Molto interessante,per comprendere dittatori e autarchia,e svelare invece i veri distruttori di popoli,ovvero i banchieri.
Lo scrittere uruguayano Eduardo Galeano ci presenta, nel suo notissimo Las venas abiertas de América Latina, una lettura diversa di una guerra che segnò, insieme alla fine dell’isolamento del Paraguay, la distruzione di un’esperienza inedita in America Latina.
Pur denunciando il pugno di ferro con cui Gaspar Rodríguez de Francia impose il suo potere dopo l’indipendenza, Eduardo Galeano presenta il Paraguay come l’unico tentativo riuscito di sviluppo indipendente, in contrasto con un quadro di dipendenza e sfruttamento dai paesi occidentali delle nascenti repubbliche latinoamericane, anch’esse, del resto, non certo modelli di libertà, democrazia ed uguaglianza.
Pur denunciando il pugno di ferro con cui Gaspar Rodríguez de Francia impose il suo potere dopo l’indipendenza, Eduardo Galeano presenta il Paraguay come l’unico tentativo riuscito di sviluppo indipendente, in contrasto con un quadro di dipendenza e sfruttamento dai paesi occidentali delle nascenti repubbliche latinoamericane, anch’esse, del resto, non certo modelli di libertà, democrazia ed uguaglianza.
«I paraguayani soffrono ancora l’eredità di una guerra di sterminio che ha scritto uno dei capitoli più infami della storia dell’America Latina. Fu chiamata la Guerra della Triplice Alleanza: Brasile, Argentina ed Uruguay si assunsero l’incarico del genocidio. Non lasciarono pietra su pietra, né uomini tra le macerie. Anche se l’Inghilterra non partecipò direttamente all’orribile impresa, furono i suoi mercanti, i suoi banchieri ed i suoi industriali che beneficiarono della distruzione del Paraguay. L’invasione fu finanziata, dall’inizio alla fine, dalla Banca di Londra, la Casa Baring Brothers e la Banca Rothschild, attraverso prestiti con interessi altissimi che ipotecarono il futuro dei paesi vincitori.
Fino alla sua distruzione, il Paraguay rappresentava un’eccezione in America Latina: l’unica nazione non dipendente dal capitale straniero. Il lungo governo dal pugno di ferro del dittatore Gaspar Rodríguez de Francia aveva favorito, protetto dall’isolamento, uno sviluppo economico autonomo e sostenuto. Lo Stato, onnipotente, paternalista, occupava il posto di un’inesistente borghesia nazionale nel compito di organizzare la nazione ed orientare le sue risorse ed il suo destino. Francia si era appoggiato sulle masse contadine per schiacciare l’oligarchia ed aveva conquistato la pace interiore stendendo uno stretto cordone sanitario di fronte ai restanti paesi dell’ex Vicereame del Rio de la Plata. Gli espropri, l’esilio, le prigioni, le persecuzioni e le multe non erano stati strumenti per consolidare il dominio interno dei grossi proprietari terrieri e dei commercianti, ma, al contrario, erano stati utilizzati per la loro distruzione. Non esistevano, né nasceranno più tardi, le libertà politiche ed il diritto di opposizione, però in quella tappa storica solo i nostalgici dei privilegi perduti soffrivano la mancanza di democrazia. Non aveva grandi fortune private quando Gaspar Rodríguez de Francia morì ed il Paraguay era l’unico paese dell’America Latina che non aveva mendicanti, affamati e ladri; i viaggiatori dell’epoca trovavano lì un’oasi di tranquillità in mezzo agli altri paesi sconvolti dalle continue guerre. L’agente nordamericano Hopkins informava nel 1845 il suo governo che in Paraguay «non c’è un bambino che non sappia leggere e scrivere». Era anche l’unico paese che non viveva con lo sguardo fisso sull’altro lato del mare. Il commercio estero non era l’asse portante della vita nazionale; la dottrina liberale, espressione ideologica dell’articolazione mondiale dei mercati, non aveva risposte dinanzi alle sfide che il Paraguay, obbligato a crescere nel suo isolamento, si era imposto fin dall’inizio del secolo. Lo sterminio dell’oligarchia rese possibile la concentrazione delle risorse economiche fondamentali nelle mani dello Stato, per portare avanti una politica autarchica di sviluppo dentro le frontiere.
