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Col suo rigoglio boschivo,vive sorgenti e fiumi impetuosi che dividono le valli disseminate di viti e uliveti; con le sue cime rispettabili, contraltate a pianure dai floridi orti, questa parte del territorio regionale che è la Valnerina, verrebbe voglia di chiamarla Umbria felix. Quegli intenditori che non sono vittime del cliché
provinciale delle vacanze lontane ad ogni costo, sanno che qui,
partendo da ogni parte dell’Umbria, con poco viaggio, possono trovare
ottima occasione di riposo e divertimento, e in più apprezzare quel che si chiama il “tipico regionale”, come
tale radicato nel territorio, come tale minacciato dalle politiche
globalizzatrici. Fino a non molto tempo fa uno dei fattori più specifici
di questa parte dell’Umbria era la notevole presenza di greggi e di
attività legate alla pastorizia ovina: i cani maremmani, i cavalli, gli
ovili, le rimesse dai precisi muri a secco,così mimetiche col
territorio; i fienili, gli abbeveratoi, il via vai serale della
mungitura, per fare il formaggio, la ricotta…
Qualche
anno fa, dopo l’escursione, mi recai dal solito pastore per l’acquisto
delle due solite forme (una per casa e una per regalare), e questi
amareggiato disse che non facevano più formaggio, dal momento che non lo
potevano vendere, essendo entrata in vigore la legge che impone la
produzione in laboratorio di formaggio destinato alla vendita,
secondo la norma di legge europea (poi italiana, poi regionale).
L’impianto del laboratorio sarebbe costato in vecchie lire circa 70
milioni, cosa che avrebbe richiesto la vendita del gregge intero o
l’indebitamento. Perciò il pastore produceva poco formaggio, solo per
la propria famiglia e per pochi intimi, in attesa di cercarsi un altro
lavoro. Alla fine lo convinsi a vendere (anzi a spacciare) le due
solite forme, ma ciò avvenne solo dopo avermi fatto entrare in casa in maniera stavolta furtiva, raccomandandomi di non dire di averlo acquistato.
Ovviamente
questa legislazione ha portato all’abbandono delle attività da parte
di molti pastori, con conseguenze evidenti sul territorio e su quel
tipico locale di cui sopra si diceva. Il processo è destinato a
favorire, come al solito, la grande concentrazione e cioè la riduzione
del numero dei produttori e la sopravvivenza di chi si organizza su
grande scala, con produzioni di tipo industriale, che consegnano il
latte alla centrale del latte regionale, nella quale si produrrà il
formaggio come vuole la legislazione europea; tutte le forme avranno lo
stesso sapore, lo stesso standard igienico, di lievitazione, di
salatura, di stagionatura, ecc. E la cosa , al consumatore globalizzato,
pare giusta, soprattutto perché egli crede che la richiesta di
standard igienici sia stata fatta per il suo bene, come tutte le altre
cose.
Mia
nonna mi raccontava che nella sua famiglia per generazioni ci si era
nutriti di latte di capre munte a mano e mi faceva vedere i vecchi
stampini di metallo, succeduti a quelli più antichi di vimini dove si
riponeva il latte cagliato. Solo in due casi ella ha visto morire le
persone in modo innaturale e cioè durante le due guerre, che portarono
la fame, prima ignota. A sua memoria non le risultava che qualcuno si
fosse ammalato o morto per aver mangiato formaggio fatto col metodo
arcaico, fuori dal laboratorio; anzi scuoteva la testa e diceva di non
capire il mondo di oggi, perché ai suoi tempi morivano quelli che quei
formaggi (stante la guerra) non potevano mangiare; mentre oggi si dice
che sarebbero in pericolo quelli che se ne nutrono. Le facevo notare che
i tempi sono cambiati e che come i formaggi son divenuti pericolosi,
così le guerre sono divenute umanitarie; ma continuava a scuotere la
testa e a non capire, forse perché era analfabeta…
Ad
una persona adulta, capace di intendere e volere, un concessionario
può vendere una automobile che raggiunga i 220 km orari, con cui poter
mettere in pericolo la propria e l’altrui vita; un armiere può vendere
