sabato 23 febbraio 2013

Risvegliarsi alla rivoluzione,da www.innernet.it


vimala thakar5.jpgCosa ha a che fare l’illuminazione con la crisi del pianeta e dell’umanità? Vimala Thakar è una maestra spirituale di indubbia saggezza e nello stesso tempo un’attivista apppassionata verso l’impegno e la responsabilità sociale. Una sintesi di J. Krishnamurti e del Mahatma Gandhi, da cui è stata profondamente influenzata.
L’illuminazione e la crisi mondiale: introduzione di Susan Bridle
La maestra spirituale Vimala Thakar, è nota in Europa e negli Stati Uniti come una grande e indipendente insegnante del risveglio spirituale. Di fatto, noi di “What is Enlightenment” riteniamo che sia forse la donna più illuminata esistente oggi al mondo. Ma quello che probabilmente molti non sanno è che Thakar è anche un’attivista sociale profondamente impegnata. Influenzata dagli insegnamenti sia di J. Krishnamurti sia del Mahatma Gandhi, Thakar personifica l’essenza della consapevolezza illuminata e della responsabilità sociale.
Le due correnti del risveglio individuale e dell’impegno sociale, di solito divergenti, si uniscono indissolubilmente nell’inarrestabile torrente della sua vita. E in entrambe le sfere, in modo non dissimile dai suoi mentori, Thakar è una grande rivoluzionaria. La sua vita e i suoi insegnamenti ardono del fuoco della rivoluzione interiore dello spirito, che secondo lei è l’unico, autentico fondamento di una rivoluzione della società.
Nata in una famiglia brahmina di classe media nell’India centrale, la passione di Thakar per la vita spirituale è cominciata presto. “La consapevolezza di «qualcosa al di là» si fece strada in me all’età di cinque anni”, scrive, raccontando come scappò di casa per andare nella foresta in cerca di Dio, implorandolo di rivelarsi.
Suo padre, un fiero seguace del libero pensiero, incoraggiò i suoi interessi spirituali e l’aiutò a visitare gli ashram, a studiare le scritture e a sperimentare le pratiche spirituali. Continuò la sua sincera ricerca spirituale per tutta l’adolescenza, arrivando a fare un ritiro prolungato in una caverna, all’età di diciannove anni. Le sue molte e insolite esperienze di questi primi anni hanno l’aura epica delle leggende del Mahabharata. Da giovane si unì al Movimento per il dono della terra di Vinoba Bhave, il successore spirituale di Gandhi, del quale cercò di realizzare la missione e l’ideale di un nuovo ordine sociale.
Lavorando a stretto contatto con Vinoba, considerato a sua volta un santo, Thakar ha assorbito la passione gandhiana per quella che descrive come “la trasformazione radicale della struttura della società umana e la rivoluzione radicale della mente dell’uomo”. L’impegno di Thakar nel Movimento per il dono della terra (il cui fine era ottenere la terra dai ricchi per distribuirla ai contadini poveri) è stato instancabile: per otto anni, ella ha percorso in lungo e in largo l’India, visitando ogni villaggio.
Nel 1960, Thakar fu invitata da un amico a seguire una serie di discorsi che un insegnante spirituale stava dando a Varanasi. L’insegnante era il leggendario J. Krishnamurti, il quale si accorse immediatamente della ragazza che ascoltava con insolita attenzione dal fondo della sala, e le offrì un incontro. Le loro conversazioni private sconvolsero profondamente Thakar, catapultandola in un profondo silenzio. “Qualcosa dentro di me si era liberato, e non poteva più tollerare alcun limite”, ha scritto. “L’invasione di una nuova consapevolezza, irresistibile e incontrollabile… Ha spazzato via ogni cosa”.

Meno di un anno dopo, Krishnamurti non solo confermò la sua realizzazione spirituale, ma la implorò di cominciare immediatamente a insegnare: “Perché non esplodi? Perché non piazzi delle bombe sotto questi vecchi che seguono la via sbagliata? Perché non giri l’India? C’è forse qualcuno che lo fa? Se ce ne fosse una mezza dozzina, non ti direi una parola. Ma non lo fa nessuno…C’è così tanto da fare. Non c’è tempo…Vai e urla dai tetti delle case: «Siete sul sentiero sbagliato! Questa non è la via per la pace!»…Vai e infiammali! Non c’è nessuno che lo sta facendo. Neanche uno… Che cosa aspetti?”.
A questo punto, racconta Thakar, “le braci ardenti si trasformarono in fiamme”, ed ella abbandonò il Movimento per il dono della terra e la sfera dell’azione sociale per cominciare la sua attività di insegnante spirituale, tenendo discorsi e conducendo campi di meditazione in tutto il mondo. In una lettera aperta agli amici e agli ex colleghi spiegò le ragioni per cui si era dedicata esclusivamente alla rivoluzione interiore: “Nessuna parola potrebbe descrivere l’intensità e la profondità dell’esperienza attraverso cui sto passando. Tutto è cambiato. È come se fossi rinata! …Il mio rapporto con il Movimento si è concluso.
