venerdì 23 agosto 2013

Carta del popolo indigeno U’WA



Noi nasciamo figli della terra, questa è una realtà che non può essere cambiata né dagli indigeni né dall’uomo bianco.
Più di mille volte ed in mille forme diverse abbiamo detto che la terra è nostra madre, che non possiamo né vogliamo venderla, ma l’uomo bianco sembra non capire, insiste affinché vendiamo e maltrattiamo la nostra terra, come se l’indigeno fosse anche lui uomo di molte parole.
Noi non domandiamo se è abitudine dell’uomo bianco vendere sua madre. Non lo sappiamo. Però, noi U’WA sappiamo che il bianco usa la menzogna, sa ingannare, uccide le sue creature senza permettere ai loro occhi di vedere il sole né alle loro narici di odorare l’erba. Tutto questo è ripugnante ed abominevole anche per un “selvaggio”.
La legge del nostro popolo si differenzia da quella dei bianchi, perché la legge del “Riowa” (bianco) viene dagli uomini e sta scritta su un foglio di carta, mentre la legge del nostro popolo viene da Sira (Dio). Fu Sira (Dio) che la dettò e la scrisse nel cuore dei nostri sapienti Werjayas (sciamani). Il rispetto verso i viventi ed i non viventi, ciò che si conosce e quello che non si conosce, fa parte della nostra legge: la nostra missione nel mondo è quella di raccontarla, cantarla e metterla in pratica per sostenere l’equilibrio dell’universo. La nostra legge U’WA sostiene il mondo. La nostra legge è antica quanto la stessa terra, la nostra cultura si è organizzata seguendo il modello della creazione, per questo la nostra legge della terra e la terra stessa sono una cosa sola. “La nostra legge non morirà”,….
Sappiamo che il Riowa (uomo bianco) dà un prezzo a tutti i viventi e perfino alla stessa pietra. Commercia con il suo proprio sangue e vuole che noi facciamo lo stesso nel nostro territorio sacro con la “Ruiria”, il sangue della terra, quello che loro chiamano petrolio…tutto questo è estraneo ai nostri costumi…tutto quello che è vivo tiene sangue: tutti gli alberi, tutti i vegetali, tutti gli animali, anche la terra. Questo sangue della terra (Ruiria, il petrolio) è quello che dà forza a tutti, a piante, animali ed uomini.
Ma noi domandiamo al Riowa (bianco) “come si può mettere prezzo alla madre e quale è questo prezzo?”. Lo domandiamo non per fare deduzioni, ma per cercare di comprendere: se l’orso è nostro fratello, a maggior ragione lo è l’uomo bianco. Chiediamo questo perché crediamo che egli, uomo “civilizzato”, talvolta conosca modalità per stabilire un prezzo per sua madre e venderla senza cadere nella vergogna, quella stessa vergogna nella quale cadrebbe un primitivo, in ragione del fatto che la terra che calpestiamo non è solo terra, ma è la polvere dei nostri avi e per questo camminiamo scalzi, per stare in contatto con essi.
Il Riowa (bianco) non ha voluto capire che se ci separiamo da nostra madre, il tempo andrà via con essa (lo spirito dei nostri avi, il nostro presente, il nostro futuro). Tutto accadrà fino a quando terminerà il tempo che Sira (Dio) le ha affidato…adesso non avrebbe tempo, adesso non avrebbe vita, siamo sopravvissuti grazie a lui ed egli è sopravvissuto grazie al nostro rispetto. La nostra separazione porterebbe un vuoto che inghiottirebbe tutto meno il deserto.
Il futuro dell’uomo bianco si intorbiderebbe con ogni goccia di olio che egli stesso versa nella trasparenza dei nostri fiumi, il suo destino si fa più letale con ogni goccia di pesticida che deposita in essi. I nostri fiumi comunicano con le nostre deità. Essi sono messaggeri ed i messaggi fluiscono in ambe le direzioni: se si sporcano o se muoiono sapremo cosa vogliono le deità che non ascolterebbero più le nostre invocazioni, e con le nostre lodi provocheremmo la loro ira. I fiumi di tutta la terra adesso sono molto arrabbiati con i bianchi.
