mercoledì 30 maggio 2012

Uscire dall’euro senza uscire dall’euro


Il titolo di questo post è evidentemente un ossimoro. Non dobbiamo meravigliarci, in questo mare di contraddizioni, conflitti, assurdità, illogicità che è diventato il sistema economico del mondo, un ossimoro sembra ben poca cosa. Quello che è più interessante è che può rappresentare davvero una soluzione al problema. Il problema è l’euro: la Grecia sta per andarsene e questo comporterà un aggravamento notevole della crisi, non tanto per i greci, che finalmente si libereranno degli strozzini del mondo che gravano sulle loro spalle e che, se adottassero politiche intelligenti, potrebbero trovarsi fuori dai guai in pochi anni, quanto per il resto dell’Europa e in particolare per l’Italia. Dopo l’uscita della Grecia è il nostro paese ad essere il più esposto agli attacchi della speculazione internazionale, insieme alla Spagna, al Portogallo ed all’Irlanda.
D’altra parte la speculazione fa il suo mestiere, guadagnare il più possibile sulle debolezze altrui, e a volte ci riesce pure. La follia consiste nell’aver messo le economie di interi paesi nelle mani della speculazione, per cui ogni punto di interesse sui titoli di Stato equivale ad una manovra finanziaria pagata con dure tasse dai cittadini. Le ultime confortanti notizie dicono che si uscirà forse dalla crisi non prima del 2017, e chissà se è vero. Intanto il nostro paese è scosso da tensioni fortissime, paure incontrollabili, suicidi quotidiani, e adesso anche da attentati come quello assurdo di Brindisi. Ha ragione Grillo, un attentato era nell’aria elettrica che si respira in questi giorni. A pelle, non mi sembra né un atto della criminalità organizzata, né di qualche organizzazione politica folle, e nemmeno dalla “strategia della tensione” che ha caratterizzato diversi periodi oscuri della nostra storia. Sembra la materializzazione di quelle paure e tensioni che sono arrivate ad un punto estremo e che in qualche modo dovevano scaricarsi, e forse hanno scelto la mente di un folle che ha vagheggiato una strage e si è portato via la vita di una ragazzina innocente. Chissà, speriamo che questa volta si arrivi ad individuare i colpevoli, troppe volte nella nostra storia le indagini si sono risolte con un buco nell’acqua.
Nel paese cresce la rivolta contro questo sistema la cui assurdità è palese, anche se ricette per risolvere la situazione non ne vengono proposte. La recente vittoria del M5S nelle comunali di Parma ha dato una scossa violenta a tutto il mondo politico da anni subissato da critiche radicali sia per l’incapacità a formulare uno straccio di proposta, sia soprattutto per la corruzione ed i costi del sistema. Il M5S fortunatamente non è un partito, ma un’aggregazione di cittadini che hanno come obiettivo in primis la moralizzazione della vita pubblica a partire dalla riduzione dei costi della politica. Tuttavia questo obiettivo, peraltro sacrosanto, non sarebbe sufficiente. In tempi non sospetti ho scritto che nemmeno San Francesco redivivo potrebbe sanare il problema del debito e che questo deve essere affrontato alla radice. La radice è data dagli interessi che annualmente vengono pagati dal lavoro alla speculazione. Come al solito, nelle battaglie intorno al potere, si parla della prevaricazione che una classe fa in danno di un’altra. E qui la prevaricazione consiste nel fatto che per alimentare il lavoro è necessario indebitarsi con una moneta che trova la sua giustificazione proprio e solo in quel lavoro, e che questo comporta un enorme trasferimento di ricchezza dal mondo del lavoro a quello della rendita, in modo non lontano da quanto avveniva prima della rivoluzione francese, tra il mondo dei nobili rèntiers e quello delle classi sociali produttive. Inoltre, lo Stato è organizzato in modo da favorire ancora di più questa insostenibile sperequazione, visto che le rendite finanziarie sono tassate al 12,50% quelle immobiliari al 20% e il lavoro, anche il più umile, in media al 47% e forse più. Tra l’altro, chi lavora, non solo deve pagare queste tasse ma anche la tassa nascosta degli interessi che vengono riversati alla speculazione finanziaria e che  quest’anno ammonterà in Italia a oltre 400 miliardi di euro, vale a dire più del 20% del PIL. È chiaro che questa situazione è insostenibile, e questa osservazione vale per tutti i paesi del mondo, poiché tutti sono indebitati nel’economia del debito. Il problema è quindi il debito ed una moneta che nasce esclusivamente con il debito, e che però è necessaria perché l’economia funzioni, almeno finché sarà diffusa la cultura dello scambio e del valore delle cose.
Le crisi economiche vengono acuite da questo sistema di distribuzione del reddito, che penalizza la capacità di consumo dei settori che di volta in volta vengono colpiti dalla crisi, costringendo milioni di persone a ridurre drasticamente il proprio tenore di vita e a fare conto sulle riserve accumulate, per quelli che ne hanno, o sulla disperazione per chi non ha avuto la prudenza o la possibilità di crearsi un gruzzoletto. La crisi del 2009  ha prodotto una forte contrazione delle economie occidentali, a mala pena mascherata dalla crescita dei paesi del BRICS, soprattutto dalla Cina. Quella crisi non solo non è ancora passata, ma sta spiegando solo ora i suoi effetti peggiori, e gli analisti sono spaventati dai segnali di forte rallentamento che sta manifestando la Cina, alle prese anche lei con una bolla immobiliare che sta esplodendo e che trascinerà con se diversi settori dell’economia cinese. E se la Cina non comprerà più, i problemi dell’Europa e del mondo occidentale sono destinati ad aggravarsi e la crisi ad acuirsi ancora.
