Di Lorenzo Pennacchi
Nata nel 1937 da un chiosco di hot dog, la McDonald’s corporation è diventata la maggiore catena di ristoranti “fast food”. Presente in ogni parte del globo, la sua ascesa planetaria è determinata dall’incredibile forza che questo marchio riesce a conferire all’apparenza, attraverso una pubblicità ingannevole ed onnipresente. Un clown, un logo scintillante, cibo economico, un’atmosfera di bontà e semplicità: così il McDonald’s si presenta agli occhi delle persone. Ma la realtà è ben differente. Nella sua interezza rappresenta il simbolo del sistema odierno: il capitalismo di stampo neoliberista. Un modello fondato sulla produzione di massa, reso possibile dal “libero” mercato globale, alimentato dal consumo sfrenato e finalizzato unicamente al profitto. Questo marchio multinazionale è uno dei massimi artefici della globalizzazione economica che, lentamente e velatamente, continua il suo progetto di distruzione delle differenze naturali e culturali. A farne le spese è la Natura nel suo insieme: deforestazione, massacro animale e sfruttamento umano.
Ettari ed ettari di foreste pluviali vengono abbattuti ogni anno, privando la Terra dei suoi polmoni, per far posto ad allevamenti di animali destinati al macello e a monocolture di soia riservate all’industria della carne. Le conseguenze per gli animali non umani sono devastanti: alcuni di essi vengono privati del loro habitat, gli altri condannati ad una vita di schiavitù negli allevamenti intensivi. Di certo, gli umani non se la passano meglio. Le tribù indigene, presenti perlopiù in America latina, Africa ed India, pagano a caro prezzo i costi del progresso. Le loro culture, armoniose nei confronti del Pianeta, vengono costantemente distrutte dai marchi multinazionali, interessati solamente ad ingrandire il proprio dominio e ad alimentare il mercato. Nello stesso tempo, a seguito di una politica alimentare insostenibile, mossa unicamente da interessi privati, siamo vittime di un paradossale squilibrio: mentre in differenti parti del Mondo le persone muoiono di fame, in altre obesità e diabete dilagano. Il destino di un bambino asiatico e di un americano, come quello di una foresta e di un pollo, sono in stretta connessione, minata, oggi più che mai, dalle logiche del sistema.
Il processo di “americanizzazione”, definito da George Ritzer come propagazione di idee, usanze, modelli sociali, industria e capitale americani nel mondo, vede nella “McDonaldizzazione” il suo esempio più significativo. Sempre per il sociologo statunitense, questa rappresenta un processo profondo e di ampia portata di cambiamento globale, in grado di coinvolgere un gran numero di attori sociali e reso possibile dalla riproducibilità universale dei principi di efficienza, calcolabilità, prevedibilità e controllo. In questo senso, i macchinari tendono sempre più a sostituire il lavoro umano e, quando questo non è possibile, è l’uomo stesso, “ingabbiato” nella routine, a divenire macchina. Questa metamorfosi incarna l’essenza del capitalismo: il passaggio da essere vivente a produttore, consumatore e merce. La disumanizzazione segna, tra le altre cose, la scissione definitiva nei confronti del Pianeta, visto dalle multinazionali solamente come un enorme territorio da depredare e dove accrescere la propria ricchezza. La struttura armoniosa della Terra viene sempre più distrutta dagli interessi criminali di pochi marchi. All’interno di questo scenario, la diversità, valore caratterizzante della Natura, viene soppiantata dalla globalizzazione, ovvero il fenomeno che consiste nel rendere le cose sempre più uguali in ogni parte del mondo. Inoltre, questa omologazione globale, sempre come osserva Ritzer, può essere definita “del nulla”, in quanto è concepita e controllata da organismi centrali, interessati a svuotare i soggetti dei propri caratteri distintivi, così da poter presentare loro i propri prodotti come caratteristici e locali.
Il McDonald’s è riuscito a creare un mondo a sua immagine e somiglianza. Il carattere più inquietante dell’egemonia globale delle multinazionali è rappresentato dal fatto, che esse riescono a diffondere tranquillamente la propria logica perversa, in masse del tutto ignare di ciò che accade intorno a loro. Oggi come oggi, un cittadino medio ignora che dietro a dei loghi apparentemente innocui si nascondono reali crudeltà. Quanti boicottano la Nestlé, promotrice, tra le altre cose, della massiccia deforestazione nel Borneo per la produzione di olio di palma? Quanti rifiutano di indossare delle Nike, in seguito ai numerosi processi per sfruttamento minorile? E quanti ancora vedono nella Monsanto, maggiore produttrice di alimenti geneticamente modificati, un nemico per se stessi e per la Terra? Gli esempi potrebbero continuare all’infinito, ma ciò che (drammaticamente) conta è che, queste persone fuori dal coro, sono decisamente poche. Tuttavia, sono proprio questi casi eccezionali ad impedire il trionfo totale del sistema, resistendo alla società capitalistica. La resistenza assume oggi un carattere trasversale, mai così tanto accentuato in passato. Può essere manifestata nel quotidiano dal contadino, dal commerciante, dal filosofo, dallo scienziato; tutti possono resistere facendo consapevolmente la spesa, scegliendo chi finanziare e cosa comprare. Ottenuta la consapevolezza dei propri mezzi, a volte, i singoli decidono di unirsi in movimenti per opporsi direttamente alle minacce del proprio tempo e costituire delle alternative. Basteranno questi dissidenti a trasformare la resistenza in rivoluzione? Fonte:http://www.lintellettualedissidente.it/la-mcdonaldizzazione-e-lessenza-del-capitalismo/
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