I capi bianchi dicono alla loro gente che il nostro popolo indigeno è selvaggio, ci presentano come loro nemici e come nemici di un Riowa(bianco) maggiore che essi hanno chiamato progresso. Prima che gli altriRiowa (bianchi) e tutti i popoli del mondo debbono inginocchiarsi ad esso noi domandiamo “Che cosa è più importante, la macchina o l’uomo che inventa la macchina?”. Tuttavia, quello che sappiamo è che tutto ciò che attenta alla madre agisce contro i figli, chi aggredisce la madre terra ci aggredisce tutti, quelli che vivono oggi e quelli che verranno in futuro.
Per l’indigeno la terra è madre, per il bianco è nemica; per noi le sue creature sono nostre sorelle, per loro sono solo mercanzia. Il Riowa (bianco) siede con la morte, lascia nei campi e nelle sue città tanti uomini tenuti come alberi abbattuti nella selva.
Noi non abbiamo mai commesso l’insolenza di violare le chiese ed i templi del Riowa (bianco) mentre egli è venuto a profanare le nostre terre, e dunque noi domandiamo “Chi è il selvaggio?”.
L’uomo bianco ha dichiarato guerra a tutto, meno che alla sua povertà interiore, ha dichiarato guerra al tempo e perfino a se stesso, come ha detto un altro fratello indigeno di un popolo lontano: “l’uomo bianco cavalca sopra il progresso verso la sua distruzione”. Non contento di dichiarare guerra alla vita, ha dichiarato guerra anche alla morte, non sa che la vita e la morte sono due estremità di uno stesso corpo, due estremi di uno stesso anello,…”l’esistenza”…non c’è morte senza la vita ma neanche c’è vita senza la morte, gli U’WA si prendono cura del mondo materiale e di quello spirituale da sempre, per questo comprendono questi concetti.
Al Riowa (bianco), che ha inviato uccelli giganti sulla luna, gli diciamo che deve amare e curare la Terra, gli diciamo che non può andare per l’universo facendo ad ogni astro quello che è stato fatto ad ogni albero del bosco sulla terra. Ed ancora domandiamo ai suoi figli: “Chi fece il metallo con il quale è stata costruita ogni piuma che coprì il grande uccello? Chi fece il combustibile con il quale si alimenta? Chi fece lo stesso uomo che dirige e fabbrica l’uccello?… Il Riowa (bianco) non deve ingannare ne mentire ai suoi figli, deve insegnare che anche per costruire un mondo artificiale l’uomo necessita della Madre Terra per questo bisogna amarla e curarla.
Il Riowa (bianco) insisterà affinché noi vendiamo la terra e ci dirà “Che importa la vergogna ad un selvaggio che mantiene la sua faccia nascosta nello spessore della selva, le ombre delle montagne e il velo della nebbia?”…dunque, una volta ancora, cercheremo di fare capire, che se questo accadrà, non solo la vergogna paralizzerà gli U’WA ma accadrà anche che il giaguaro, la volpe, il mais, la coca, e tutti i nostri fratelli animali e le nostre sorelle piante, che da sempre hanno dato compagnia e alimento al nostro popolo, moriranno di “kueken awriar (tristezza) poiché, nella nostra grande famiglia, non si conosce quello che il Riowa (bianco) chiama tradimento. Se ciò dovesse accadere, la Terra piangerebbe tanto che l'ultimo picco coperto di neve del Cocuy si scioglierebbe e scenderebbe e la deità, custode delle acque maligne, guiderebbe le lacrime della terra fino ad unirsi con Kuiya (il padrone e signore della terra) e dalla loro unione sorgerebbe dall’oscurità del mondo di sotto Yara, il terremoto che porta dolore. Yara, dunque, come un gigantesco serpente di fango prodotto dall’unione della deità custode delle acque maligne con il signore della terra, si calerebbe fra le montagne cercando le valli ed al suo passaggio inghiottirebbe sia indigeni che bianchi, sia ferro che alberi, sia case che accampamenti. Quando questo succederà non ci sarà chi canti per mantenere l’equilibrio del mondo di su e di giù che è lo stesso equilibrio dell’universo…
L’uomo prosegue cercando il Ruiria (petrolio) e, in ogni esplosione che percorre la selva, udiamo il mostruoso passo della morte che ci persegue attraverso le montagne.

