Fonte http://cogitoergo.it/?p=23589
Mi è stato segnalato questo fantastico articolo di Sergio Di Cori Modigliani che non posso fare altro che copiare e incollare. Penso che ci possa aiutare a capire quale è il vero scontro fra poteri, scontro nascosto che non ci viene raccontato, e che ci viene mascherato con bugie o con il semplice e totale oscuramento delle informazioni. Di Correa aveva già scritto qui. Aggiungo che Assange, a pelle, non mi piace, uno che definisce la storia dell’11 Settembre come roba da complottisti sicuramente non ha capito proprio tutto, però questo esula da questo articolo.
di Sergio Di Cori Modigliani
Mi è stato segnalato questo fantastico articolo di Sergio Di Cori Modigliani che non posso fare altro che copiare e incollare. Penso che ci possa aiutare a capire quale è il vero scontro fra poteri, scontro nascosto che non ci viene raccontato, e che ci viene mascherato con bugie o con il semplice e totale oscuramento delle informazioni. Di Correa aveva già scritto qui. Aggiungo che Assange, a pelle, non mi piace, uno che definisce la storia dell’11 Settembre come roba da complottisti sicuramente non ha capito proprio tutto, però questo esula da questo articolo.
di Sergio Di Cori Modigliani
Oggi parliamo di geo-politica e di libera informazione in rete.
Tutto ciò che sta accadendo oggi, tecnicamente (nel senso di “politicamente”)
è iniziato il 12 dicembre del 2008. Secondo altri, invece, sarebbe
iniziato nel settembre di quell’anno. Ma ci volevano almeno quattro anni
prima che l’onda d’urto arrivasse in Europa e in Usa.
Forse è meglio cominciare dall’inizio per spiegare gli accadimenti.
Anzi, è meglio cominciare dalla fine.
Con qualche specifica domanda, che –è molto probabile- pochi in Europa si sono posti.
Mi riferisco qui alla questione di Jules Assange, wikileaks, e la Repubblica di Ecuador.
Perché il caso esplode, oggi?
Perché, Jules Assange, ha scelto un minuscolo, nonché pacifico, staterello del Sudamerica che conta poco o nulla?
Come mai la corona dell’impero britannico perde la testa e si fa
prendere a schiaffi davanti al mondo intero da un certo signor Patino,
ministro degli esteri ecuadoregno, per gli euro-atlantici un vero e
proprio Signor Nessuno, il quale ha dato una risposta alla super elite
planetaria (cioè il Foreign Office di Sua Maestà) tale per cui, cinque
anni fa avrebbe prodotto soltanto omeriche risate di pena e disprezzo,
mentre oggi li costringe ad abbozzare, ritrattare, scusarsi davanti al
mondo intero?
Perché l’Ecuador? Perché, adesso?
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Tutto era più che prevedibile, nonché scontato.
Intendiamoci: era scontato in tutto il continente americano, in
Australia, Nuova Zelanda, Danimarca, paesi scandinavi. In Europa e a
Washington pensavano che il mondo fosse lo stesso di dieci anni fa.
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Perché l’Europa –e soprattutto l’Italia- è al 100%
eurocentrica, vive sotto un costante bombardamento mediatico
semi-dittatoriale, non ha la minima idea di ciò che accade nel resto del
mondo, ma (quel che più conta) pensa ancora come nel 1812, ovvero: “se crolla l’Europa crolla il mondo intero; se crolla l’euro e l’Europa si disintegra scompare la civiltà nel mondo” e ragiona ancora in termini coloniali.
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Ma il mondo non funziona più così. In Italia, ad esempio, nessuno è
informato sulla zuffa (che sta già diventando rissa) tra il Brasile e
l’Onu, malamente gestita da Christine Lagarde, la persona che presiede
il Fondo Monetario Internazionale, e che ruota intorno all’applicazione
base di un concetto formale, banale, quasi sciocco, ma che potrebbe
avere ripercussioni psico-simboliche immense: l’Italia è stata
ufficialmente retrocessa. Non è più l’ottava potenza al mondo, bensì la
nona. E’ stata superata dal Brasile. Quindi al prossimo G8 l’Italia non
verrà invitata, ma ci andrà il Brasile. Da cui la scelta di abolire il
G8 trasformandolo in G10 standard. Si stanno scannando.