Oggi vedo che il vero problema è il problema interiore della libertà completa! …L’unica salvezza del genere umano è in una rivoluzione religiosa dell’individuo. Poiché la fonte di ogni male è nella nostra stessa consapevolezza, dobbiamo affrontare quest’ultima. Tutto ciò che nei secoli passati è stato messo nella nostra mente va completamente eliminato. Ma non è facile sconfiggere o abbandonare milioni di anni se il nostro impegno è scarso, o se non ci proviamo affatto”.
Nei successivi ventidue anni, Thakar ha viaggiato e insegnato in più di venti Paesi, e decine di suoi libri sono stati tradotti in dodici lingue. Anche se ha continuato a fare attenzione ai temi politici, sociali e ambientali di tutto il mondo, i suoi insegnamenti hanno quasi sempre riguardato la rivoluzione interiore dello spirito. Ma nel 1979 Thakar ha ripreso l’impegno sociale, limitando i suoi tour in giro per il mondo e tornando a visitare i villaggi indiani, dove ha discusso con la gente dei problemi locali e ha fondato centri per l’insegnamento dell’agricoltura industrializzata, dell’autogoverno locale e delle norme sanitarie di base. Dopo questa pausa, ella ha cominciato di nuovo a viaggiare per il mondo, ma stavolta gli insegnamenti contenevano la sua passione per la rivoluzione sia interiore sia esteriore.
Quando l’insegnante californiano di meditazione Jack Kornfield le ha chiesto perché fosse tornata ad aiutare i poveri e i senza tetto, Thakar ha risposto: “Signor Kornfield, io sono un’amante della vita, e in quanto tale non posso precludermi nessuna attività della vita. Se la gente ha fame di cibo, la mia reazione è aiutarla a trovare cibo; se la gente ha fame di verità, la mia reazione è aiutarla a scoprire la verità. Non faccio distinzione tra l’essere al servizio di persone bisognose e prive di decoro nella vita fisica, e l’essere al servizio di persone chiuse e spaventate, prive di decoro nella vita mentale. Amo tutta la vita”.
Oggi, ottantenne, Thakar non viaggia più al di fuori dell’India, ma continua a vedere gruppi o persone che vengono a trovarla nella sua casa del Rajasthan o ad Ahmedabad, dove passa i mesi invernali. Ella incontra persone da tutto il mondo, dai buddisti agli insegnanti di yoga, ma anche industriali, ecologisti, attivisti per la pace tra l’India e il Pakistan, membri del Parlamento. “La spiritualità è il seme”, afferma questa attivista risvegliata, “e l’azione sociale è il frutto che ne nasce”. Le parole di Thakar possiedono l’autorità e l’autenticità che derivano da una vita vissuta con tutto il cuore e olisticamente dedicata alla rivoluzione totale dello spirito.
Citazioni tratte da: Vimala Thakar, On an Eternal Voyage (Vimal Parivar: Bombay, 1994) e Vimalaji’s Global Pilgrimage, ed. Kaiser Irani (Vimal Prakashan Trust, Ahmedabad, 1996).
Il seguente articolo è tratto dal libro di Vimala Thakar Spirituality and Social ActionA Holistic Approach (Vimala Programs California: Berkeley, 1984).
Il risveglio verso la rivoluzione totale
In un’epoca in cui la sopravvivenza della specie umana è in pericolo, tenere in vita lo status quo vuol dire cooperare con la follia e contribuire al caos. Quando l’oscurità sommerge lo spirito dell’umanità, le persone impegnate devono urgentemente risvegliarsi ed elevarsi verso la rivoluzione.
La furbizia della mente umana ci ha portato a questa crisi complicata, orribile e universale. Le soluzioni familiari, basate su una concezione tradizionale dell’uomo, continuano a fallire, a essere pateticamente inadeguate. Tuttavia investiamo molte risorse in queste vecchie soluzioni, con l’idea che se raggiungiamo una scala sufficientemente grande, esse risolveranno i nuovi problemi. Abbiamo il coraggio di vedere i fallimenti per quello che sono, lasciandoli al passato? Abbiamo la forza di andare al di là di filosofie anguste e unilaterali, per aprirci alla totalità e all’interezza?
Ciò che occorre adesso è andare al di là del frammentario, per risvegliarci alla rivoluzione totale. Ciò che occorre adesso non sono le formule rivoluzionarie del passato. Se hanno fallito, perché continuare a trascinarle con noi, magari sotto nuove vesti? Oggi la sfida è creare una rivoluzione completamente nuova, vitale, che includa la totalità dell’esistenza.
Non abbiamo mai avuto il coraggio di abbracciare la totalità della vita nella sua imponente bellezza; ci siamo accontentati dei frammenti, di nicchie dove ci sentiamo concettualmente al sicuro ed emotivamente tranquilli. Potremmo anche tenere le nostre piccole e confortevoli nicchie, non fosse per la terribile confusione che abbiamo creato cercando di spezzare l’unità cosmica in piccoli frammenti. Abbiamo creato un caos orribile, e cerchiamo di porre riparo alla complicata situazione con le più superficiali e raffazzonate cure.
