lunedì 7 maggio 2012

Il mio spirito anticlericale,ogni tanto riemerge

 

Wojtyla “santo subito!”. Per nasconderne le colpe

Ma Wojtyla, il famoso papa polacco, predecessore dell’attuale papa Ratzinger, è davvero un beato? E può magari essere dichiarato in futuro anche santo? Si tratta francamente di domande oziose, inutili. La Chiesa può dichiarare santo e beato chi più le aggrada, esattamente come una tribù animista può dichiarare che in un baobab c’è uno spirito che fa miracoli o i buddisti e gli induisti possono dichiarare che il Tal dei Tali è – appunto – un santone e venerarlo come tale. Se c’è chi crede certe cose, affari suoi. L’importante è che non voglia costringere gli altri a credere anche loro in ciò che crede lui. Ecco perché è assurdo porsi certe domande su Wojtyla o sugli altri “santi” e “beati” dichiarati tali dalla Chiesa. Alcuni dei quali peraltro erano fior di mascalzoni, come per esempio S. Carlo Borromeo, il famoso vescovo e santo di Milano: grande cultore delle torture e dei roghi dell’Inquisizione, ha in comune con Wojtyla l’essere scampato a un attentato con una pistola dell’epoca e avere voluto interpretare l’essere rimasto illeso come un miracolo, un segno della benevolenza di Dio, quando si trattava invece solo di imperizia dello sparatore e inefficienza dell’arma usata.

