleate per tutto il tempo della preparazione dell’attacco.
Stinnet venne immediatamente criticato da diversi storici contemporanei. La versione “ufficiale”, quella che leggiamo oggi sui libri di storia, parla ancora dell’attacco di Pearl Harbour come un’incursione totalmente inaspettata dall’esercito americano. Alla luce di tutti questi indizi, del clamore con cui la stampa americana ha aizzato l’intero popolazione contro gli odiati giapponesi e soprattutto consci delle macchinazioni passate, sembra davvero improbabile che Roosvelt fosse all’oscuro di tutto. Lui sapeva ma non poté rifiutare un così perfetto pretesto per entrare in guerra. Una guerra con un’altissima posta in palio: Lo status di più grande potenza del Mondo.
Il giorno dopo l’attacco, l’intero Congresso, con un solo voto contrario, decretò l’entrata in guerra dell’America. Fu lo stesso presidente Roosvelt a dare il via alla grande propaganda bellica della stampa statiunitense, rivolgendo alla nazione le famose parole:“Ieri, 7 dicembre 1941, una data che entrerà nella storia come il giorno dell’infamia, gli Stati Uniti sono stati improvvisamente e deliberatamente attaccati dalle forze aeree e navali dell’impero del Giappone”.
Ovviamente anche la guerra del Vietnam ebbe la sua false flag, il suo pretesto creato ad hoc per convincere gli americani ad appoggiare il conflitto. Siamo nel 1964.
1964. Guerra del Vietnam.
Incidente nel Golfo del Tonchino.
Il Congresso votò la risoluzione per l’ufficiale entrata in guerra il 7 agosto 1964. La causa scatenante dell’ingresso dell’America in guerra fu l’attacco di quattro motosiluranti nord-vietnamiti alcacciatorpediniere americano USS Maddox. Era il 2 Agosto. In realtà dai P4 del Vietnam del Nord partì soltanto una silurata a salve a scopo d’intimidazione. Gli americani risposero all’attacco: il motosilurante che sparò a salve venne affondato, gli altri tre vennero seriamente danneggiati, mentre scappavano nel senso opposto, cercando rifugio in acque internazionali.
Per di più, qualora i nord-vietnamiti avessero attaccato veramente, non l’avrebbero fatto per primi: L’esercito americano infatti aveva già incostituzionalmente aperto il fuoco contro i Viet Cong. Ciò che venne riportato all’opinione pubblica come un meschino attacco ingiustificato fu una risposta dell’esercito nord-vietnamita alle diverse operazioni militari che il Maddox aveva già compiuto in Vietnam. Il cacciatorpediniere americano, infatti, era già stato impiegato in due operazioni militari, fornendo supporto agli attacchi sudvietnamiti a Hon Me e Hon Ngu.
La grande menzogna s’ingigantì il 4 agosto alle 22:36, quando venne inscenato il secondo attacco al Maddox. Il cacciatorpediniere americano lanciò immediatamente l’allarme, affermando di aver ricevuto dei chiari segnali radar che fecero presagire ad un nuovo attacco nord-vietnamita proveniente da altre 4 motosiluranti Viet Cong a 36 miglia di distanza dal Maddox. Il comandante dello stormo dei caccia bombardieri che si alzò in volo, il capitano J.B. Stockdale riferì in seguito, in una nota ufficiale, di non essere riuscito ad ottenere le coordinate d’attacco al Maddox e che nemmeno i due caccia-bombardieri Douglas A-4 Skyhawk decollati dalla portaerei U.S.S. Constellation, che rimasero in zona di operazioni fino a mezzanotte inoltrata, trovarono un bersaglio da attaccare. Che il secondo attacco fu bellamente inventato é decisamente più che un sospetto: Nel 2005 una relazione ufficiale della NASA lo confermò.
Il Presidente Jonson, quando si trovò a dover parlare alla nazione, per convincere tutti che la Risoluzione del Congresso fosse cosa giusta, parlò di due attacchi immotivati del nemico e negò subdolamente l’incostituzionale supporto militare del Maddox a Hon Me e Hon Ngu. Un anno dopo, in una conversazione privata intercettata nel suo ufficio, Jonson disse: “Per quanto ne so, la nostra marina stava sparando alle balene laggiù”.
Altro che “meschino attacco comunista” come titolarono i principali giornali d’America. Anche questa volta l’intero popolo degli States é stato abbindolato da una false flag. Un elemento davvero ridondante nella breve storia americana. GUARDA IL VIDEO:
Le macchinazioni americane per creare nuove guerre, con l’avvento della modernità e dei nuovi media, non poterono più rifarsi ad uno scontato attacco navale. Sarebbe stato troppo facile da confutare e davvero difficile da architettare nella nuova era dell’informazione ormai troppo rapida ed efficiente. Servivano nuovi pretesti, false flag più raffinate. Degna di nota fu la propaganda anti-irachena del 1991.
1991. Prima Guerra del Golfo.
Le lacrime di Naiyrah.