Oggi, con le cicatrici dei fallimenti passati che deturpano la nostra esistenza e le paure del futuro che appesantiscono lo spirito, non possiamo più continuare con questo pericoloso gioco della frammentazione. Non possiamo più negare il fatto che siamo tutti collegati, uniti nella totalità. La scienza e la tecnologia hanno portato ognuno di noi in intima relazione con tutti gli altri. Siamo davvero una grande famiglia umana. Tuttavia, come famiglia umana, non abbiamo imparato a vivere insieme in pace, senza violenza né sfruttamento. All’inizio del ventesimo secolo, Bertrand Russell ha scritto: “L’uomo sa volare in aria come un uccello, sa nuotare nell’acqua come un pesce, ma non sa vivere in mezzo agli altri esseri umani”.
Penetrare nelle radici del conflitto
Benché la nostra sopravvivenza sia a rischio, tendiamo a considerare la crisi in modo superficiale, emotivo e sentimentale. Abbiamo cercato, in modi sottili, di non attribuire a noi la colpa per la situazione della famiglia umana. Pensiamo di essere – noi o il nostro piccolo gruppo – persone sincere e amanti della pace, e attribuiamo agli estranei, a chi sta fuori dal gruppo, ai furfanti assetati di potere, la responsabilità per ogni guerra o aggressione.
Tuttavia, come possiamo noi, membri di società preparate alla guerra, chiamarci fuori in quanto “amanti della pace” accusando gli altri di violenza? Ma questo è ciò che cerchiamo di fare. Vediamo alla TV, o ascoltiamo alla radio di guerre e massacri che accadono in vari Paesi, e pensiamo quanto sia stupido farsi la guerra, chiedendoci perché i politici e gli uomini di Stato non hanno il buon senso di mettere fine a tutte queste sciocchezze.
Questa è la reazione forse di ogni cittadino sensibile del mondo. Ma chi è che fa la guerra? Dove sono la radici di quest’ultima? Nelle menti di pochi individui che governano i rispettivi Paesi? Oppure nei sistemi che noi abbiamo creato e nei quali viviamo da secoli: il sistema economico, politico, amministrativo, industriale? Se non siamo dei romantici o dei sentimentali, e non ci accontentiamo di una semplice reazione emotiva, dicendo quanto sono brutte le guerre, ma andiamo in profondità, non troveremo forse le radici della guerra nei sistemi e nelle strutture che abbiamo accettato?
Scopriremo che esistono sistemi e strutture che conducono inevitabilmente all’aggressione, allo sfruttamento e alla guerra. Abbiamo accettato l’aggressione come stile di vita. Creiamo strutture che culminano nella guerra, e ci trinceriamo dietro di esse. Mantenere le strutture ed evitare le guerre non è possibile. Io e te, come individui, dobbiamo comprendere in che modo siamo responsabili, come cooperiamo con il sistema e quindi partecipiamo alla violenza e alla guerra. Quindi, dobbiamo cominciare a chiederci se possiamo smettere di cooperare con il sistema, di partecipare alle guerre, e cercare stili di vita alternativi.
Dobbiamo andare alle radici del problema, al centro della psiche umana, riconoscendo che l’azione sociale collettiva comincia dall’azione nella vita individuale. Non possiamo separare l’individuo dalla società. Ognuno di noi contiene la società quando ne accetta la struttura, le priorità stabilite per noi dai governanti, gli Stati e i partiti politici. Siamo espressioni del collettivo, ripetiamo il modello creato per noi, e siamo felici perché ci vengono dati comfort, svaghi, divertimenti, sicurezza fisica ed economica. Ci hanno educato a essere ossessionati dalla sicurezza: il domani ci preoccupa molto più della responsabilità per l’oggi.
Andare al di là della frammentazione
Se c’è la volontà di affrontare questi fatti spiacevoli, di accettarne l’esistenza, possiamo andare avanti. Se cominciamo ad autocommiserarci e a deprimerci, la negatività può portare al cinismo e alla rabbia contro gli altri e il sistema. E un’energia così negativa non aiuta a risolvere i problemi. Dobbiamo attenerci alla realtà dei fatti. Che ci piaccia o no, siamo partecipi in quanto sta succedendo nel mondo.
Se approviamo la violenza nel nostro cuore, coopereremo con tutti coloro che fanno la guerra. Siamo partecipi, perché psicologicamente approviamo la violenza. Se davvero volessimo porre fine alle guerre, dovremo esplorare le profondità della psiche umana, dove le radici della violenza hanno la loro roccaforte. A meno che non troviamo le radici della violenza, dell’ambizione e della gelosia, non troveremo la via d’uscita dal caos. L’insuccesso nell’eliminazione di queste radici ci condannerà a un’infinita, triste ripetizione dei fallimenti del passato.
