domenica 17 marzo 2013

Criminali al potere tibetani


Da questo Post 
Non molto chiaroveggente il nostro Dalai lama,per ritornare a mutilare qualche tibetano,si alleerebbe anche con il diavolo,cioè Bush

Nota allegata da Massimo Sega:


Le religioni hanno sempre avuto una stretta correlazione non soltanto con
la violenza, ma anche con lo sfruttamento economico. In realtà, è spesso
la strumentalizzazione economica che conduce necessariamente alla
violenza. Tale è stato il caso della teocrazia tibetana. Fino al 1959,
quando il Dalai Lama presiedette l'ultima volta il Tibet, la maggior parte
della terra arabile era ancora organizzata attorno a proprietà feudali
religiose o secolari lavorate da servi della gleba. Addirittura uno
scrittore come Pradyumna Karan, solidale con il vecchio ordine, riconosce
che "una grande quantità di proprietà apparteneva ai monasteri, la
maggioranza di essi accumulava notevoli ricchezze..Inoltre, monaci e Lama
riuscirono ad ammassare individualmente notevoli ricchezze tramite la
partecipazione attiva negli affari, nel commercio e nell'usura." (8)

Il monastero di Drepung era uno delle più estese proprietà terrestri del
mondo, con i suoi 185 feudi, 25.000 servi della gleba, 300 grandi pascoli
e 16.000 guardiani di gregge. La ricchezza dei monasteri andava ai Lama di
più alto rango, molti dei quali rampolli di famiglie aristocratiche,
mentre invece la maggior parte del clero più basso era povero come la
classe contadina dalla quale discendeva. Questa disuguaglianza economica
classista all'interno del clero tibetano, è strettamente paragonabile a
quella del clero cristiano dell'Europa medievale. Insieme al clero
superiore, i leaders secolari facevano la loro parte. Un esempio
considerevole fu il comandante in capo dell'esercito tibetano, che
possedeva 4.000 chilometri quadrati di terra e 3.500 servi. Egli era anche
un membro del Consiglio terriero del Dalai Lama. (9)

L'Antico Tibet è stato rappresentato da alcuni dei suoi ammiratori
occidentali come "una nazione che non necessitava forze di polizia perché
il suo popolo osservava spontaneamente le leggi del karma." (10) In realtà
era dotato di un esercito professionale, sebbene di piccole dimensioni,
che era al servizio dei proprietari terrieri come gendarmeria, con
l'incarico di mantenere l'ordine e catturare i servi della gleba
fuggitivi. (11)

I ragazzini tibetani venivano regolarmente sottratti alle loro famiglie e
condotti nei monasteri per essere educati come monaci. Una volta laggiù,
erano vincolati per tutta la vita. Tashì-Tsering, un monaco, riferisce che
era pratica comune per i bambini contadini essere abusati sessualmente nei
monasteri. Egli stesso fu vittima di ripetute violenze sessuali perpetrate
durante l'infanzia, non molto tempo dopo che fu introdotto nel monastero,
all'età di nove anni. (12)

Nell'Antico Tibet vi era un piccolo numero di agricoltori il cui stato
sociale era una sorta di contadino libero, e forse un numero aggiuntivo di
10.000 persone, le quali costituivano la "classe media", famiglie di
mercanti, bottegai e piccoli commercianti. Migliaia di altri erano
mendicanti. Una piccola minoranza erano poi schiavi, di solito servi
domestici, che non possedevano nulla. La loro prole nasceva già in
condizioni di schiavitù. (13)

