L’altra mattina ero in metrò e mentre prendevo un caffè in un bar è entrata una personache ha attirato la mia attenzione. Dopo aver fatto la coda alla cassa uscì, nella folla. Finito il caffè uscii anch’io, pochi istanti dopo, ma quella persona era scomparsa chissà dove. Mi colpì un pensiero, sconvolgente, già conosciuto molti anni fa senza capirlo: non la rivedrò mai più…
Questa è una certezza che si applica a tutto in quella che noi chiamiamo “realtà”, la quale diamo per scontato sia tutto ciò che c’è, che non vi sia altro da conoscere, che sia la Verità. In effetti ne è solo la manifestazione, tanto quanto un’ombra è manifestazione di qualcosa che sta davanti al sole. E infatti, per definizione, la Verità non cambia aspetto pena non essere…vera, mentre la realtà che ci circonda lo cambia costantemente. Le forme che la compongono, siano esse pensieri, emozioni, oggetti, esseri viventi…tutto insomma, fa un’apparizione fugace per poi improvvisamente scomparire, così come è comparso, nel mio campo di percezione, nel raggio della mia coscienza.
Fermare l’attenzione su questo fatto, sulla assoluta incertezza, inconsistenza, precarietà della realtà nella quale ci muoviamo è di per sè scioccante. Nessuno è molto disposto a soffermarsi sulla questione perchè la consapevolezza dell’impermanenza di tutto ciò che si conosce, incluso sè stessi, fa paura. Ed è per scongiurare questa paura sorda, sommersa e potente che abbiamo escogitato, che il nostro ego, individuale e collettivo, ha escogitato gli strattagemmi delle religioni, che promettono il proseguimento della vita oltre i confini della morte fisica; del matrimonio, anche civile, come mezzo per legare “indissolubilmente” due persone come se l’amore non bastasse (e di solito non basta poichè non è questo il senso dell’amore e perchè spesso nemmeno di amore si tratta); dell’importanza di possedere qualcosa oltre che qualcuno: casa, automobile, vestiti, il cane… Ciò che è mio resterà con me perchè è mio diritto!
La paura della transitorietà di tutto ciò che compone questa realtà ci spinge ad attaccarci a tutto e a tutti coloro che restano a portata della nostra coscienza più a lungo di qualche istante. Per esempio se incontro uno sconosciuto per strada e lontano dal luogo dove vivo, è facile non pensare nemmeno che probabilmente non lo incontrerò mai più. Ma se incontro tutti i giorni l’anziana signora che prende l’autobus alla mia stessa ora e un giorno lei muore, proverò dispiacere. O mancanza? E se a scomparire dal mio campo di percezione fosse un parente, il mio gatto, la mia bicicletta?
Tutto ciò che ci dà piacere, senza un atto di estrema consapevolezza ci dà anche dipendenza, assuefazione. Perchè dopo una appagante notte di sesso desidero averne un’altra? Perchè se sto bene con una persona desidero vederla ancora e ancora? Perchè mi piace riguardare un film già visto? Perchè se un luogo di villeggiatura mi è piaciuto ci ritorno? E ancora di più, perchè nello spogliatoio della palestra scelgo sempre lo stesso armadietto, in aereo lo stesso posto e poi gli stessi ristoranti, lo stesso percorso per andare in ufficio, il solito giornale, il solito posto in autobus, i soliti negozi, i soliti amici, il posto fisso al lavoro…? Perchè le abitudini e le tradizioni?
Attaccamento. Siamo inconsciamente spinti a legarci a tutto ciò che sembra stabile epermanente, oppure a compiere rituali che esorcizzino la possibilità di una perdita.
E l’attaccamento porta con sè dolore, perchè se trovo il “mio posto” nello spogliatoio della palestra occupato da altri, mi sentirò a disagio come la prima volta che vi sono entrato; se la “mia donna” mi lascia si accenderà tutto lo spettro delle emozioni che va dal senso di colpa alla rabbia passando attraverso la solitudine; se rubano la “mia auto” sentirò il vuoto per la mancanza di una cosa indispensabile; se muore qualcuno a me vicino, allora il vuoto lasciato mi sembrerà incolmabile e così via…
Sentiamo la necessità inconsapevole di controllare i dettagli della nostra vita, di stabilire dei riferimenti permanenti attraverso i quali identificarci e convincerci che la morte, la nostra fine, non arriverà mai. Ed è esattamente questa mentalità, questo sforzo che ci conduce alla nostra fine, come esseri fatti della stessa sostanza di questa realtà intendo. Perchè ciò chenon fluisce, ciò che è fermo e stagnante, è noto che imputridisce, fa la ruggine, si corrompe, diviene sterile e infine muore. O per meglio dire, la Vita lo lascia per manifestarsi altrimenti.
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