Dobbiamo renderci conto che la dimensione interiore e quella esteriore sono sottilmente intrecciate, e che non possiamo affrontare con successo l’una se ignoriamo l’altra. Le strutture e i sistemi condizionano la consapevolezza interiore, e i condizionamenti della consapevolezza creano le strutture e i sistemi. Non possiamo estrarre una parte, renderla bellissima e ignorare tutto il resto. I condizionamenti della società sono molto potenti: non vanno ignorati.
Tradizionalmente, sono esistiti due approcci diversi. Uno ci porta verso i problemi sociali, economici e politici, affermando: “Se i problemi economici e politici non vengono risolti, non ci sarà né felicità né pace, e la sofferenza non avrà mai fine. È responsabilità di ogni individuo affrontare questi problemi secondo una certa ideologia. La vita interiore, i suoi squilibri e le sue impurità: queste cose non sono molto importanti, possiamo pensarci dopo, perché è un’attività egoista ed egocentrica.
Noi abbiamo una responsabilità verso la società, la specie umana, quindi metti da parte tutti questi problemi sulla meditazione e il silenzio, sulla sofisticazione interiore, sulla trasformazione per la rivoluzione interiore: metti tutto da parte. Prima pensa a queste cose”. Invece, l’altro approccio afferma: “È impossibile risolvere i problemi politici ed economici se l’individuo non viene completamente trasformato. Pensa alla tua trasformazione psicologica, alla rivoluzione interiore. I problemi politici, economici e sociali possono aspettare”.
Di solito, la gente ha seguito l’uno o l’altro di questi due approcci convenzionali: i gruppi religiosi quello della crescita e della rivoluzioni interiori, gli attivisti sociali quello dell’impegno per la società. Abbiamo creato delle barriere, e gli sconfinamenti al di là del proprio territorio sono sempre stati superficiali.
Gli attivisti sociali hanno piantato picchetti intorno al proprio territorio, cioè la vita esteriore (le strutture politiche e socioeconomiche); i ricercatori spirituali hanno fatto altrettanto con il proprio ambito (il mondo interiore delle dimensioni più elevate della consapevolezza, delle esperienze trascendentali e della meditazione). I due gruppi, nel corso della storia, si sono sempre reciprocamente disprezzati. Gli attivisti sociali considerano egoisti i ricercatori spirituali, mentre questi ultimi considerano i primi prigionieri delle attività frenetiche, incapaci di cogliere l’essenza della vita.
I tradizionali leader spirituali hanno diviso la vita in mondana e spirituale, insistendo sul fatto che il mondo è illusione. Hanno detto: “Questo mondo è «maya», un’illusione. Quindi, tutte le tue azioni devono fare riferimento alla verità assoluta, non a «maya»”. Dunque, una persona religiosa seduta dieci ore al giorno in meditazione non ha bisogno di preoccuparsi dei tiranni, dello sfruttamento o delle crudeltà che avvengono intorno a lei. Direbbe: “Non è responsabilità mia, ma di Dio. Dio ha creato il mondo: Lui (o Lei) se ne prenderà cura”.
Sono esistite delle mescolanze superficiali, per esempio gruppi spirituali che praticano servizio sociale o attivisti sociali che entrano in organizzazioni religiose, ma un’autentica integrazione tra l’azione sociale e la spiritualità non è ancora avvenuta a un livello profondo e innovativo. La storia dello sviluppo umano è stata frammentaria, e la maggioranza delle persone si è accontentata di questa frammentazione. Essa ha l’approvazione della società. Ciascun frammento di società ha il suo insieme di valori.
Tra molti attivisti sociali la rabbia, l’odio, la violenza, il rancore e il cinismo sono norme accettate, anche se l’efficacia di queste motivazioni per raggiungere una vita pacifica è stata seriamente messa in dubbio. E l’indifferenza verso i bisogni dei più poveri è stata incredibilmente accettata da generazioni e generazioni di ricercatori spirituali, i quali ritenevano gli stati più elevati di consapevolezza molto più importanti dell’infelicità di milioni di persone alla fame.
All’inizio del ventunesimo secolo una nuova sfida ci attende: andare al di là della frammentazione, degli insiemi incompatibili di valori in cui credono anche le persone più riflessive, smettere di credersi nel giusto, aprirsi a tutta la vita e alla rivoluzione totale. In questa epoca, divenire un ricercatore spirituale senza una consapevolezza sociale è un lusso che non possiamo più permetterci, ed essere un attivista sociale senza una comprensione scientifica del funzionamento interiore della mente è la follia peggiore.
Nessuno dei due approcci, presi in sé, ha mai avuto grande successo. Oggi è fuori di dubbio che un ricercatore dovrà sforzarsi di essere socialmente consapevole e che un attivista dovrà convincersi della crisi morale della psiche umana, dell’importanza dell’attenzione verso la vita interiore. La sfida che ci attende è di andare molto più in profondità, abbandonare i pregiudizi e le preferenze superficiali, espandere la comprensione a una scala globale, integrare la totalità della vita e divenire consapevoli del tutto di cui siamo una manifestazione.