Nel 1953, la maggioranza della popolazione rurale - circa 700.000 su una
popolazione totale stimata 1.250.000 - era composta da servi della gleba.
Vincolati alla terra, veniva loro assegnata soltanto una piccola parcella
fondiaria per poter coltivare il cibo atto al sostentamento. I servi della
gleba e il resto dei contadini dovevano in genere fare a meno
dell'istruzione e dalle cure mediche. Trascorrevano la maggioranza del
loro tempo sgobbando per i monasteri e per i singoli Lama di alto rango, e
per un'aristocrazia secolare, laica, che non contava più di 200 famiglie.
Essi erano in effetti proprietà dei loro signori, che gli comandavano
quali prodotti della terra coltivare e quali animali allevare. Non si
potevano sposare senza il consenso del loro signore o Lama. Se il suo
signore lo avesse inviato in un luogo di lavoro lontano, un servo avrebbe
potuto essere facilmente separato dalla sua famiglia. I servi potevano
essere venduti dai loro padroni, o sottoposti a tortura e morte. (14)
 La servitù necessitava di un permesso per
recarsi ovunque. I proprietari terrieri avevano l'autorità legale di
catturare e impiegare metodi coercitivi, sino alla violenza, nei confronti
di quelli che tentavano di fuggire, obbligandoli a tornare indietro. 
Oltre a ritrovarsi in un vincolo lavorativo che li obbligava a lavorare la
terra del signore - oppure quella del monastero - per tutta la durata
della vita e senza salario, i servi della gleba erano costretti a riparare
le case del signore, trasportarne la messe e raccoglierne la legna da
ardere. Si esigeva anche che provvedessero a trasportare gli animali e al
trasporto su richiesta, a seconda delle pretese del padrone. "Era un
efficiente sistema di sfruttamento economico, che assicurava alle élites
laiche e religiose del paese una forza lavoro sicura e permanente per
coltivare i loro appezzamenti di terreno, che li esonerava dall'accollarsi
qualsiasi responsabilità quotidiana diretta circa la sussistenza del
servo, e senza la necessità di competere per la manodopera in un contesto
di mercato." (17)

La gente comune sgobbava sotto il doppio fardello della corvée (lavoro
forzato non retribuito in favore del padrone) e delle decime onerose. Ogni
aspetto della vita era gravato da tributi: il matrimonio, la nascita di
ogni figlio, ogni morte in famiglia. Erano soggetti a imposta per aver
piantato un nuovo albero nel loro cortile, per tenere animali domestici o
dell'aia, per il possesso di un vaso di fiori, o per l'aver messo un
campanello ad un animale. C'erano tasse per le festività religiose, per
cantare, ballare, far rullare il tamburo e suonare il campanello. La gente
veniva tassata per quando veniva mandata in prigione e quando la si
rilasciava. Addirittura i mendicanti erano soggetti alla pressione
fiscale. Quelli che non riuscivano a trovare lavoro erano tassati a causa
della loro disoccupazione, e se si spostavano in un altro villaggio nella
loro ricerca di un'occupazione, pagavano una tassa di transito. Quando la
gente non poteva pagare, i monasteri prestavano loro denaro ad un
interesse oscillante fra il 20% e il 50%. Alcuni debiti venivano
tramandati di padre in figlio sino al nipote. I debitori che non potevano
evadere i loro debiti, rischiavano la riduzione in schiavitù per un
periodo di tempo stabilito dal monastero, a volte per il resto delle loro
vite. (18)

Le dottrine pedagogiche della teocrazia ne appoggiarono e rafforzarono
l'ordine sociale classista. Si insegnava ai poveri e agli afflitti che i
propri guai erano su di loro a causa del loro comportamento sciocco e
immorale nel corso delle loro vite precedenti. Dovevano quindi accettare l
a miseria della loro esistenza presente come un'espiazione e in anticipo,
solo così il loro destino, la loro sorte sarebbero migliorati se fossero
rinati, se si fossero reincarnati. I ricchi e potenti consideravano
naturalmente la loro buona fortuna come una ricompensa e una dimostrazione
tangibile di virtù nelle vite passate e presenti.