Fino alla sua distruzione, il Paraguay rappresentava un’eccezione in America Latina: l’unica nazione non dipendente dal capitale straniero. Il lungo governo dal pugno di ferro del dittatore Gaspar Rodríguez de Francia aveva favorito, protetto dall’isolamento, uno sviluppo economico autonomo e sostenuto. Lo Stato, onnipotente, paternalista, occupava il posto di un’inesistente borghesia nazionale nel compito di organizzare la nazione ed orientare le sue risorse ed il suo destino. Francia si era appoggiato sulle masse contadine per schiacciare l’oligarchia ed aveva conquistato la pace interiore stendendo uno stretto cordone sanitario di fronte ai restanti paesi dell’ex Vicereame del Rio de la Plata. Gli espropri, l’esilio, le prigioni, le persecuzioni e le multe non erano stati strumenti per consolidare il dominio interno dei grossi proprietari terrieri e dei commercianti, ma, al contrario, erano stati utilizzati per la loro distruzione. Non esistevano, né nasceranno più tardi, le libertà politiche ed il diritto di opposizione, però in quella tappa storica solo i nostalgici dei privilegi perduti soffrivano la mancanza di democrazia. Non aveva grandi fortune private quando Gaspar Rodríguez de Francia morì ed il Paraguay era l’unico paese dell’America Latina che non aveva mendicanti, affamati e ladri; i viaggiatori dell’epoca trovavano lì un’oasi di tranquillità in mezzo agli altri paesi sconvolti dalle continue guerre. L’agente nordamericano Hopkins informava nel 1845 il suo governo che in Paraguay «non c’è un bambino che non sappia leggere e scrivere». Era anche l’unico paese che non viveva con lo sguardo fisso sull’altro lato del mare. Il commercio estero non era l’asse portante della vita nazionale; la dottrina liberale, espressione ideologica dell’articolazione mondiale dei mercati, non aveva risposte dinanzi alle sfide che il Paraguay, obbligato a crescere nel suo isolamento, si era imposto fin dall’inizio del secolo. Lo sterminio dell’oligarchia rese possibile la concentrazione delle risorse economiche fondamentali nelle mani dello Stato, per portare avanti una politica autarchica di sviluppo dentro le frontiere.
I successivi governi di Carlos Antonio López e suo figlio Francisco Solano continuarono l’opera. L’economia era in piena crescita. Quando gli invasori, nel 1865, apparvero all’orizzonte il Paraguay contava su una linea di telegrafo, una ferrovia ed una buona quantità di fabbriche di materiali da costruzione, tessuti, tele, ponchos, carta e inchiostro, ceramica e polvere da sparo. Duecento tecnici stranieri, molto ben pagati dallo Stato, prestavano la loro collaborazione decisiva. Dal 1850, la fonderia di Ibycui fabbricava cannoni, mortai e proiettili di tutti i calibri; nell’arsenale di Asunción si producevano cannoni di bronzo, obici e palle. La siderurgia nazionale, come tutte le altre attività economiche essenziali, era nelle mani dello Stato. Il paese contava su una flotta mercantile nazionale ed erano state costruite nel cantiere navale di Asunción diverse navi che innalzavano la bandiera paraguayana lungo il Paraná o attraverso l’Atlantico ed il Mediterraneo. Lo Stato monopolizzava virtualmente il commercio estero: l’erba mate ed il tabacco per il consumo del sud del continente ed i legni pregiati per l’Europa. La bilancia commerciale registrava un forte attivo. Il Paraguay aveva una moneta forte e stabile e disponeva di sufficiente ricchezza per realizzare enormi investimenti pubblici senza ricorrere al capitale straniero. Il paese non doveva neppure un centesimo all’estero, nonostante ciò era in grado di mantenere il miglior esercito dell’America del Sud, assumere tecnici inglesi, che si ponevano al servizio del paese invece di porre il paese al loro servizio, ed inviare in Europa alcuni giovani universitari per perfezionare i loro studi. L’eccedenza economica generata dalla produzione agricola non si sperperava nel lusso sterile di un’oligarchia inesistente, né andava a fermarsi nei portafogli degli intermediari, né nelle mani avide degli strozzini, né alla voce “guadagni” che l’Impero britannico nutriva con i servizi di trasporto ed assicurazioni.
La spugna imperialista non assorbiva la ricchezza prodotta dal paese. Il 98% del territorio paraguayano era di proprietà pubblica: lo Stato cedeva ai contadini lo sfruttamento di appezzamenti in cambio dell’obbligo di abitarvi e coltivarli in forma permanente ma senza il diritto di venderle. C’erano, inoltre, 64 estancias de la patria, proprietà che lo Stato amministrava direttamente. Le opere di irrigazione, dighe e canali, i nuovi ponti e strade contribuirono significativamente all’aumento della produttività agricola. Si riscattò la tradizione indigena, abbandonata dai conquistatori, di due raccolti annuali. Lo stimolo vivo delle tradizioni gesuite facilitava, senza alcun dubbio, tutto questo processo creativo.
Lo stato paraguayano seguiva un geloso protezionismo, ulteriormente rafforzato nel 1864, sull’industria nazionale e sul mercato interno; i fiumi interni non erano aperti alle navi britanniche che invadevano con manufatti di Manchester e Liverpool tutto il resto dell’America Latina. Il commercio inglese non nascondeva la sua inquietudine, non solo perché risultava invulnerabile quell’ultimo focolare di resistenza nazionale nel cuore del continente, ma anche, e soprattutto, per la forza dell’esempio che l’esperienza paraguayana irradiava pericolosamente tra i vicini. Il paese più progressista dell’America Latina costruiva il suo futuro senza investimenti stranieri, senza prestiti della banca inglese e senza le benedizioni del libero commercio. Però nella misura in cui il Paraguay andava avanzando in questo processo, si faceva più profonda la necessità di rompere la sua reclusione. Lo sviluppo industriale richiedeva contatti più intensi e diretti con il mercato internazionale e le fonti della tecnica avanzata. Il Paraguay era bloccato tra Argentina e Brasile ed i due paesi potevano negare l’ossigeno ai suoi polmoni chiudendo la foce dei fiumi e fissando imposte arbitrarie al transito delle sue merci. Per i suoi vicini, d’altronde, era condizione imprescindibile, per il consolidamento dello Stato oligarchico, porre fine allo scandalo di quel paese che bastava a se stesso e non voleva inginocchiarsi dinanzi ai mercanti britannici.