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La prima notizia Vera (per chi vuole ricavare informazioni reali
dal mondo reale) è questa: “L’Europa, con l’Inghilterra e Germania in
testa, non possono (non vogliono) accettare il trionfo keynesiano del
Sudamerica e la loro irruzione nel teatro della Storia come soggetti
politici autonomi. Per loro vale il principio per cui “che se ne stiano a
casa loro, non rompano, e ringrazino il cielo che li facciamo anche
sopravvivere, come facciamo con gli africani. Altrimenti, da quelle
parti, uno per uno faranno la fine di Gheddafi”. Il messaggio in sintesi
è questo.
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Dal Sudamerica negli ultimi quaranta giorni sono arrivati tre
potentissimi messaggi in risposta: niente è stato pubblicizzato in
Europa. Tanto meno l’ultimo (il più importante) in data 3 agosto, se non
altro per il fatto che era in diretta televisiva dalla sede di New York
del Fondo Monetario Internazionale. Nessuno lo ha trasmesso in Europa,
ad esclusione del Regno di Danimarca. E così, preso atto che esiste una
compattezza mediatica planetaria di censura, e avendo preso atto che se
non se ne parla la televisione, non c’è in rete e non si trovano notizie
su wikipedia, allora vuol dire che non esiste, il Sudamerica ha scelto
il palcoscenico mediatico globale più intelligente in assoluto: il cuore
della finanza oligarchica planetaria, la city di Londra.
E adesso veniamo ai fatti.
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Jules Assange, il 15 giugno del 2012 capisce che per lui è finita.
Si trova a Londra. Gli agenti inglesi l’arresteranno la settimana dopo,
lo porteranno a Stoccolma, dove all’aereoporto non verrà prelevato dalle
forze di polizia di Sua Maestà la regina di Svezia, bensì da due
ufficiali della Cia, e un diplomatico statunitense, i quali avvalendosi
di specifici accordi formali sanciti tra le due nazioni farà prevalere
il “diritto di opzione militare in caso di conflitto bellico dichiarato” sostenendo che Jules Assange è “intervenuto attivamente”
all’interno del conflitto Nato-Iraq mentre la guerra era in corso. Lo
porteranno direttamente in Usa, nello Stato del Texas, dove verrà
sottoposto a processo penale per attività terroristiche, chiedendo per
lui l’applicazione della pena di morte sulla base dell’applicazione del
Patriot Act Law. Si consulta con il suo gruppo, fanno la scelta giusta
dopo tre giorni di vorticosi scambi di informazioni in tutto il pianeta.
“vai all’ambasciata dell’Ecuador a piedi, con la metropolitana, stai lì”.
Alle 9 del mattino del 19 giugno entra nell’ambasciata dell’Ecuador.
Nessuna notizia, non lo sa nessuno. Il suo gruppo apre una trattativa
con gli agenti inglesi a Londra, con gli svedesi a Stoccolma e con i
diplomatici americani a Rio de Janeiro. Raggiungono un accordo: “evitiamo
rischio di attentati e facciamo passare le olimpiadi, il 13 agosto se
ne può andare in Sudamerica, facciamo tutto in silenzio, basta che non
se ne parli”. I suoi accettano, ma allo stesso tempo non si fidano
(giustamente) degli anglo-americani. Si danno da fare e mettono a segno
due favolosi colpi. Il primo avviene il 3 agosto, il secondo il 4.
Il 3 agosto 2012, con un anticipo rispetto alla scadenza di 16
mesi, la presidente della Repubblica Argentina, Cristina Kirchner, si
presenta alla sede di Manhattan del Fondo Monetario Internazionale
accompagnata dal suo ministro dell’economia e dal ministro degli esteri
ecuadoregno, Patino, in rappresentanza di “Alba” (acronimo che
sta per Alianza Laburista Bolivariana America”) l’unione economica tra
Ecuador, Colombia e Venezuela. In tale occasione, la Kirchner si fa
fotografare e riprendere dalle televisioni con un gigantesco cartellone
che mostra un assegno di 12 miliardi di euro intestato al Fondo
Monetario Internazionale con scadenza 31 dicembre 2013, che il governo
argentino ha versato poche ore prima. “Con questa tranche, la
Repubblica Argentina ha dimostrato di essere solvibile, di essere una
nazione responsabile, attendibile e affidabile per chiunque voglia
investire i propri soldi. Nel 2003 andammo in default per 112 miliardi
di dollari, ma ci rifiutammo di chiedere la cancellazione del debito:
scegliemmo semplicemente la dichiarazione ufficiale di bancarotta e
chiedemmo dieci anni di tempo per restituire i soldi a tutti, compresi
gli interessi. Per dieci, lunghi anni, abbiamo vissuto nel limbo. Per
dieci, lunghi anni, abbiamo protestato, contestato e combattuto contro
le decisioni del Fondo Monetario Internazionale che voleva imporci
misure restrittive di rigore economico sostenendo che fosse l’unica
strada. Noi abbiamo seguito una strada diversa, opposta: quella del
keynesismo basato sul bilancio sociale, sul benessere equo sostenibile e
sugli investimenti in infrastrutture, ricerca, innovazione, investendo
invece di tagliare. Abbiamo risolto i nostri problemi. Ci siamo ripresi.