Man mano che la nostra comprensione si approfondisce, le divisioni arbitrarie tra la vita interiore ed esteriore svaniscono. L’essenza della vita, la sua bellezza e la sua magnificenza sono nella sua totalità. È davvero impossibile dividere la vita in esteriore e interiore, sociale e individuale. Possiamo creare divisioni arbitrarie per le esigenze della vita collettiva, per l’analisi, ma di base nessuna divisione tra l’interiore e l’esteriore è vera o ha significato.
Abbiamo accettato i compartimenti stagni della società, la frammentazione della vita come un dato di fatto necessario. Viviamo in relazione a questi frammenti e accettiamo le divisioni interiorizzate – i nostri vari ruoli, i sistemi di valori in contraddizione tra loro, le motivazioni e priorità opposte – come una realtà. Al nostro interno, siamo in disaccordo con noi stessi; crediamo che l’interiore sia fondamentalmente diverso dall’esteriore, che l’io sia del tutto diverso dal non-io, che le divisioni tra i popoli e le nazioni siano necessarie, e tuttavia continuiamo a chiederci perché al mondo esistano tensioni, conflitti e guerre. I conflitti iniziano con la mente che crede nella frammentazione e ignora la totalità.
Un approccio olistico è il riconoscimento dell’omogeneità e dell’integrità della vita. La vita non è frammentata né divisa. È impossibile dividerla in spirituale e materiale, individuale e collettiva. In essa non possiamo creare scompartimenti politici, economici, sociali, ambientali. Quello che facciamo o non facciamo non tocca minimamente la totalità, l’omogeneità; non la scalfisce. Siamo organicamente collegati alla totalità, per sempre. Noi siamo la totalità, e in essa ci muoviamo. La consapevolezza dell’unità si rifiuta di riconoscere qualsiasi separazione.
Quindi, l’approccio olistico disconosce qualsiasi frammentazione in nome della religione o della spiritualità, qualsiasi compartimentazione in nome delle scienze sociali, qualsiasi divisione in nome della politica, qualsiasi separazione in nome delle ideologie. Quando comprendiamo la verità, non ci aggrappiamo al falso. Non appena riconosciamo il falso in quanto tale, non gli diamo più valore. Lo disconosciamo nella vita quotidiana. Un disconoscimento psichico e psicologico di qualsiasi frammentazione è l’inizio di una positiva azione sociale.
Quando la consapevolezza della totalità si affaccia nel cuore e prendiamo coscienza dell’interrelazione di tutti gli esseri, non è più possibile rapportarsi esclusivamente a un solo frammento, restandovi bloccati. Non appena si è consapevoli del tutto, ogni istante, ogni movimento diventa sacro. Il senso di unità non è più una connessione intellettuale. In tutte le nostre azioni saremo integri, totali e naturali, senza sforzo. Ogni azione o non-azione avrà la fragranza della totalità.
La libertà interiore è una responsabilità sociale
Vedere il mondo come un insieme confuso di frammenti (alcuni dei quali vengono etichettati come amici, altri come nemici) è un atteggiamento che parte da dentro di noi. Assegniamo al nostro mondo interiore gli stessi giudizi negativi o positivi che usiamo per il mondo esteriore, e le guerre avvengono anche al nostro interno. Internamente siamo in conflitto con noi stessi; le emozioni vogliono una cosa, l’intelletto un’altra, gli istinti del corpo un’altra ancora, e dentro di noi si crea una guerra diversa per dimensioni, ma non per qualità, da quelle in corso nel mondo.
Se non siamo in contatto con la totalità di noi stessi, desta forse meraviglia il fatto che non riusciamo a percepire la totalità del mondo? Se pensiamo di essere un insieme raffazzonato e disordinato di caratteristiche desiderabili e indesiderabili, di aspirazioni in contrasto tra loro, di convinzioni e pregiudizi confusi, forse che non proietteremo tutto ciò sul mondo?
Poiché la fonte dei conflitti, dell’ingiustizia sociale e dello sfruttamento è nella psiche umana, dobbiamo cominciare da quest’ultima la trasformazione della società. Indaghiamo la mente, la psiche umana, non per fare un’attività fine a se stessa, ma come un’azione compassionevole verso l’intera specie umana. Dobbiamo scendere alle radici profonde della decadenza della nostra società, in modo che le nuove strutture e sistemi sociali che progetteremo avranno radici abbastanza sane per poter generare fiori.
Le strutture della società vanno trasformate, ma vanno modificate anche le supposizioni e le motivazioni nascoste su cui queste strutture si basano. I valori e le motivazioni, sociali e collettivi, per i quali si approvano l’ingiustizia e lo sfruttamento della società moderna, vanno cambiati tanto quanto le strutture socioeconomiche e politiche. Non lasceremo più che le motivazioni e i valori individuali e collettivi restino nascosti e inesplorati. Cambiare le strutture e i comportamenti superficiali non produrrà effetti di lunga durata se le fondamenta resteranno malsane e decadenti.