Questo è il nostro testamento

Al ritmo a cui va il mondo, verrà un giorno nel quale un uomo sostituirà le montagne del condor con le montagne di denaro, per questo, dunque, questo uomo non avrà chi omprerà nulla, e, se lo avesse, questo qualcuno comunque non avrebbe niente da vendergli. Quando arriverà questo giorno già sarà troppo tardi affinché l’uomo possa meditare sulla sua pazzia…
Tutte le sue offerte economiche riferite a ciò che per noi è sacro, come la Terra ed il suo sangue, sono un insulto per le nostre orecchie ed una corruzione per le nostre credenze. Questo mondo non è stato creato dalRiowa (bianco) né da nessuno dei suoi governi e per questo egli lo deve rispettare. L’universo è di Sira (Dio) e noi U’WA lo amministrano solamente. Noi siamo solo una corda del cerchio tessuto, ma il tessitore è Lui. Per questo motivo noi U’WA non possiamo cedere, maltrattare né vendere la Terra né il suo sangue e neanche le sue creature perché questo è contrario ai principi. Però il bianco pensa di essere il padrone, sfrutta e schiavizza a suo modo e questo non è una cosa buona: rompe l’equilibrio, rompe Irokua. Se non possiamo vendere quello che non ci appartiene, non ci si può impadronire di quello che non si può comprare.
Da parte nostra non ci sarà nessun tradimento verso la nostra Madre Terra, né verso i suoi figli che sono nostri fratelli, né tradiremo la fierezza dei nostri avi perché il nostro territorio è sacro e tutte le cose in esso contenute sono sacre. Per noi è proibito uccidere con il coltello, il machete e le pallottole; le nostre armi sono il pensiero e la parola; il nostro potere è la saggezza.
Anziché vedere i nostri principali elementi sacri profanati (la terra, il petrolio ed altri) preferiamo la nostra morte, il suicidio collettivo del popolo U’WA. Se nella lotta per difendere i nostri principi dovremo fare un gesto estremo, sarà questo; se per difendere la vita dobbiamo dare la nostra lo faremo.
Alcuni capi bianchi sono inorriditi davanti al loro popolo rispetto alla nostra decisione di suicidio collettivo come ultimo gesto per difendere nostra Madre Terra. Ancora una volta ci presentano come selvaggi; però, essi cercano di confondere, cercano di screditare. A tutto il loro popolo noi diciamo: “L’uomo U’WA si suicida per la vita, il bianco si suicida per le monete. Chi è dunque il selvaggio?”. L’umiliazione del bianco verso l’indigeno non tiene limite, non solo non ci permette di vivere, ma ci dice anche come dobbiamo morire…non ci lasciano decidere sulla vita…ora decidiamo dunque sulla morte.
Nel corso di più di cinque secoli abbiamo ceduto davanti all’uomo bianco, davanti alla sua cupidigia ed alle sue infermità, come il ruscello cede in tempo d’estate, come il giorno cede alla notte,…il Riowa (bianco) ci ha condannato a vivere come estranei nella nostra terra, ci tiene rinchiusi nelle terre scoscese molto vicino le rocce sacre da dove il nostro cacicco (sciamano) Guicanito e la sua tribù saltò per salvare l’onore e la dignità del nostro popolo davanti alla feroce avanzata prima degli spagnoli. Poi sono venuti i missionari, ora le multinazionali petrolifere.
Prima, alla cupidigia ed all’ignoranza davano il nome di azioni evangelizzatrici o civilizzatrici, ora le chiamano progresso, questo fantasma che nessuno vede e che si è dedicato a terrorizzare l’umanità…Prima l’oscuro cammino di saccheggi, genocidi ed ingiustizia contro il nostro popolo era perpetrato nel nome di Dio e di sua maestà, oggi è illuminato con il petrolio e fatto in nome del progresso e della maggiore delle maestà per la maggior parte dei non indigeni: il denaro.