La commovente testimonianza di Naiyrah, una giovane kuwaitiana testimone delle atrocità irachene in Kuwait, toccò non solo l’America, ma l’intero mondo. Disse tra le lacrime, con le telecamere di tutto il pianeta puntate in faccia: “Ho visto i soldati iracheni entrare nell’ospedale armati, hanno preso i bimbi dalle incubatrici e li hanno lasciati morire per terra”. L’aggressione, immediatamente catalogata come crimine contro l’umanità, in realtà non avvenne mai. Si scoprì in seguito che la messinscena fu architettata dal rinomatostudio di relazioni pubbliche americano Hill and Knowitown e che Naiyrah, era in realtà la figlia dell’ambasciatore del Kuwait. GUARDA IL VIDEO:
Saddam Hussein, dopo quel grande attacco mediatico, divenne il diavolo agli occhi di qualsiasi cittadino occidentale. Non per le atrocità che commetteva quotidianamente contro i kuwaitiani e il suo stesso popolo, tra l’altro con le armi che gli stessi Stati Uniti gli avevano fornito, ma per una storiella allegramente inventata: Tutta l’America da quel giorno lo voleva morto. L’operazione Desert Storm poteva iniziare.
2003. Seconda Guerra del Golfo.
Le armi di distruzione di massa.
12 anni dopo, nel 2003, La Casa Bianca decise che Saddam Hussein, che si salvò dalle bombe americane del 91, andava definitivamente deposto. Bush convinse l’intero mondo che l’Iraq aveva armi di distruzione di massa e che stesse segretamente aiutando il terrorismo islamico. In pochi mesi Saddam venne sconfitto, ma delle presunte armi chimiche nessuna traccia.
Il reportage di Judith Miller sulle pagine delNew York Times fece da apripista alla propaganda interventista americana in Iraq. L’America si fece convincere che Saddam avesse davvero le armi dalle fonti dubbie e fantasiose di quell’inchiesta e, per l’ennesima volta appoggiò un’ingiusta guerra. GUARDA I VIDEO:
In nome della “correttezza politica” evito di fare riferimenti all’11 settembre o alla guerra in Libia, dato che ad oggi, non si hanno prove concrete di nessuna cospirazione e conseguente propaganda mediatica di copertura. Forse negli ultimi anni gli americani hanno imparato ad essere più sgamati…Anche se, nel caso dei disordini siriani di questi giorni, una nuova false flag é stata ormai definitivamente smascherata: Leggi qui.
A conclusione di questa analisi storica c’è una bella ciliegina sulla torta. Nel 2005 venne scoperto un importante meccanismo che il governo americano utilizzava per le sue macchinazioni propagandistiche mediatiche. La Casa Bianca ammise che fabbricava dei finti video amatoriali o dei finti documenti, fatti spacciare per lavori di giornalisti indipendenti, che venivano poi inoltrati a tutti i principali organi mediatici del paese, spacciandoli per veri. Il Pentagono in questo modo poteva creare ad arte, in qualsiasi zona del pianeta, delle fantomatiche zone di guerra, potendo così scagliarsi a piacimento su questo o quello stato nemico.L’Accuntabily Office dichiarò totalmente illegale questa pratica. La risposta del governo degli States sta nella pubblicazione di un ufficiale documento presidenziale che, in risposta, rendeva da quel momento, e con effetto immediato, pienamente legale la pratica delle cosiddette “fake news”.
Un altra subdola pratica del Pentagono, iniziata nel 2002 e tutt’ora in atto, é quella di mandare dei propri ufficiali della CIA, spesso in pensione, nei principali telegiornali serali e talk show americani, sotto mentite spoglie, facendoli passare per esimi analisti o autorevolissimi studiosi. Furono loro a confermarono che Saddam avesse armi, che l’Afganistan andava invaso e che Gheddafi era un tiranno. Nel Dicembre 2011 il D.o.D. dichiaròperfettamente legale anche questa pratica, definendola “in linea con la politica e i regolamenti governati degli Stati Uniti”.
Ciò che rimane davvero libero é internet. Blog e social networks sono incontrollati e portatrici della democrazia che gli States amano soffocare. Diciamo più i blog che i Social Networks. Infatti nel febbraio dell’anno scorso, il governo americano ha concluso un contratto con HbGary Federal per sviluppare dei software che creassero diversi account fake gestiti dal governo, per monitorare e condizionare dall’interno il libero pensiero dei giovani cybernauti dei social networks. A Mac Dill, una base militare della Florida, c’è il centro coordinativo del programma. GUARDA IL VIDEO (dal decimo minuto in poi):
Insomma, la storia é piena di macchinazioni e manipolazioni del governo americano sui media e quindi, indirettamente anche sulla libera formazione del pensiero dell’opinione pubblica. Da sempre ci fanno credere ciò che vogliono. ci convincono della giustezza di guerre, crimini e massacri. Oggi però, con l’avvento dell’informazione indipendente del web, abbiamo finalmente un’arma per combattere la disinformazione propagandistica.
Solo un popolo attivo, che indaga su ciò che gli viene detto, é un popolo veramente libero.
FONTI:
il video report di informarexresistere.fr “come i media spingono il mondo alla guerra”, consultabile qui:
Molto interessante, domani metto l'inizio nel blog e il link che invia a questo articolo che dimostra una menzogna dietro la'ltra a cui tutti i babbei credono, di solito!
RispondiEliminaCiao
Ma ascolta, dimmi una cosa, come cavolo hai fatto a mettere l'articolo tutto tale e quale a come lo si trova alla fonte? Io non sono capace di farlo, eppure ne vedo altri in giro che lo fanno, quindi si può, ma come si fa????????
RispondiEliminaSemplicemente copiato e incollato
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