domenica 20 maggio 2012

Pericolosi spacciatori di pecorino


Da uno dei blog che amo di più.www.debernardi.wordpress.com
Col suo rigoglio boschivo,vive  sorgenti e  fiumi impetuosi che dividono le   valli disseminate di viti e uliveti; con le sue cime rispettabili, contraltate a  pianure dai floridi orti,  questa parte del territorio regionale che è la Valnerina, verrebbe voglia di chiamarla Umbria felix. Quegli intenditori che non sono vittime del cliché provinciale delle vacanze lontane ad ogni costo, sanno che qui, partendo da ogni parte dell’Umbria, con poco viaggio, possono trovare ottima occasione di  riposo e divertimento, e in più apprezzare quel che si chiama il “tipico regionale”,  come tale radicato nel territorio, come tale minacciato dalle politiche globalizzatrici. Fino a non molto tempo fa uno dei fattori più specifici di questa parte dell’Umbria era la notevole presenza di greggi e di attività legate alla pastorizia ovina: i cani maremmani, i cavalli, gli ovili, le rimesse dai precisi muri a secco,così mimetiche col territorio; i fienili, gli abbeveratoi, il via vai serale della mungitura, per fare il formaggio, la ricotta…
            Qualche anno fa, dopo l’escursione, mi recai dal solito pastore per l’acquisto delle due solite forme (una per casa e una per regalare), e questi amareggiato disse che non facevano più formaggio, dal momento che non lo potevano vendere, essendo entrata in vigore la legge che impone la produzione in laboratorio di formaggio destinato alla vendita, secondo la norma di legge europea (poi italiana, poi regionale). L’impianto del laboratorio sarebbe costato in vecchie lire circa 70 milioni, cosa che avrebbe richiesto la vendita del gregge intero o l’indebitamento. Perciò il pastore produceva poco formaggio, solo per la propria famiglia e per pochi intimi, in attesa di cercarsi un altro lavoro. Alla fine lo convinsi a vendere (anzi a spacciare) le due solite forme, ma ciò avvenne solo dopo avermi fatto entrare in casa  in maniera stavolta furtiva, raccomandandomi di non dire di averlo acquistato.
            Ovviamente questa legislazione ha portato all’abbandono delle attività da parte di molti pastori, con conseguenze evidenti sul territorio e su quel tipico locale di cui sopra si diceva. Il processo è destinato a favorire, come al solito, la grande concentrazione e cioè la riduzione del numero dei produttori e la sopravvivenza di chi si organizza  su grande scala, con produzioni di tipo industriale, che consegnano il latte alla centrale del latte regionale, nella quale si produrrà il formaggio come vuole la legislazione europea; tutte le forme avranno lo stesso sapore, lo stesso standard igienico, di lievitazione, di salatura, di stagionatura, ecc. E la cosa , al consumatore globalizzato, pare giusta, soprattutto perché egli crede che la richiesta di standard igienici sia stata fatta per il suo bene, come tutte le altre cose.
            Mia nonna mi raccontava che nella sua famiglia per generazioni ci si era nutriti di latte di capre munte a mano e mi faceva vedere i vecchi stampini di metallo, succeduti a quelli più antichi di vimini dove si riponeva il latte cagliato. Solo in due casi ella ha visto morire le persone in modo innaturale e cioè durante le due guerre, che portarono la fame, prima ignota. A sua memoria non le risultava che qualcuno si fosse ammalato o morto per aver mangiato formaggio fatto col metodo arcaico, fuori dal laboratorio; anzi scuoteva la testa e diceva di non capire il mondo di oggi, perché ai suoi tempi morivano quelli che quei formaggi (stante la guerra) non potevano mangiare; mentre oggi si dice che sarebbero in pericolo quelli che se ne nutrono. Le facevo notare che i tempi sono cambiati e che come i formaggi son divenuti pericolosi, così le guerre sono divenute umanitarie; ma continuava a scuotere la testa e a non capire, forse perché era analfabeta…