Non solo. Siamo oggi in grado di saldare l’ultima tranche con 16 mesi
di anticipo. Le idee del Fondo Monetario Internazionale e della Banca
Mondiale in materia economica sono idee errate, sbagliate. Lo erano
allora lo sono ancor di più oggi: Chi vuole operare, imprendere, creare
lavoro e ricchezza, è benvenuto in Argentina: siamo una nazione che ha
dimostrato di essere solvibile, quindi pretendiamo rispetto e fedeltà
alle norme e alle regole, da parte di tutti, dato che abbiamo
dimostrato, noi per primi, di rispettare i dispositivi del diritto
internazionale……” ecc. Subito dopo (cioè 15 minuti dopo) la Kirchner ha
presentato una denuncia formale contro la Gran Bretagna e gli Usa al WTO
(World Trade Organization) la più importante associazione planetaria di
scambi commerciali coinvolgendo il Fondo Monetario Internazionale
grazie ai files messi a disposizione da Wikileaks, cioè Assange.
L’Argentina ha saldato i debiti, ma adesso vuole i danni. Con gli
interessi composti. “Volevano questo, bene, l’hanno ottenuto. Adesso che
paghino”.
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E’ una lotta tra la Kirchner e la Lagarde. Le due Cristine duellano
da un anno impietosamente. Grazie (o per colpa) di Assange, dato che il
suo gruppo ha tutte le trascrizioni di diverse conversazioni in diverse
cancellerie del globo, che coinvolgono gli Usa, la Gran Bretagna, la
Francia, l’Italia, la Germania, il Vaticano, dove l’economia la fa da
padrone: Osama Bin Laden è stato mandato in soffitta e sostituito da
John Maynard Keynes, lui è diventato il nemico pubblico numero uno delle
grandi potenze; in queste lunghe conversazioni si parla di come mettere
in ginocchio le economie sudamericane, come portar via le loro risorse
energetiche, come impedir loro di riprendersi e crescere, come fare per
impedire ai loro governi di far passare i piani economici keynesiani
applicando invece i dettami del Fondo Monetario Internazionale il cui
unico scopo consiste nel praticare una politica neo-colonialista a
vantaggio soprattutto di Spagna, Italia e Germania, con capitali
inglesi. Gran parte dei file già resi pubblici su internet. Gran parte
dei file, gentilmente offerti da Assange all’ambasciatore in Gran
Bretagna dell’Ecuador, il quale -siamo sempre il 3 agosto a New York-
ricorda chi rappresenta e che cosa ha fatto l’Ecuador, ovvero la prima
nazione del continente americano, e unica nazione nel mondo occidentale
dal 1948, ad aver applicato il concetto di “debito immorale” ovvero “il
rifiuto politico e tecnico di saldare alla comunità internazionale i
debiti consolidati dello Stato perché ottenuti dai precedenti governi
attraverso la corruzione, la violazione dello Stato di Dirirtto, la
violazione di norme costituzionali”.
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Il 12 dicembre del 2008, infatti, il neo presidente del governo
dell’Ecuador Rafael Correa (pil intorno ai 50 miliardi di euro, pari a
30 volte di meno dell’Italia) dichiara ufficialmente in diretta
televisiva in tutto il continente americano (l’Europa non ha mai
trasmesso neppure un fotogramma e difficilmente si trova nella rete
europea materiale visivo) di “aver deciso di cancellare il debito
nazionale considerandolo immondo, perché immorale; hanno alterato la
costituzione per opprimere il popolo raccontando il falso. Hanno fatto
credere che ciò chè è Legge, cioè legittimo, è giusto. Non è così: da
oggi in terra d’Ecuador vale il nuovo principio costituzionale per cui
ciò che è giusto per la collettività allora diventa legittimo”.