Lo stato paraguayano seguiva un geloso protezionismo, ulteriormente rafforzato nel 1864, sull’industria nazionale e sul mercato interno; i fiumi interni non erano aperti alle navi britanniche che invadevano con manufatti di Manchester e Liverpool tutto il resto dell’America Latina. Il commercio inglese non nascondeva la sua inquietudine, non solo perché risultava invulnerabile quell’ultimo focolare di resistenza nazionale nel cuore del continente, ma anche, e soprattutto, per la forza dell’esempio che l’esperienza paraguayana irradiava pericolosamente tra i vicini. Il paese più progressista dell’America Latina costruiva il suo futuro senza investimenti stranieri, senza prestiti della banca inglese e senza le benedizioni del libero commercio. Però nella misura in cui il Paraguay andava avanzando in questo processo, si faceva più profonda la necessità di rompere la sua reclusione. Lo sviluppo industriale richiedeva contatti più intensi e diretti con il mercato internazionale e le fonti della tecnica avanzata. Il Paraguay era bloccato tra Argentina e Brasile ed i due paesi potevano negare l’ossigeno ai suoi polmoni chiudendo la foce dei fiumi e fissando imposte arbitrarie al transito delle sue merci. Per i suoi vicini, d’altronde, era condizione imprescindibile, per il consolidamento dello Stato oligarchico, porre fine allo scandalo di quel paese che bastava a se stesso e non voleva inginocchiarsi dinanzi ai mercanti britannici.
Il ministro inglese a Buenos Aires, Edward Thornton, partecipò attivamente ai preparativi della guerra […]. La Triplice Alleanza era in funzione. Il presidente paraguayano Solano López aveva minacciato la guerra se fosse stato invaso l’Uruguay – sapendo che in tal caso si sarebbe chiusa la tenaglia di ferro intorno alla gola del suo paese racchiuso dalla geografia e dai nemici -. […] E l’Uruguay fu invaso. Il trattato tra il Brasile e l’Uruguay fu firmato il 10 maggio 1865 […]. I futuri vincitori avevano già anticipatamente concordato la ripartizione delle spoglie del vinto: l’Argentina si assicurava il territorio di Misiones e l’immenso Chaco, il Brasile un’estensione immensa ad ovest delle sue frontiere, mentre all’Uruguay, governato da un burattino delle due potenze, non sarebbe toccato nulla. Si annunciò che Asunción sarebbe stata presa in tre mesi; la guerra durò, invece, cinque anni. Fu una carneficina, eseguita lungo i forti che difendevano il fiume Paraguay. Uomini, donne, bambini e vecchi, tutti si batterono come leoni. […] Gli invasori venivano per redimere il popolo paraguayano: lo sterminarono; solo un sesto dei paraguayani sopravvivevano nel 1870. Era il trionfo della civiltà. I vincitori, rovinati dall’altissimo costo del crimine, rimanevano nella mani dei banchieri inglesi che avevano finanziato l’avventura. […] I tre paesi subirono una bancarotta finanziaria che aumentò la loro dipendenza dall’Inghilterra. La matanza del Paraguay li segnò per sempre. […]
Dal Paraguay sconfitto non scomparse solo la popolazione: anche le tariffe doganali, i forni di fonderia, i fiumi chiusi al libero commercio, l’indipendenza economica e vaste zone del suo territorio. I vincitori introdussero dentro le frontiere ridotte dal saccheggio, il libero scambio ed il latifondo. Tutto fu saccheggiato e tutto fu venduto: le terre ed i boschi, le miniere, le piantagioni di erba mate, gli edifici delle scuole. Successivi governi marionetta saranno installati ad Asunción dalle forze straniere d’occupazione. Quando la guerra non era ancora totalmente finita, sulle rovine ancora fumanti del Paraguay cadde il primo prestito straniero della sua storia: britannico, naturalmente. […] Anche la libertà di commercio fu garantita dal Paraguay dopo la sconfitta. Furono abbandonate le coltivazioni di cotone e Manchester portò alla rovina la produzione tessile; l’industria nazionale non è ancora risorta.
Gaspar Rodríguez de Francia è presente, come uno degli esemplari più orribili, nel bestiario della storia ufficiale. Le deformazioni ottiche imposte dal liberalismo non sono un privilegio delle classi dominanti in America Latina; anche molti intellettuali di sinistra, che son soliti guardare con lenti altrui la storia dei nostri paesi, condividono alcuni miti della destra, le sue canonizzazioni e le sue scomuniche.
Tratto da: Eurit.it
Scritto da: Oltrelacoltre
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