Prima l’oro era giallo, ora è nero; però il colore del sangue che si paga per esso continua ad essere rosso, continua ad essere indigeno. Noi U’WA procediamo tutti per una stessa strada, siamo tutti (popolo ed autorità) una stessa famiglia. Se è arrivato il momento che il nostro popolo parta da questa terra lo farà con dignità!…
L’unica cosa che ci unisce ai nostri fratelli bianchi è il fatto di provenire dallo stesso padre (Sira) e dalla stessa madre (Raira) e di essere allattati dallo stesso capezzolo (la terra), dividiamo lo stesso mondo fisico: il sole, la luna, il vento, le stelle, le montagne, i fiumi, …dividiamo lo stesso mondo fisico però il nostro sentimento è diverso. La terra è un fiore: l’uomo U’WA si avvicina ad essa per alimentarsi con la stessa cura del colibrì, mentre per l’uomo bianco è come il fiore che il maiale selvatico calpesta sul suo cammino. Il cammino del Riowa (bianco) è stato il denaro. Il denaro è il suo mezzo, è il suo fine, è il suo idioma. Il denaro ha fatto ammalare il cuore del nostro fratello bianco e la sua malattia lo ha portato a costruire fabbriche come armi, a spargere veleni come sangue. La sua malattia è arrivata alle acque, all’aria ed alle nostre selve.
Una volta ancora l’uomo bianco viola le leggi di Sira (Dio), quelle della terra ed anche le sue proprie leggi, quello che non potrà evadere mai è la vergogna che i suoi figli potranno sentire verso i padri che danneggiarono il pianeta, rubarono la terra dell’indigeno e lo portarono alla sua estinzione. Alla fine della fredda, dolorosa e triste notte, per il pianeta e per gli indigeni, la stessa notte che sembrava tanto perenne come l’erba, quando inizierà a scorgersi il regno della morte contemporaneamente comincerà a fiorire nuovamente la vita…perché non ci sono estati eterne, né specie che possa imporsi sopra la vita stessa…
Se l’uomo agisce con cattive intenzioni, presto o tardi, finirà con il bere il veleno del suo proprio fiele, perché non si può tagliare un albero senza che muoiano le sue proprie foglie e nel passaggio della vita nessuno può lanciare pietre senza rompere la quiete e l’equilibrio dell’acqua. Per questo, quando i nostri siti sacri saranno invasi dall’odore dell’uomo bianco, sarà vicina la fine non solo degli U’WA, ma anche del Riowa (bianco). Quando egli avrà sterminato l’ultima tribù del pianeta, prima di incominciare a contare i suoi genocidi, gli sarà più facile incominciare a contare i suoi ultimi giorni. Quando questi tempi si avvicineranno, i ventri delle figlie non daranno alla luce alcun frutto ed in ognuna delle sue vite ancora una volta spezzate, lo spirito dei suoi figli non conoscerà serenità. Quando arriverà il tempo nel quale gli indigeni resteranno senza terra, anche gli alberi resteranno senza foglie; dunque, l’umanità si chiederà “perché?”…e solo pochi comprenderanno che tutti i principi hanno la loro fine e tutte le fini hanno i loro principi, perché nella vita non c’è niente di indipendente, niente che non sia legato alle leggi dell’esistenza. Il serpente arriverà a mordere la sua stessa coda per chiudere così il suo ciclo di distruzione e morte…Tutto questo perché tutto è intrecciato.
Forse noi U’WA potremo seguire il nostro cammino, dunque, così come gli uccelli fanno i loro grandi viaggi senza nessuna provvista, così noi seguiteremo il nostro viaggio senza conservare il più piccolo rancore contro il Riowa (bianco) perché è nostro fratello. Continueremo cantando per sostenere l’equilibrio della terra non solo per noi e per i nostri figli, ma anche per egli (il bianco) perché ne ha bisogno. Nel cuore degli U’WA c’è preoccupazione per i figli dell’uomo bianco, per questo se lo vogliono e lo permettono non arresteremo l’aria che nasce nelle nostre montagne ma i nostri fiumi dovranno partire dalle nostre terre così limpidi come arrivarono. Così, la purezza dei fiumi parlerà agli uomini del mondo “di sotto” della purezza del nostro perdono.
Ogni volta che si estingue una specie l’uomo si avvicina alla propria estinzione; ogni volta che si estingue un popolo indigeno non è solo una tribù che si estingue, è un membro in più della comunità che è partito per sempre in un viaggio senza ritorno. Ogni specie estinta è una grave ferita per la vita, riduce la vita e lascia posto alla sopravvivenza…Forse, prima la cupidigia si impietosirà dell’uomo bianco, prima gli permetterà di vedere la meraviglia del mondo e la grandezza di un universo che si estende più in là del diametro della moneta.

Associazione delle autorità tradizionali U’WA

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