Nella provincia di Yunnan le donne hanno il monopolio dell’autorità e amministrano l’economia, il matrimonio non esiste, l’amore è praticato liberamente e senza vincoli di convivenza. Poco dopo la pubertà le donne ricevono una stanza, dove potranno decidere di far entrare l'uomo che desiderano, per una sola volta o per mesi e anni
No, non è un’irreale utopia ma una comunità concreta, quella dei circa venticinquemila Mosuo, nel villaggio di Loshui, nella provincia cinese di Yunnan. “La più pura delle società matriarcali, un esempio di come può essere la realtà senza la presunta supremazia dell’uomo e senza l’oppressione che questa supremazia può esercitare”: la racconta così un medico, fotografo e videoreporter argentino, in un libro di Ricardo Coler che si legge come un romanzo d’avventura, Il Regno delle donne. L’ultimo matriarcato (ed. Nottetempo). Dove si scopre che i rapporti umani potrebbero essere gestiti altrimenti. E che molte sofferenze – ad esempio quelle che derivano sulla famiglia e sui figli da una separazione – potrebbero essere tranquillamente evitabili.
“Qui i pezzi sono disposti sulla scacchiera in modo differente. Al villaggio non c’è donna che sia priva di opportunità, che non sia degna di considerazione o che si trovi sottomessa all’arbitrio della società. A Loshui, il sesso femminile non è mai debole”. Muri colorati di rosso, azzurro e giallo, l’organizzazione sociale è completamente diversa: poco dopo la pubertà, le donne, attraverso una cerimonia di iniziazione, ricevono una stanza, un luogo privato dove potranno decidere di far entrare a tarda notte (la donna non si sposta mai), l’uomo che desiderano, per una sola volta o per mesi e anni: il suo cappello davanti alla porta segnala che lui è lì.
Una sorta di “matrimonio ambulante” o meglio un legame amoroso – chiamato axia – radicalmente diverso da ciò che noi intendiamo e senza alcuna proprietà in comune. Ciascuno resta a vivere a casa sua, così che quando il legame si spezza le conseguenze sono meno pesanti: sull’uomo e sulla donne e sui figli eventualmente nati. I quali vivono nella famiglia della madre, curati – proprio come gli anziani – dalle nonne, le sorelle della madre ma anche gli zii, perché qui la figura del padre non esiste, tanto che è persino ininfluente sapere di chi è davvero dal punto di vista biologico. “Qui tutti curano tutti”, scrive l’autore.
Le donne lavorano, sempre e tanto, e al tempo stesso detengono il potere e i cordoni della borsa. Gli uomini svolgono lavori pesanti o umili, e intervengono nella grandi decisioni, ma solo quelle sporadiche, ad esempio quando si tratta di mediare tra vicini. Per il resto si riposano e giocano a carte. “La violenza in ogni sua manifestazione genera riprovazione, qualsiasi reazione sproporzionata è malvista”. Molto più centrale è l’innamoramento e la relativa sessualità, giocosa e libera, che i Mosuo non hanno mai pensato di porre – troppo instabile e complicata – come base della famiglia. “Per praticarla bisogna uscire dalla famiglia”, spiega Coler, così che il rischio di delusione è molto di più basso. “Le donne Mosuo professano la saggezza di quel che non c’è. È come se non sperassero di trovare, in un uomo, niente di diverso da ciò che trovano. E il sesso è sesso, senza che tremino le montagne e senza che nessuno si senta offeso”.
Dove le ombre di questo modello che, specie agli occhi delle donne e forse anche degli uomini occidentale, sembra risolvere naturalmente l’attrito tra la stabilità della famiglia e l’instabilità della sessualità? Secondo Coler ben poche: il rischio di incesto, formalmente proibito, visto che il padre spesso non è noto, anche se le unioni avvengono tra persone di pari età. L’assenza di una figura paterna forte, e con esso del complesso di Edipo, anche se gli uomini giocano e sono presenti con i bambini.
Niente di così tragico da spiegare come mai i Mosuo siano una minuscola minoranza culturale, mentre il mondo gira in senso opposto. Perché non è detto che il modello più diffuso sia anche quello che rende più felici. Non le donne, almeno.
Considero superficiale pensare che la violenza sia generata dall'uomo. E' uno stereotipo. Le donne sono violente altrettanto, se non al livello fisico allora al livello psicologico o in altri modi. Siamo tutti esseri umani... e pensare ad una società buona dominata dalle femmine o dai maschi è davvero stupido.
RispondiEliminaJan
"...perché qui la figura del padre non esiste, tanto che è persino ininfluente sapere di chi è davvero dal punto di vista biologico. “Qui tutti curano tutti”, scrive l’autore."
RispondiEliminaUn bambino per essere cresciuto sano e felice ha bisogno di entrambe le figure: paterna e materna.
Purtroppo in una società matriarcale non tutto è così bello e utopistico. Come si nota, gli uomini vengono privati dei diritti riproduttivi, se non d'altro.
"L’assenza di una figura paterna forte, e con esso del complesso di Edipo, anche se gli uomini giocano e sono presenti con i bambini."
RispondiEliminaEsiste anche il Complesso di Elettra ^_^ , se vogliamo approfondire i fatti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Complesso_di_Elettra
Amo la vita con le sue innumerevoli creativita,in un mondo totalmente patriarcale,che bello sapere che esiste il matriarcato.Cosa sia più giusto,per me non ha importanza,qualunque sistema logicamente,ha i suoi pro e contro.Poi non esistono uomini o donne come genere,più violenti,,,,come al solito bisogna guardare l"INDIVIDUO.Il complesso di Elettra,secondo me può valere per una societa occidentale,non è detto che esista in ambiente matriarcale,noi occidentali cataloghiamo troppo,ma la vita è aldila delle catalogazioni,e molto più ricca e misteriosa,dei nostri semplici stereotipi
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