da http://decrescitafelice.it
Come diverse altre migliaia di ragazzi e ragazze in Italia, anche a me è capitato di fare una seppur breve esperienza di lavoro in un call center. Simile tortura cinese, anzi italiana, che per inciso ho potuto sopportare solo nella misura in cui era un mezzo proprio per cambiare Paese e non dover più sottostare a simili schiavitù, mi ha insegnato – incredibile ma vero – qualche cosa. La più importante è quella di non fidarmi dei sondaggi politici, e a dire il vero, dei sondaggi tout court.
Si potrebbe scrivere un trattato sulla totale infondatezza epistemologica di un simile strumento commerciale, politico, sociale – perché in realtà riguarderebbe anche i più “rigorosi” questionari somministrati in psicologia e in sociologia. Basti citare il fatto che ogni domanda contiene una risposta, e che chiunque accetti la rigidità imposta dal domandante tradisce per definizione se stesso. Chiunque si opponga alla predeterminazione del quesito ottiene solo l’irritazione o l’imbarazzo del telefonista, il quale tenta goffamente di far rientrare l’intervistato nei binari dell’intervista.
Voglio tuttavia concentrarmi su un aspetto non di carattere concettuale e di principio, ma su un malcostume che i gestori dei call center sono adusi a impiegare nella quotidianità del loro lavoro. I sondaggi, che siano a carattere commerciale o politico, hanno una data di scadenza, e nel caso di quelli elettorali il margine è strettissimo. Come ottenere certi risultati in un tempo ridotto? Per la “validità” statistica è richiesto un certo numero di partecipanti, ma talora neanche un intero call center a pieno regime basta a soddisfare in appena due o tre giorni i dettami “scientifici”.
Non resta che barare. Accade allora che i capi assoldino uno, due o tre degli impiegati più fedeli, abbindolati da un falso rapporto d’amicizia e di privilegio, per far loro “completare” i dati mancanti. Ironicamente, nella disonestà – di sopravvivenza – di questi manager risiede una specie di barlume di onestà – di convenienza! –: i questionari mancanti vengono riempiti secondo una logica (sic) e soprattutto seguendo le tendenze rivelatesi nei dati reali fino a quel punto raccolti. Si tratta insomma di un meccanismo simile alle proiezioni durante lo spoglio dei voti alle elezioni.
Il punto, però, non è tanto che alla fine dello spoglio o della raccolta dei questionari telefonici ci possano essere delle sorprese, che i bari dunque sopprimono a priori, quanto che nel caso dei sondaggi – spesso lunghi e complessi – le proiezioni sono in gran parte arbitrarie. Indignarsi serve a poco: sembra trattarsi di un’usanza comune. Non ci resta che imparare a diffidare dei vari Mannheimer e compagnia.
Ma c’è un secondo aspetto che va considerato. Un fenomeno che ai filosofi è ben noto sotto il nome di “profezie auto-avverantesi”. Queste consistono nel predire qualcosa che si vuol fare accadere. In pratica i sondaggi possono essere – e di fatto sono – utilizzati a proprio uso e consumo: dicendo, per esempio, che Berlusconi sta rimontando nei sondaggi, si crea un effetto psicologico nell’elettorato che di colpo si sente incoraggiato a votare Berlusconi. Così una falsa predizione si trasforma in una vera predizione per il solo fatto di essere stata annunciata quando ancora era solo un desiderio (di pochi).
È uno “scandalo metafisico”, per citare il filosofo francese Jean-Pierre Dupuy, dove il futuro viene anticipato per farlo accadere, e da cui come cittadini ed elettori dobbiamo trarre una conclusione: bisogna ignorare i sondaggi e il loro potere incoraggiante, come occorre ignorare ogni appello al “voto utile” – che in democrazia non esiste. Il voto utile è quello di tutti i coloro i quali scelgono una forza politica secondo le proprie convinzioni, i propri valori e il proprio grado d’informazione. Indipendentemente dalla vostra intenzione di voto attuale, questo non è altro che un invito a considerare i candidati attraverso un’analisi razionale e ponderata. Buon voto a tutti.
di Fabrizio Li Vigni
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