Il malato immaginato. I rischi di una medicina senza limiti
Il malato immaginato. I rischi di una medicina senza limiti, è il nuovo saggio del cardiologo Marco Bobbio, edito da Einaudi, già in libreria che descrive una verità scomoda e molto vera per la quale il paziente, vittima delle statistiche cliniche, è più un numero che un essere umano
Quanto siamo sani? Quanto siamo malati? E, davvero, di che cosa abbiamo veramente bisogno per sentirci bene? Ci deve essere qualcosa che non funziona se una persona, quando non ha alcun problema, va a farsi visitare da un medico.
È questo il progresso della medicina che desideriamo?Siamo così ben curati che ci sentiamo tutti ammalati?. E i pazienti, sono veri o "immaginati", perché prigionieri di un paradosso, di un ipersalutismo che inventa sempre nuove patologie, affinché molte industrie farmaceutiche possano così vendere nuovi prodotti?
Domande scomode, inedite, a cui Marco Bobbio, primario di Cardiologia all´Ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo, ricercatore negli Stati Uniti e già responsabile a Torino per i trapianti di cuore, prova a dare una risposta (a volte scomoda) in un nuovo saggio, dal titolo, appunto "Il malato immaginato. I rischi di una medicina senza limiti.
In un paese, l´Italia, che detiene uno dei record europei per consumo di farmaci pro-capite, che ha il più alto numero di medici per quota di cittadini, ma dove i tagli alla sanità stanno mettendo in crisi quello che era un welfare consolidato, Bobbio prova a riflettere sul senso di una medicina sempre più invadente, e che non sa riconoscere i propri limiti.
Con un stile chiaro, leggibile e persuasivo, descrivendo numerosi casi tratti dalla sua esperienza professionale, Bobbio punta al cuore del problema, raccontando quanto ad esempio l´uso abnorme delle sia pur utilissime statistiche abbia reso il paziente più un numero che un essere umano.
O svelando, anche, il meccanismo crudele della medicina odierna, dove "per allargare il mercato e accumulare risorse economiche - scrive Marco Bobbio - non ci si può limitare a curare i veri malati, bisogna anche curare quelli che sono ancora poco malati e quelli che forse (ma non sicuramente) si ammaleranno. Si creano così nuove malattie: il medico, sempre al corrente dell´ultima novità sarà fiero di aver formulato la diagnosi e il soggetto sarà soddisfatto di uscire dallo studio con una prescrizione".
Un meccanismo che allarga a dismisura quindi la richiesta di test, di apparati diagnostici, di screening, di sofisticate indagini spesso inutili, con costi altissimi per la collettività.
E il cui prezzo è magari la negazione per mancanza di fondi di una Tac a chi ne ha veramente bisogno.
Sprechi, paradossi. Ma anche altro. La rottura di un senso "umano", addirittura filosofico dell´essere medico. Ciò che infatti Bobbio afferma, rovesciando così l´attuale percezione dell´onnipotenza della medicina, è che la miglior cura non è far tutto il possibile.
Troppo spesso i nostri pazienti, soggiogati dal mito di una medicina senza limiti, non sono preparati a trovarsi al confine delle cure. Noi stessi - ammette Marco Bobbio - non accettiamo di ritrovarci con le mani alzate, anche quando sappiamo che non possiamo più fare nulla. Talvoltasaper desistere è invece una dote che i medici dovrebbero assimilare, per ridare un senso umano alle scelte terapeutiche. Dove naturalmente saper rinunciare non significa abbandonare il paziente e la sua famiglia.
Una medicina del limite dunque, sottolinea ancora Bobbio, che non vuol dire "mettere un freno alla Scienza, all´uso della tecnologia ma applicarla in modo appropriato". Un concetto strettamente legato ad un tema che a Marco Bobbio sta veramente a cuore: la medicina sostenibile.
Per me sostenibile non riguarda soltanto l´aspetto economico, ma vuol dire adatto ad ogni paziente, in base non solo alla sua patologia ma anche alla sua storia personale, al suo stato emotivo. Faccio un esempio. Proporre un intervento chirurgico ad un uomo a cui è da poco morto un fratello in sala operatoria, magari è la scelta più efficace sul piano terapeutico. Ma può essere disastrosa sul piano psicologico. Allora si deve condividere con il paziente una strategia analogamente efficace. In un´ottica che riscopra l´alleanza tra medico e paziente, riportando al centro l´umanità di ammalati troppo spesso ridotti a casi.
Dietro ogni paziente insomma c´è una vita da raccontare, emozioni da rispettare. E di quanto ciò sia importante, i medici se ne rendono conto quando loro stessi passano dall´altra parte, perché si ammalano, e sentono sulla pelle quello smarrimento che tante volte hanno letto (e magari ignorato) sui volti dei loro pazienti. Uomini, donne, bambini. Così Bobbio riporta leparole di un famoso oncologo milanese, Gianni Bonadonna, colpito da un ictus: Nella facoltà di medicina serve un nuovo esame per chi deve curare le persone: serve un esame di umanità
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