Cifra del debito: 11 miliardi di euro. Il Fondo Monetario Internazionale
fa cancellare l’Ecuador dal nòvero delle nazioni civili: non avrà mai
più aiuti di nessun genere da nessuno “Il paese va isolato” dichiara Dominique Strauss Kahn, allora segretario del Fondo Monetario.
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Il paese è in ginocchio.
- Il giorno dopo, Hugo Chavez annuncia ufficialmente che darà il proprio contributo dando petrolio e gas gratis all’Ecuador per dieci anni.
- Quattro ore più tardi, il presidente Lula annuncia in televisione che darà gratis 100 tonnellate al giorno di grano, riso, soya e frutta per nutrire la popolazione, finchè la nazione non si sarà ripresa.
- La sera, l’Argentina annuncia che darà il 3% della propria produzione di carne bovinadi prima scelta gratis all’Ecuador per garantire la quantità di proteine per la popolazione.
- Il mattino dopo, in Bolivia, Evo Morales annuncia di aver legalizzato la cocaina considerandola produzione nazionale e bene collettivo. Tassa i produttori di foglie di coca e offre all’Ecuador un prestito di 5 miliardi di euro a tasso zero restituibile in dieci anni in 120 rate.
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Due giorni dopo, l’Ecuador denuncia la United Fruit Company e la Del Monte & Associates per “schiavismo e crimini contro l’umanità”,
nazionalizza l’industria agricola delle banane (l’Ecuador è il primo
produttore al mondi di banane) e lancia un piano nazionale di
investimento di agricoltura biologica ecologica pura. Dieci giorni dopo,
i verdi bavaresi, i verdi dello Schleswig Holstein, in Italia la Conad,
e in Danimarca la Haagen Daaz, si dichiarano disponibili a firmare
subito dei contratti decennali di acquisto della produzione di banane
attraverso regolari tratte finanziarie pagate in euro che possono essere
scontate subito alla borsa delle merci di Chicago. Il 20 dicembre del
2008, facendosi carico della protesta della United Fruit Company, il
presidente George Bush (già deposto ma in carica formale fino al 17
gennaio 2009) dichiara “nulla e criminale la decisione dell’Ecuador” annunciando la richiesta di espulsione del paese dall’Onu: “siamo pronti anche a una opzione militare per salvaguardare gli interessi statunitensi”.
Il mattino dopo, il potente studio legale di New York Goldberg &
Goldberg presenta una memoria difensiva sostenendo che c’è un precedente
legale. Sei ore dopo, gli Usa si arrendono e impongono alla comunità
internazionale l’accettazione e la legittimità del concetto di “debito immorale”. La United Fruit company viene provata come “multinazionale che pratica sistematicamente la corruzione politica” e condannata a pagare danni per 6 miliardi di euro. Da notare che il “precedente legale”
(tuttora ignoto a gran parte degli europei) è datato 4 gennaio 2003 a
firma George Bush. Eh già. E’ accaduto in Iraq, che in quel momento
risultava “tecnicamente” possedimento americano in quanto
occupato dai marines con governo provvisorio non ancora riconosciuto
dall’Onu. Saddam Hussein aveva lasciato debiti per 250 miliardi di euro
(di cui 40 miliardi di euro nei confronti dell’Italia grazie alle
manovre di Taraq Aziz, vice di Hussein e uomo dell’opus dei fedele al
vaticano) che gli Usa cancellano applicando il concetto di “debito immorale” e
quindi aprendo la strada a un precedente storico recente. Gli avvocati
newyorchesi dell’Ecuador offrono al governo americano una scelta: o
accettano e stanno zitti oppure se si annulla la decisione dell’Ecuador
allora si annulla anche quella dell’Iraq e quindi il tesoro Usa deve
pagare subito i 250 miliardi di euro a tutti compresi gli interessi
composti per quattro anni. Obama, non ancora insediato ma già eletto,
impone a Bush di gettare la spugna. La solida parcella degli avvocati
newyorchesi viene pagata dal governo brasiliano.
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Nasce allora il Sudamerica moderno.
E cresce e si diffonde il mito di Rafael Correa, presidente eletto
dell’Ecuador. Non un contadino indio come Morales, un sindacalista come
Lula, un operaio degli altiforni come Chavez. Tutt’altra pasta.