Coloro tra noi che hanno consacrato la vita all’azione sociale considerano l’etica e la morale, le abitudini e le motivazioni, territorio privato. Desideriamo che le nostre motivazioni e abitudini restino invisibili non solo al mondo, ma anche a noi stessi. In verità, la vita interiore non è una faccenda privata o personale; è una questione sociale. La mente è un risultato dello sforzo umano collettivo. Non esiste la tua e la mia mente; esiste la mente umana. Essa è una mente umana collettiva, plasmatasi e formatasi nel corso dei secoli. I valori, le norme, i criteri sono modelli di comportamento stabiliti dalla collettività. Non c’è nulla di personale o privato in essi.
Possiamo pure chiudere le porte della nostra stanza e pensare che nessuno conosce i nostri pensieri, ma quello che facciamo nella cosiddetta privacy influenza la vita intorno a noi. Se per tutto il giorno siamo vittime di pensieri ed energie negative, se ci arrendiamo alla depressione, alla malinconia e al risentimento, queste energie inquinano l’atmosfera. Dov’è, a questo punto, la privacy? Abbiamo la responsabilità sociale di cominciare a considerare la mente un prodotto della collettività, riconoscendo che le nostre espressioni individuali sono espressioni della mente umana.
La libertà interiore dal passato, dalla struttura del pensiero, dalla mente collettiva standardizzata, è assolutamente necessaria se vogliamo incontrarci tra noi senza sfiducia, diffidenza o paura, guardandoci negli occhi spontaneamente e ascoltandoci senza inibizioni. Lo studio della mente e l’esplorazione della libertà interiore non sono cose utopiche o egoiste; al contrario, sono cose urgentemente necessarie affinché gli esseri umani possano superare la barriere erette tra noi dall’irreggimentazione del pensiero. A quel punto ci considereremo esseri umani privi di etichette: non indiani, americani, capitalisti o comunisti, ma semplici esseri umani, una miniatura della totalità.
Questa è una cosa che non abbiamo ancora imparato a fare. Stiamo insieme su questo piccolo pianeta, tuttavia non riusciamo a convivere. Fisicamente, siamo vicini gli uni agli altri, ma psicologicamente siamo lontani chilometri. Chiaramente, la responsabilità sociale per arrivare alla libertà interiore è un tema molto importante. Studiamo la mente umana perché vogliamo che prevalga l’armonia della pace, perché abbiamo bisogno della gioia dell’amore nel nostro cuore, perché ci preoccupa la qualità della vita che erediteranno i nostri figli.
Non affrontiamo questo studio perché vogliamo qualcosa di nuovo ed esoterico per l’ego, un’esperienza trascendentale che rinforzi la nostra immagine di noi stessi. Studiamo la mente perché è una responsabilità sociale; riconosciamo che la radici della violenza, dell’ingiustizia, dello sfruttamento e dell’avidità sono nella psiche umana, e là rivolgiamo la nostra attenzione chiara, precisa e oggettiva.
Siamo organicamente interdipendenti, e dobbiamo vivere la relazione che c’è tra noi. Fare attenzione alle dinamiche dell’essere interiore non vuol dire creare una via di fuga dalle responsabilità o avere un atteggiamento di falsa superiorità per cui io sono una persona elevata e tu no; vuol dire, semplicemente, riconoscere che nelle nostre relazioni personali e collettive c’è infelicità, e che tali relazioni provocano paure e ansie, mettendoci sulla difensiva. Per quanto desideriamo la pace, non siamo emotivamente maturi per essa, e la nostra immaturità influenza tutte le nostre azioni, anche le più nobili.
La scomparsa del caos interiore accade nella vita di quelle persone che vogliono davvero diventare esseri umani creativi, vivi e passionali, e che riconoscono che l’anarchia e il caos interiori prosciugano l’energia, manifestandosi nella società sotto forma di comportamenti falsi e meschini. La consapevolezza richiede un enorme amore verso la vita. Non è per coloro che scelgono di vivere tirando avanti, o per chi ritiene che le azioni caritatevoli nella società giustifichino una brutta realtà interiore. La rivoluzione totale di cui stiamo parlando non è per i timidi o per coloro che si credono nel giusto. È per coloro che amano la verità più della finzione. È per coloro che sinceramente e umilmente desiderano trovare una via d’uscita da questo caos che ognuno di noi ha creato con la sua indifferenza, negligenza e mancanza di coraggio morale.
La scelta è nelle nostre mani
La maggior parte di noi non sa qual è il senso della propria vita e quali sono le azioni più importanti da compiere. Seguiamo le mode, mutiamo centro d’interesse secondo i dettami della società, ci lasciamo guidare dalle immagini create dai media o da personali, superficiali desideri di essere utili e servizievoli. Poiché siamo abituati a vivere alla superficie e a temere le profondità, i pensieri e le azioni che dedichiamo all’umanità sono poco profondi, simili a fragili contenitori che si spezzano facilmente. Alla fin fine, la maggior parte di noi si preoccupa soltanto della propria meschina esistenza, della collezione di piaceri sensuali, della salvezza personale e dell’ansia per la malattia e la morte, piuttosto che dell’infelicità creata dall’indifferenza e l’insensibilità generali.