una cal. 9 o armi rigate con kilometri di gittata; una smart che
raggiunge 100 all’ora è venduta a minori di 18 anni senza patente; un
farmacista su ricetta medica può vendere il ritalin per il bambino e il
prozac per il papà (povera mamma); si possono vendere farmaci
antidolorifici a base di oppiacei, consentiti ora anche ai bambini. Si
possono acquistare pornografia , pillola del giorno dopo, potenti
diserbanti (previo patentino). Il pecorino fatto in casa no! Perché il
pastore, a un adulto capace di intendere e volere, non può vendere
formaggio fatto in casa col metodo arcaico, dopo averlo opportunamente e
obbligatoriamente avvertito? Il proibizionismo qui è totale, perché
non basta essere maggiori di 21 anni, oppure essere
dotati di patentino per diserbanti, di porto d’armi o esibire una
ricetta medica. Si vendono prodotti ogm, purchè obbligatoriamente
etichettati, e chiunque, anche minorenne, è libero di acquistarli;
perché altrettanto non si consente di fare al pastore col formaggio
fatto in casa, previa etichettatura obbligatoria? Sì, proprio quello che
variava di sapore, consistenza, salatura, lievitazione, a seconda
della famiglia dove lo acquistavi; proprio quello il cui metodo di
produzione si tramandava di padre in figlio. Arte, tradizione,
territorio; tutto deve sparire per far posto a formaggi industriali
chimicamente additivati.
Si
fanno digiuni, maratone televisive, raccolte di firme in parlamento
per arrivare a rendere lecita la vendita di droghe. Ma le strida e le
sceneggiate di quelli che vogliono liberalizzare la vendita di droghe,
di pillola del giorno dopo, di ogm, di terapie palliative a base di
oppiacei, stanno occultando il vero e pericoloso proibizionismo che
avanza: quello che non consente di vendere formaggio fatto in casa, pane
fatto in casa, marmellate fatte in casa, allevare liberamente polli,
macellare in casa, impiantare un vigneto e quant’altro.
Al
consumatore globalizzato che si culla sull’idea che quelle politiche
siano fatte per la tutela della sua salute, bisogna far notare che un
grosso predatore non potrebbe trangugiare un cibo che si presentasse
disperso in una miriade di briciole; così, finché la produzione casearia
resta dispersa nelle mani di una miriade di piccoli produttori, non è
possibile la formazione di monopoli; ma quando essa fosse concentrata
in poche megacentrali del latte, ecco che in un sol colpo il cosiddetto
“investitore internazionale” si fagocita le risorse alimentari di una
regione o di una nazione, che così è come se avesse perso una guerra,
senza essersene accorta, e solo per aver seguito ingenuamente i consigli
pelosi di economisti che raccomandano la concentrazione produttiva su
scala industriale, perché -dicono, anzi, fanno credere-
sarebbe più produttiva e competitiva. Ma quando certi politici
aderiscono a quei “consigli” non per ingenuità, ma in malafede, e con
l’alibi delle norme di salute pubblica servono su un piatto d’argento le
risorse regionali o nazionali al pescecane monopolista internazionale,
che le acquista a prezzo di svendita, in cambio di garantite carriere
politiche; allora si deve parlare di collaborazionismo (come tale
infame) al diktat globalizzatore: la cui parola d’ordine è
“concentrazione” (in agricoltura, industria, allevamento), proprio per
preparare il boccone al pescecane (direttive Fmi, Wto, Ocse).
Il
consumatore smetta di credere che ai pastori della Valnerina è
impedito di lavorare come hanno sempre fatto per il suo bene,con
l’alibi dell’igiene, perché questa sciocca credenza distrugge buona
parte di questa regione e alla lunga lui stesso. Una Valnerina senza
pastori è come un mare senza pescatori, un bosco senza uccelli,
l’argine del fiume senza alberi…per capirci un deserto, proprio quello
cui puntano le politiche globalizzatrici, che hanno in odio la varietà e
che si esprime nel prefisso “mono” dei loro progetti: monocoltura, monopolio, monoproduzione, monocultura, monomonetario, monocreditizio, monomaniacale…
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