            Ad una persona adulta, capace di intendere e volere, un concessionario può vendere una automobile che raggiunga i 220 km orari, con cui poter mettere in pericolo la propria e l’altrui vita; un armiere può vendere una cal. 9 o armi rigate con kilometri di gittata; una smart che raggiunge 100 all’ora è venduta a minori di 18 anni senza patente; un farmacista su ricetta medica può vendere il ritalin per il bambino e il prozac per il papà (povera mamma); si possono vendere farmaci antidolorifici a base di oppiacei, consentiti ora anche ai bambini. Si possono acquistare pornografia , pillola del giorno dopo, potenti diserbanti (previo patentino). Il pecorino fatto in casa no! Perché il pastore, a un adulto capace di intendere e volere, non può vendere formaggio fatto in casa col metodo arcaico, dopo averlo opportunamente e obbligatoriamente avvertito? Il proibizionismo qui è totale, perché non basta essere  maggiori di 21 anni, oppure essere dotati di patentino per diserbanti, di porto d’armi o esibire una ricetta medica. Si vendono prodotti ogm, purchè obbligatoriamente etichettati, e chiunque, anche minorenne, è libero di acquistarli; perché altrettanto non si consente di fare al pastore col formaggio fatto in casa, previa etichettatura obbligatoria? Sì, proprio quello che variava di sapore, consistenza, salatura, lievitazione, a seconda della famiglia dove lo acquistavi; proprio quello il cui metodo di produzione si tramandava di padre in figlio. Arte, tradizione, territorio; tutto deve sparire per far posto a formaggi industriali chimicamente additivati.
Si fanno digiuni, maratone televisive, raccolte di firme in parlamento per arrivare a rendere lecita la vendita di droghe. Ma le strida e le sceneggiate di quelli che vogliono liberalizzare la vendita di droghe, di pillola del giorno dopo, di ogm, di terapie palliative a base di oppiacei, stanno occultando il vero e pericoloso proibizionismo che avanza: quello che non consente di vendere formaggio fatto in casa, pane fatto in casa, marmellate fatte in casa, allevare liberamente polli, macellare in casa, impiantare un vigneto e quant’altro.
            Al consumatore globalizzato che si culla sull’idea che quelle politiche siano fatte per la tutela della sua salute, bisogna far notare che un grosso predatore non potrebbe trangugiare un cibo che si presentasse disperso in una miriade di briciole; così, finché la produzione casearia resta dispersa nelle mani di una miriade di piccoli produttori, non è possibile la formazione di monopoli; ma quando essa fosse concentrata in poche megacentrali del latte, ecco che in un sol colpo il cosiddetto “investitore internazionale” si fagocita le risorse alimentari di una regione o di una nazione, che così è come se avesse perso una guerra, senza essersene accorta, e solo per aver seguito ingenuamente i consigli pelosi di economisti che raccomandano la concentrazione produttiva su scala industriale, perché  -dicono, anzi, fanno credere- sarebbe più produttiva e competitiva. Ma quando certi politici aderiscono a quei “consigli” non per ingenuità, ma in malafede, e con l’alibi delle norme di salute pubblica servono su un piatto d’argento le risorse regionali o nazionali al pescecane monopolista internazionale, che le acquista a prezzo di svendita, in cambio di garantite carriere politiche; allora si deve parlare di collaborazionismo (come tale infame) al diktat globalizzatore: la cui parola d’ordine è “concentrazione” (in agricoltura, industria, allevamento), proprio per preparare il boccone al pescecane (direttive Fmi,  Wto, Ocse).
            Il consumatore smetta di credere che ai pastori della Valnerina è impedito di lavorare come hanno sempre fatto per il suo bene,con l’alibi dell’igiene, perché questa sciocca credenza distrugge buona parte di questa regione e alla lunga lui stesso. Una Valnerina senza pastori è come un mare senza pescatori, un bosco senza uccelli, l’argine del fiume senza alberi…per capirci un deserto, proprio quello cui puntano le politiche globalizzatrici, che hanno in odio la varietà e che si esprime nel prefisso “mono” dei loro progetti: monocoltura, monopolio, monoproduzione, monocultura, monomonetario, monocreditizio, monomaniacale…

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