Proveniente da una famiglia dell’alta borghesia caraibica, è un
intellettuale cattolico. Laureato in economia e pianificazione economica
a Harvard, cattolico credente e molto osservante, si auto-definisce “cristiano-socialista come Gesù Cristo, sempre schierato dalla parte di chi ha bisogno e soffre”.
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Il suo primo atto ufficiale consiste nel congelare tutti i conti
correnti dello Ior nella banche cattoliche di Quito e tale cifra viene
dirottata in un programma di welfare sociale per i ceti più
disagiati. Fa arrestare l’intera classe politica del precedente
governo che viene sottoposta a regolare processo. Finiscono tutti in
carcere, media di dieci anni a testa con il massimo rigore. Beni
confiscati, proprietà nazionalizzate e ridistribuite in cooperative
agricole ecologiche. Invia una lettera a papa Ratzinger dove si dichiara
“sempre umile servo di Sua Illuminata Santità” dove chiede ufficialmente che il vaticano invii in Ecuador soltanto “religiosi
dotati di profonda spiritualità e desiderosi di confortare i bisognosi
evitando gli affaristi che finirebbero sotto il rigore della Legge degli
uomini”.
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Tutto ciò lo si può raccontare oggi, grazie alla bella pensata del
Foreign Office, andati nel pallone. In tutto il pianeta Terra, oggi, si
parla di Rafael Correa, dell’Ecuador, del debito immorale, del nuovo
Sudamerica che ha detto no al colonialismo e alla servitù alle
multinazionali europee e statunitensi.
In Italia lo faccio io sperando di essere soltanto uno dei tanti.
Questo, per spiegare “perché l’Ecuador”.
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E’ un chiaro segnale che il gruppo di Assange sta dando a chi vuol
capire e comprendere che TINA è un Falso. Non è vero che non esiste
alternativa. Per 400 anni, da quando gli europei scoprirono le banane
ricche di potassio, gli ecuadoregni hanno vissuto nella povertà, nello
sfruttamento, nell’indigenza, mentre per centinaia di anni un gruppo di
efferati oligarchi si arricchiva alle loro spalle. Non è più così. E non
lo sarà mai più. A meno che non finiscano per vincere Mitt Romney,
Mario Draghi, Mario Monti, David Cameron e l’oligarchia finanziaria.
L’esempio dell’Ecuador è vivo, può essere replicato in ogni nazione
africana o asiatica del mondo.
Anche in Europa.
Per questo Jules Assange ha scelto l’Ecuador.
Ma non basta.
Il colpo decisivo al sistema viene dato da una notizia esplosiva resa pubblica (non a caso) il 4 agosto del 2012. “Jules
Assange ha firmato il contratto di delega con il magistrato spagnolo
Garzòn che ne rappresenta i diritti legali a tutti gli effetti e in ogni
nazione del globo”.
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Ma chi è Garzòn?
- E’ il nemico pubblico numero uno della criminalità organizzata.
- E’ il nemico pubblico numero uno dell’opus dei.
- E’ il più feroce nemico di Silvio Berlusconi.
- E’ in assoluto il nemico più pericoloso per il sistema bancario mondiale.
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Magistrato spagnolo con 35 anni di attività ed esperienza alle
spalle, responsabile della procura reale di Madrid, ha avuto tra le mani
i più importanti processi spagnoli degli ultimi 25 anni. Esperto in “media & finanza”
e soprattutto grande esperto in incroci azionari e finanziari, salì
alla ribalta internazionale nel 1993 perché presentò all’interpol una
denuncia contro Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri (chiedendone
l’arresto) relativa a Telecinco, Pentafilm, Fininvest, reteitalia e Le
cinq da cui veniva fuori che la Pentafilm (Berlusconi e Cecchi Gori
soci, cioè Pd e PDL insieme) acquistava a 100 $ i diritti di un film
alla Columbia Pictures che rivendeva a 500$ alla telecinco che li
rivendeva a 1000$ a rete Italia che poi in ultima istanza vendeva a
2000$ alla Rai, in ben 142 casi tre volte: li ha venduti sia a Rai1 che a
Ra2 che a Rai3. Lo stesso film. Cioè la Rai (ovvero noi) ha pagato i
diritti di un film 20 volte il valore di mercato e l’ha acquistato tre
volte, così tutti i partiti erano presenti alla pari. Quando si arrivò
al nocciolo definitivo della faccenda, Berlusconi era presidente del
consiglio, quindi Garzòn venne fermato dall’Unione Europea. Ottenne una
mezza vittoria. Chiuse la telecinco e finirono in galera i manager
spagnoli. Ma Berlusconi rientrò dalla finestra nel 2003 come Mediaset.