Ma abbiamo raggiunto il punto in cui non potremo più permetterci di indulgere in comodità egoiste e guadagni personali, o di evadere in ricerche spirituali a scapito del bene collettivo. Per noi non possono esserci vie di fuga, ritiri o nicchie personali dove volgere le spalle alle sofferenze dell’umanità, dicendo: “Io non sono responsabile. Sono gli altri che hanno creato questo caos; spetta a loro porvi rimedio”. La scritta sul muro del mondo è chiara: “Imparate a vivere insieme, perché nell’isolamento morirete!”. La scelta è nelle nostre mani.
Oggi il mondo ci costringe ad accettare, almeno intellettualmente, la connessione che c’è tra noi, il fatto che dipendiamo gli uni dagli altri. E sempre più persone stanno comprendendo quanto è urgente fermare la follia che ci circonda. Ciononostante, la nostra risposta è superficiale, inadeguata alla complessità della sfida. Non compiamo (e nemmeno prendiamo in considerazione) azioni che minaccino la nostra sicurezza o alterino la nostra abitudine a vivere tirando avanti. Se continuiamo a vivere con noncuranza e indifferenza, badando solo all’utile privato e alla soddisfazione personale, in realtà stiamo scegliendo il suicidio dell’umanità.
Possiamo impegnarci in molti tipi di servizio sociale, secondo le nostre possibilità, senza deviare di un centimetro dai nostri interessi personali; di fatto, lo stesso servizio sociale aumenta (di solito) l’egocentrismo e la considerazione di sé. Non possiamo però cominciare un’autentica azione sociale, che va all’origine dei problemi della società e della psiche umana, senza rinunciare alle motivazioni egoiche.
Dobbiamo scrutare a fondo la rete di motivazioni personali e scoprire quali sono le nostre priorità. Il nostro desiderio di pace deve essere tanto intenso da farci abbandonare qualsiasi azione egoica, per raggiungere quella maturità richiesta dalle complesse sfide che caratterizzano la nostra esistenza. Se siamo motivati dal desiderio di farci accettare dalla cultura dominante o dalla controcultura, non avremo né la chiarezza della giusta azione né la passione derivante dall’avere uno scopo preciso. Potremmo pure essere elogiati per i nostri contributi, ma se manca una profonda consapevolezza dell’essenza della nostra vita, una percezione chiara del significato dell’esistenza umana, i nostri contributi non raggiungeranno le radici dell’infelicità umana.
Per essere pronti alla responsabilità sociale, dovremo essere spietatamente onesti con noi stessi. Ovunque siamo, abbiamo la responsabilità di resistere all’ingiustizia, di rischiare senza paura i nostri agi e comodità pur di non cooperare con l’ingiustizia e lo sfruttamento. Se adottiamo tutti gli atteggiamenti degli schiavi (la paura, l’accettazione della tirannia, la cecità intellettuale ed emotiva davanti all’ingiustizia), meritiamo le inevitabili conseguenze che stanno scendendo su di noi in una buia nuvola tempestosa.
Se siamo remissivi e ci aggrappiamo alle nostre piccole isole sicure, naturalmente il terrore regnerà sovrano. Se vogliamo la morte di tutti gli altri (i popoli, le razze, le caste, le culture e le religioni degli altri Paesi, ma anche di tutte le creature della Terra) in modo che noi si possa prosperare ed espandere all’infinito i piaceri e le comodità, ovviamente siamo destinati alla corruzione e al decadimento. La mancanza di cuore con cui tolleriamo gli abusi sugli altri per non disturbare le nostre piccole e meschine vite, per non mettere a rischio gli agi di una bella casa, i pasti abbondanti e gli svaghi piacevoli, preannuncia la rovina di tutti noi.
Quando ci troviamo faccia a faccia con la realtà della sofferenza umana e planetaria, quali conseguenze ha su di noi questo grande momento di verità? Ci ritiriamo nelle teorie di comodo e nei meccanismi di difesa, o realizziamo l’essenza del nostro essere? Lasciare cadere i meccanismi di difesa e divenire consapevoli dell’infelicità ci condurrà naturalmente all’azione. Il cuore non può vedere la sofferenza senza chiamare l’essere all’azione, senza attivare la forza dell’amore.
Anche se non agiremo a scala globale o nazionale, ma solo a livello di comunità o di quartiere, dobbiamo tuttavia agire, dare una risposta. La responsabilità sociale fiorisce naturalmente quando percepiamo il mondo senza il filtro dell’ego-consapevolezza. Quando entriamo in contatto diretto con il dolore, giungiamo alla comprensione e all’azione spontanea; ma quando percepiamo il mondo attraverso l’ego, siamo tagliati fuori dalla relazione diretta, da quella comunione che tocca il livello più profondo del nostro essere.