Tutto ciò premesso, che Wojtyla non sia degno di essere considerato beato, e quindi tanto meno santo, perlomeno nel senso attribuito a tali termini dai laici, risulta chiaro da almeno due episodi. Il primo e senza dubbio il più grave è essere il responsabile dell’ordine imposto ai vescovi di tutto il mondo nel marzo 2003 di tacere alle autorità civili dei propri Paesi qualunque caso di pedofilia del clero. L’ordine, come ho scritto più volte, venne firmato dall’attuale papa, Ratzinger, e dall’attuale segretario di Stato vaticano, Raffaele Bertone, nella loro veste, all’epoca, rispettivamente di responsabile e suo vice della Congregazione per la dottrina della fede (ex tribunale dell’Inquisizione). Ma a volere quell’ordine, nell’ambito di un aggiornamento delle leggi vaticane relative a una serie di delitti, e a ratificarlo è stato Wojtyla. Le conseguenze sono tristemente note. Gli scandali per i casi di pedofilia del clero coperti dalle gerarchie locali sono esplosi un po’ ovunque, in Italia, negli Usa, in Australia, in Austria, in Irlanda, ecc. Negli Usa la Chiesa in vari processi ha dovuto pagare alle vittime dei preti pedofili danni per cifre totali astronomiche, e per quell’ordine del 2003 una corte del Texas nel 2005 ha accusato Ratzinger di ostruzione della giustizia. Per evitare un devastante rinvio a giudizio è dovuto intervenire l’allora presidente George Bush junior, che ha imposto l’immunità dovuta ai capi di Stato perché nel frattempo l’imputato era stato eletto papa, diventando così anche capo dello Stato del Vaticano.
Un’altra grave colpa di Wojtyla è avere voluto far credere che fosse un rapimento la scomparsa della giovanissima sua concittadina vaticana Emanuela Orlandi, svanita nel nulla nel tardo pomeriggio del 22 giugno 1983. Emanuela era una bella e vivace ragazzina di quasi 16 anni e non c’era assolutamente nessun motivo, nessun indizio che potesse legittimamente far credere che fosse stata rapita anziché essere scappata di casa per un po’, come fanno migliaia di minorenni ogni anno anche in Italia, o anziché essere rimasta vittima di qualcos’altro, come pure succede a centinaia di altri minorenni ogni anno, fino ai recenti casi di Sarah Scazzi e Yara Gambirasio. Eppure un paio di settimane dopo quel 22 giugno, per l’esattezza la prima domenica di luglio, Wojtyla alla fine della consueta preghiera dell’Angelus sorprese il mondo accreditando la pista del rapimento e lanciando un appello perché la ragazza fosse rilasciata. Il tutto senza neppure interpretare o almeno avvertire i genitori della ragazza, il padre della quale, Ercole Orlandi, era un fattorino di Wojtyla. Abitante in Vaticano con la famiglia, moglie, cinque figli e una sorella, Ercole portava di persona ai destinatari residenti a Roma le lettere, i messaggi, gli inviti, le convocazioni, i doni, gli incoraggiamenti e quant’altro del papa. L’appello di Wojtyla diede la stura alla bufala, durata un quarto di secolo, del rapimento “politico”: per anni e anni si è infatti favoleggiato – con enorme clamore, ma sempre senza mai lo straccio di una prova – che Emanuela era stata rapita per essere scambiata con Alì Agca, il terrorista turco condannato all’ergastolo per avere sparato in piazza S. Pietro a Wojtyla una domenica d’estate del 1981. Per anni e anni si è anche favoleggiato che ad armare Agca fossero stati i servizi segreti di Mosca, all’epoca capitate del colosso comunista URSS: la vulgata tenuta in scena per quasi 25 anni affermava che i “servizi” di Mosca erano desiderosi di togliere di mezzo il papa polacco perché alimentava le proteste anticomuniste della natia Polonia.
Sta di fatto che la ragazza non è tornata a casa neppure dopo che Agca è stato infine estradato in Turchia in occasione dell’”anno santo” del 2000. Un mancato ritorno che è la prova lampante del fatto che la pista del “sequestro politico” era solo una colossale montatura. Nei giorni scorsi è arrivato in libreria “Uccidete il papa”, libro nel quale il collega di Repubblica Marco Ansaldo dimostra, appunto, ciò che era chiaro fin dall’inizio: vale a dire, che la pista “comunista” dietro Agca era una balla. Nessuno però osa trarre le conclusioni: e cioè che Emanuela Orlandi non è stata dunque rapita. Meglio tenere in scena la nuova montatura, lanciata nel 2005, che vuole Emanuela comunque rapita: non più dagli amici di Agca, ma dalla banda della Magliana…
Come ho scritto nel mio libro “Emanuela Orlandi, la verità. Dai Lupi Grigi alla banda della Magliana” e come ho ribadito nell’ultimo mio libro “Cronaca criminale. La Storia definitiva della banda della Magliana”, è ovvio che se davvero Emanuela fosse stata rapita ai sequestratori dopo l’appello lanciato in mondovisione dal papa in persona non sarebbero rimaste che due sole possibilità: liberare l’ostaggio o sopprimerlo. I rapitori si sarebbero ovviamente resi conto che dopo quel clamoroso appello sarebbero stati fatti segno a una caccia senza quartiere, non solo da parte della polizia e dei carabinieri e neppure da parte dei soli servizi segreti italiani. Insomma, gli eventuali rapitori non avrebbero avuto scampo: se non si fossero liberati in fretta della ragazza, viva o morta, sarebbero stati braccati e catturati. Per giunta di appelli Wojtyla ne fece ben otto: se per scrupolo o imperizia gli ipotetici rapitori non si fossero liberati di Emanuela dopo il primo appello, sicuramente lo avrebbero fatto senza aspettare l’ottavo. Teniamo presente che in Italia nel 1983, anno della scomparsa di Emanuela, di casi di rapimenti a scopo d’estorsione accumulati nel corso degli anni ’70 e dei primi anni ’80 se ne contavano a centinaia, non mancava quindi l’esperienza per sapere che se si voleva risolvere felicemente un caso, cioè arrivare al rilascio o alla liberazione armi alla mano dell’ostaggio vivo, era essenziale non fare troppo baccano.

Neppure un anticlericale incallito può pensare che un papa condanna a morte una ragazzina per quello che al massimo sarebbe stato solo un inutile gesto di buonismo. Chiaro come il sole quindi che Wojtyla – e la segreteria di Stato vaticana che lo consigliava – sapesse con certezza che Emanuela non era stata rapita, ma era morta per responsabilità, accidentale o meno, di qualcuno d’Oltretevere. Qualcuno che non si poteva abbandonare al suo destino, nelle mani cioè della giustizia. Che in Vaticano sapessero bene come stavano le cose, e cioè che per Emanuela non c’era più niente da fare, lo dimostra anche la testimonianza di monsignor Francesco Salerno ai magistrati italiani: “Poiché mi occupavo di finanza vaticana e avevo quindi molte conoscenze, nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa della Orlandi proposi a monsignor Giovanbattista Re, dirigente di un settore della Segreteria di Stato, di darmi da fare per cercare di sapere cosa le fosse successo. Ma il monsignore mi disse che era meglio lasciare le cose come stavano”.  Qualcuno potrebbe pensare che Salerno fosse un mitomane o un bugiardo. Ma si tratta di ipotesi da escludere: il monsignore infatti, successivamente alla sua testimonianza, è stato nominato rettore della basilica di S. Giovanni in Laterano. E ovviamente non si mette un mitomane o un bugiardo a capo di quella che dopo la basilica di S. Pietro è la più importante chiesa dell’intero modo cristiano. Semmai, lo si promuove a un così prestigioso incarico per comprarne il silenzio.
I magistrati hanno anche intercettato una telefonata di monsignor Bertani, “cappellano di Sua Santità”, che ordina al vicecapo della Vigilanza vaticana, Raul Bonarelli, di mentire agli inquirenti che lo avevano convocato per interrogarlo come testimone: “Non dire che la Segreteria di Stato ha indagato. Dì che siccome la ragazza è scomparsa in territorio italiano la competenza delle indagini è della magistratura italiana e non del Vaticano”.