Si riaprì la battaglia, Garzòn stava sempre lì. Nel 2006 pensava di
avercela fatta ma il governo italiano di allora (Prodi & co.) aiutò
Berlusconi a uscirne. Nel 2004 aprì un incartamento contro papa Woytila e
contro il managament dello Ior in Spagna e in Argentina, in relazione
al finanziamento e sostegno da parte del vaticano delle giunte militari
di Pinochet e Videla in Sudamerica.
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Nel 2010 Garzòn si dimise andando in pensione ma aprì uno studio di diritto internazionale dedicato esclusivamente a “media & finanza”
con sede all’Aja in Olanda. E’ il magistrato che è andato a mettere il
naso negli affari più scottanti, in campo mediatico, dell’Europa, degli
ultimi venti anni. In quanto legale ufficiale di Assange, il giudice
Garzòn ha l’accesso ai 145.000 file ancora in possesso di Jules Assange
che non sono stati resi pubblici. Ha già fatto sapere che il suo studio è
pronto a denunciare diversi capi di stato occidentali al tribunale dei
diritti civili con sede all’Aja. L’accusa sarà “crimini contro l’umanità, crimini contro la dignità della persona”.
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La battaglia è dunque aperta.
E sarà decisiva soprattutto per il futuro della libertà in rete.
In Usa non fanno mistero del fatto che lo vogliono morto. Anche gli inglesi.
Ma hanno non pochi guai perché, nel frattempo, nonostante sia
abbastanza paranoico (e ne ha ben donde) Assange ha provveduto a tirar
su un gruppo planetario che si occupa di contro-informazione (vera non
quella italiana). I suoi esponenti sono anonimi. Nessuno sa chi siano.
Non hanno un sito identificato. Semplicemente immettono in rete dati,
notizie, informazioni, eventi. Poi, chi vuole sapere sa dove cercare e
chi vuole capire capisce.
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Quando la temperatura si alza, va da sé, il tutto viene in superficie.
E allora si balla tutti.
In Sudamerica, oggi, la chiamano “British dance”.
Speriamo soltanto che non abbia seguiti dolorosi o sanguinosi.
- Per questo Assange sta dentro l’ambasciata dell’Ecuador.
- Per questo Garzòn lo difende.
- Per questo, questa storia relativa al Sudamerica, va raccontata.
- Per questo l’Impero Britannico ha perso la testa e lo vuole far fuori.
- Perché Assange ha accesso a materiale di fonte diretta.
- E il solo fatto di dirlo, e divulgarlo, scopre le carte a chi governa, e ricorda alla gente che siamo dentro una Guerra Invisibile Mediatica.
- Non sanno come fare a fermare la diffusione di informazioni su ciò che accade nel mondo.
- Finora gli è andata bene, rimbecillendo e addormentando l’umanità.
- Ma nel caso ci si risvegliasse, per il potere sarebbero dolori davvero imbarazzanti.
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Wikileaks non va letto come gossip.
Non lo è.
C’è gente che per immettere una informazione da un anonimo internet
point a Canberra, Bogotà o Saint Tropez, rischia anche la pelle.
Questi anonimi meritano il nostro rispetto.
E ci ricordano anche che non potremo più dire, domani “ma noi non sapevamo”.
Chi vuole sapere, oggi, è ben servito. Basta cercare.
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Se poi, con questo Sapere un internauta non ne fa nulla, è una sua scelta.
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Tradotto vuol dire: finchè non mandiamo a casa l’immonda classe
politica che mal ci rappresenta, le chiacchiere rimarranno a zero.
Perché ormai sappiamo tutti come stanno le cose.
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Altrimenti, non ci si può lamentare o sorprendersi che in Italia
nessuno abbia mai parlato prima dell’Ecuador, di Rafael Correa, di ciò
che accade in Sudamerica, dello scontro furibondo in atto tra la
presidente argentina e brasiliana da una parte e Christine Lagarde e la
Merkel dall’altra.
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Perché stupirsi, quindi, che gli inglesi vogliano invadere un’ambasciata straniera?
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Non era mai accaduto neppure nei momenti più bollenti della cosiddetta Guerra Fredda.
Come dicono in Sudamerica quando si chiede “ma che fanno in Europa, che succede lì?”
Ormai si risponde dovunque “In Europa dormono. Non sanno che la vita esiste”.
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