La forza dell’amore è la forza della rivoluzione totale
Se vogliamo sopravvivere, nei nostri cuori dovrà nascere e regnare una premura sensibile e amorevole verso tutte le creature viventi. E la nostra vita sarà davvero benedetta solo quando percepiremo la sofferenza di uno come la sofferenza di tutti. La forza dell’amore è la forza della rivoluzione totale. È la forza imprigionata, sconosciuta e inesplorata che può provocare il mutamento.
Nella nostra vita collettiva ci siamo molto allontanati dall’amore, avvicinandosi pericolosamente alla distruzione, all’inedia. Forse ora siamo più saggi, sappiamo che l’amore è essenziale agli esseri umani quanto l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo e il cibo che mangiamo. L’amore è la bellezza, il delicato mistero, l’anima della vita, la purezza radiosa e intatta che porta gioia spontanea, canti di beatitudine, poesie, pitture, danze, rappresentazioni teatrali che celebrano la sua estasi indescrivibile e mai completamente catturata.
Possiamo portare l’amore nei mercati, le case, le scuole e i luoghi d’affari, trasformandoli completamente? Forse può sembrarvi una sfida utopista, ma è l’unica cosa che farà qualche differenza o che è davvero degna del potenziale di tutti gli esseri umani.
La compassione è un movimento spontaneo della totalità. Non è una decisione studiata a tavolino di aiutare i poveri, di essere gentili con i più sfortunati. La compassione ha una forza enorme, che naturalmente e senza scelta ci porta a compiere nobili azioni. Essa ha la forza dell’intelligenza, della creatività e dell’amore. La passione non può essere coltivata; non proviene né da una convinzione intellettuale né da una reazione emotiva. Appare, semplicemente, quando la totalità della vita è vissuta davvero.
La compassione non si manifesta quando viviamo alla superficie dell’esistenza, quando cerchiamo di mettere insieme, da pochi frammenti a portata di mano, una vita tranquilla. La compassione richiede un tuffo nelle profondità della vita, dove l’unità è la realtà e le divisioni sono solo un’illusione. Se rimaniamo ai livelli superficiali dell’essere, saremo consapevoli solo delle apparenti differenze tra gli esseri umani a livello fisico, mentale, culturale e caratteriale.
Ma se scendiamo verso ciò che è essenziale, scopriremo che non esiste alcuna differenza fondamentale tra gli esseri umani, o tra un essere umano e qualsiasi altra creatura vivente. Tutti siamo manifestazioni della vita, creati dallo stesso principio vitale e nutriti dagli stessi sistemi a supporto della vita. L’unità è una realtà assoluta; la differenziazione è solo transitoria e relativa.
Non basta che alcuni individui della società penetrino nelle profondità della vita e poi offrano affascinanti resoconti sulla concordia di tutti gli esseri. Ciò che è necessario, in questo momento cruciale, è che tutte le persone sensibili e altruiste realizzino personalmente tale concordia, permettendo poi alla compassione di fluire nella loro vita. Quando la compassione e la realizzazione dell’unità diventeranno la forza motrice delle relazioni umane, il genere umano si evolverà.
In tutto il mondo stiamo soffrendo nell’oscurità del dolore che abbiamo creato. Poiché crediamo nel frammentario e nel superficiale, non siamo riusciti a vivere insieme in pace e armonia, e l’oscurità incombe enorme sull’orizzonte. È in tale oscurità che la gente comune come io e te sente il bisogno di andare più in profondità, di abbandonare gli approcci superficiali inadeguati e di mettere in azione le forze creative disponibili a ognuno di noi, in quanto espressioni della totalità. L’immensa intelligenza che ordina il cosmo è alla portata di tutti.
La bellezza e la meraviglia della vita è che condividiamo la creatività, l’intelligenza e il potenziale illimitato con il resto del cosmo. Se l’universo è vasto e misterioso, noi siamo vasti e misteriosi. Se esso contiene innumerevoli energie creative, noi conteniamo innumerevoli energie creative. Se in esso esistono energie di guarigione, queste ultime esistono anche in noi. Comprendere che non siamo semplici esseri fisici su un pianeta materiale, ma esseri integri, ciascuno una miniatura del cosmo, ciascuno connesso a tutta la vita in modi intimi e profondi, dovrebbe trasformare profondamente la nostra percezione di noi stessi, il nostro ambiente e i nostri problemi sociali. Niente può mai essere isolato dal tutto.
In ogni essere umano esiste un grande potenziale inesplorato. Non siamo fatti semplicemente di carne e ossa né siamo un concentrato di condizionamenti. Se fosse così, il nostro futuro su questo pianeta non sarebbe molto luminoso. Ma nella vita esiste infinitamente di più, e ogni essere passionale che ha il coraggio di cercare il mistero della totalità, al di là del frammentario e del superficiale, aiuta l’umanità intera a comprendere cosa vuol dire essere totalmente uomini. La rivoluzione, la rivoluzione totale, implica lo sperimentare con l’impossibile. E quando un individuo fa un passo nella direzione del nuovo, dell’impossibile, l’intera specie umana progredisce attraverso quell’individuo.

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