Tutte queste notizie le ho scritte e ribadite nei libri che ho citato, senza ricevere mai neppure una smentita. Si tratta infatti di cose certe, documentate, quindi NON smentibili. La conclusione è evidente, oltre che NON smentibile: Wojtyla ha scientemente avvalorato una falsa pista, prestandosi a coprire la responsabilità di qualcuno in un delitto o in una disgrazia che ha avuto come vittima Emanuela Orlandi. A essere precisi, e come pure dimostro nel mio libro sul caso Orlandi, Wojtyla si è prestato scientemente nel suo ottavo appello per il “rilascio” di Emanuela ad avvalorare come rapimento anche la scomparsa di Mirella Gregori, altra ragazza romana svanita nel nulla quasi un mese e mezzo prima di Emanuela. Senza annoiare il lettore, basti sapere – e l’ho dimostrato nel mio libro – che è fin troppo chiaro che Mirella Gregori non è mai stata rapita: nell’ultimo numero del luglio ’83 il settimanale Panorama ne fece il nome come semplice esempio delle molte scomparse di minorenni in Italia. Ma chissà perché Wojtyla volle “miracolosamente” far diventare anche quella scomparsa in rapimento, in modo da indurre l’opinione pubblica a convincersi che i “rapimenti” erano due, e che quindi la scomparsa di Emanuela era sicuramente un “sequestro”. Anche un cretino, purché onesto, capisce – e poteva capirlo subito fin dal luglio ’83 – che tanta fretta nel(lo stra)parlare di rapimenti è chiaramente dovuta al bisogno di depistare le indagini sulla Orlandi allontanando i sospetti dal Vaticano.
Per giunta il papa polacco “santo subito!” si è prestato a usare strumentalmente il tutto per dare addosso all’Unione Sovietica. Come beato o santo non c’è male….
Come si vede, anche tralasciando tutto il resto, compreso il non encomiabile viaggio in Cile dal golpista massacratore Pinochet, è piuttosto difficile credere che Wojtyla sia davvero degno degli onori degli altari. Semmai, è legittimo il sospetto che lo si voglia “santo subito!” per evitare che se ne indaghi troppo l’operato, compreso il losco comportamento attorno al caso Orlandi. Sì, losco: non c’è infatti un altro termine per definire un comportamento che ha tenuto banco con una balla per così tanti anni, per giunta ai danni – oltre che del giornalismo in generale – sia di privati che di interi Stati ingiustamente calunniati.
La Chiesa a suo tempo è stata indecisa se mandare Francesco d’Assisi al rogo o no, tanto dava fastidio con le sue prediche all’andazzo vizioso, corrotto e  carnascialesco dei papi e del Vaticano, poi decise di renderlo inoffensivo facendolo santo: il modo migliore per evitare che la gente si mettesse in testa di capire bene cosa predicasse e perché. All’opposto, Carlo Borromeo fu fatto santo per evitare si indagasse troppo sulla sua vita reale, ricca di lussi, sopraffazioni e condanne al rogo con la scuse più ignobili.

In ogni caso: che tristezza e che stitichezza questi santi e beati. Fanno un miracolino, giusto per essere dichiarati beati, poi se tutto va bene ne fanno un altro per essere dichiarati santi, ma sempre col contagocce. Evitando di farne troppi e ben chiari, di miracoli, quasi fossero stitici. Poi, ottenuta la nomina e la gloria degli altari, i beati e i santi spariscono, si limitano a presenziare nei calendari e i loro miracoli si vedono col binocolo o restano un ricordo. E poi, diciamo la verità, che strano: nonostante le migliaia e migliaia di beati e santi, il cui numero aumenta inoltre in continuazione, il mondo continua poco miracolosamente ad andare come va: piuttosto male.

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