Torture e mutilazioni in Shangri-La

Nel Tibet del Dalai Lama, la tortura e la mutilazione - comprese
l'asportazione dell'occhio e della lingua, l'azzoppamento e l'amputazione
delle braccia e delle gambe - erano le punizioni principali inflitte ai
ladri, ai servi fuggiaschi, e ad altri "criminali". Viaggiando attraverso
il Tibet negli anni '60, Stuart e Roma Gelder ebbero un colloquio con un
antico servo, Tsereh Wang Tuei, che aveva rubato due pecore che
appartenevano ad un monastero. Per questo ebbe entrambi gli occhi
strappati e le mani mutilate. Spiega che non è più un buddista: "Quando un
sacro Lama disse loro di accecarmi, pensai che non c'era alcun bene nella
religione." (19)

Alcuni visitatori occidentali nell'Antico Tibet hanno fatto notare
l'elevato numero di amputati. Dato che è contro la dottrina buddista
sottrarre la vita, alcuni delinquenti furono severamente frustati e poi
"abbandonati a Dio" nella gelida notte a morire. "I paralleli fra il
Tibet e l'Europa medievale sono impressionanti," conclude Tom Grunfeld nel
suo libro sul Tibet. (20)

Alcuni monasteri avevano le proprie prigioni private, riporta Anna Louise
Strong. Nel 1959, visitò una mostra di apparecchiature da tortura che
erano state impiegate dai signori feudatari tibetani. C'erano manette di
tutte le taglie, comprese quelle di piccola misura per bambini, e
strumenti per mozzare nasi e orecchie, e spezzare mani. Per strappare gli
occhi, c'era uno speciale copricapo di pietra, provvisto di due fori, che
veniva premuto sul capo, così che gli occhi potessero gonfiarsi e
deformarsi fuoriuscendo dalle orbite, facilitandone l'asportazione.
C'erano congegni per tagliare le rotule e i talloni, o per azzoppare.
C'erano tizzoni ardenti, scudisci e strumenti speciali per sventrare. (21)

L'esposizione presentava fotografie e testimonianze di vittime che erano
state accecate o storpiate o che avevano patito amputazioni per furto.
C'era il pastore il cui padrone vantava un debito nei suoi confronti in
denaro e grano, ma che si rifiutava di pagare. Così il pastore si
impossessò di una delle mucche del padrone; e per questo gli furono
troncate le mani. Ad un altro guardiano di gregge, che si opponeva al
dover concedere la moglie al suo signore, furono staccate le mani. C'erano
fotografie di attivisti comunisti dai nasi e dalle labbra superiori
troncati, e una donna che era stata violentata e che poi ebbe il naso
mozzato. (22)

Il dispotismo teocratico era stato per anni il principio informatore. Nel
1895, un visitatore inglese in Tibet, il dr. A. L. Waddell scrisse che i
tibetani erano assoggettati all' "intollerabile tirannia dei monaci" e
alle superstizioni diaboliche che essi avevano modellato al fine di
terrorizzare le persone. Perceval Landon descrisse nel 1904 la regola del
Dalai Lama come una "macchina da sopraffazione" e un "ostacolo ad ogni
progresso umano." Più o meno a quel tempo, un altro viaggiatore inglese,
il Capitano W.F.T. O'Connor notava che " i grandi proprietari terrieri e i
sacerdoti. esercitano ciascuno all'interno del proprio dominio un potere
dispotico dal quale non c'è appello," mentre il popolo è "oppresso dalla
più mostruosa crescita di monachesimo e clericalismo che il mondo abbia
mai visto." I governatori tibetani, come quelli europei durante il
medioevo, "forgiarono innumerevoli armi per asservire il popolo,
inventarono leggende umilianti e stimolarono uno spirito di superstizione"
fra la gente comune. (23)

Nel 1937, un altro visitatore, Spencer Chapman, scrisse: ".il monaco
buddista tibetano non trascorre il proprio tempo provvedendo alle persone
o ad istruirle, e nemmeno i laici prendono parte ai servizi dei monasteri
o li frequentano. Il mendicante sul ciglio della strada non è nulla per il
monaco. La conoscenza è una prerogativa dei monasteri custodita
gelosamente, ed è strumentalizzata per aumentare la loro influenza e
ricchezza..." (24)

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