Come se ne esce? La domanda ha una sola risposta: occorre uscire rapidamente dalla logica della preminenza del capitale finanziario sulla vita delle persone. Dobbiamo creare un sistema fondato sulla razionalizzazione della produzione e della distribuzione del reddito prodotto che metta al primo posto l’esigenza di tutelare la vita umana. D’altra parte una società ha senso solo se riesce a fare questo. Nella Costituzione americana viene esplicitamente indicato come fine della società la felicità dei cittadini, mentre la nostra società sembra indirizzata in senso diametralmente opposto. I governi che si sono succeduti nella guida del paese si sono impegnati in una silenziosa gara a chi metteva più tasse, imponeva più adempimenti, emanava più leggi restrittive, norme più punitive e cogenti. L’obiettivo sembra quello di ridurre il più possibile gli spazi di libertà dei cittadini, costringerli a percorsi di vita sempre più tortuosi, spingerli verso la catastrofe dell’indebitamento personale, così che non abbiano il tempo per pensare e per occuparsi della vita pubblica. Ci vogliono tutti idioti, nel senso letterale del termine originario greco (ἰδιώτης), ovvero coloro che non si occupano della vita pubblica e stanno per loro conto.   Siamo costretti ad essere idioti per inseguire il debito quotidiano, la lotta per la sopravvivenza, tasse e servizi sempre più costosi, bombardati da un sistema di comunicazione che istupidisce ma almeno rappresenta una pausa rispetto ad una esistenza sempre più infelice e frenetica. Anche gli stessi politici sembrano sempre più ἰδιώτης, sorpresi sempre più nella gestione dei loro affari personali più che nella cura della cosa pubblica. E d’altra parte, non c’è più alcun bisogno di una cosa pubblica, visto che la logica del capitale e del profitto ha pervaso ogni aspetto della vita sociale e la privatizzazione dei servizi è considerata la panacea di tutti i mali.
Sappiamo che l’origine di questa distorsione della vita pubblica e privata trova la sua origine nella moneta, nella sua natura, nella gestione, nel modo in cui viene creata e distribuita. È l’essere dio del denaro che rende la vita subordinata ad esso. Il modo per abbattere questo dio perverso è solo quello di togliergli la sua arma micidiale, quella attraverso la quale gestisce il potere e la sua stessa sopravvivenza, ovvero l’interesse. Ma non basta, poiché è necessario anche riportare in terra il dio denaro e costringerlo alla mortalità come tutte le cose della vita. Il tasso negativo è l’unica possibilità reale per fare questo in tempi relativamente brevi. Altrimenti dovremmo immaginare una società senza denaro, con sistemi di produzione e di scambio diversi dalla quantificazione misurata in termini di denaro, ma questo sembra un obiettivo ancora lontano.
La difficoltà di introdurre un sistema a tasso negativo consiste nel fatto che per farlo a livello nazionale bisogna prendere il potere. E non basta nemmeno, poiché poi lo Stato che lo facesse si troverebbe a combattere a livello internazionale con la speculazione e con il potere reale che si fondano sul denaro e sull’interesse. D’altra parte, prendere il potere comporta l’inevitabile presupposto di avere una natura ed una organizzazione tale da riuscire ad abbattere quello precedente e sostituirlo, e quindi del tutto simile a quella del potere che si vuole abbattere. E oltre alla natura è necessario avere anche mezzi del tutto simili e più potenti di quelli del potere in vigore. Di fatto, cercare di riformare il sistema dal suo interno è un’illusione pericolosa e un’impresa titanica del tutto inutile. Quello che dobbiamo e possiamo fare è costruire un sistema diverso di relazioni, sociali, umane ed economiche in modo non dissimile da quello che fecero i nostri antenati quando lasciarono i grandi feudatari e fondarono i comuni, sulla base di principi di solidarietà, di scambio, di gestione delle cose comuni del tutto diversi da quelli cui erano costretti nei feudi. Possiamo farlo per la semplice ragione che non abbiamo bisogno del loro denaro se non nella quantità che serve per misurare il loro potere. Il resto, tutto il resto, possiamo farlo senza dover utilizzare quel mortifero strumento.
Non occorre molto per iniziare la rivoluzione. Basta un poco di organizzazione ed il coraggio di cominciare. Facciamo un esempio concreto. Da più parti si annuncia la prossima morte dell’euro (soprattutto dal mondo anglosassone che qualche interesse a che questo avvenga in effetti,c e l’ha) e si agitano i foschi scenari che questo comporterebbe. Sono anche io convinto che l’euro per come è strutturato non possa resistere a lungo e che quindi, prima o poi ci sarà bisogno di una riforma radicale oppure di un ritorno alle monete nazionali o a qualche cosa che gli somiglia. Tuttavia, non possiamo ragionevolmente prevedere i tempi di questi eventi: se la BCE si mettesse a stampare denaro in misura sufficiente (gli eurobonds ne sono un esempio), i tempi della caduta del’euro potrebbero allungarsi di molto. La politica ha ancora in mano strumenti efficaci per portare avanti il suo disegno politico finanziario e non è affatto detto che vinca la testardaggine della Merkel piuttosto che la volontà di cambiamento di Hollande o di altri politici europei. In ogni caso, il problema di fondo non sarebbe risolto, nessuno in Europa pensa di uscire dalla logica del denaro ad interesse né dal capitalismo finanziario. Quindi, agitare la possibilità di uscire dall’euro è un’illusione e pure pericolosa. La Grecia probabilmente uscirà dall’euro perché sarà costretta a farlo, non solo dalle pressioni interne, che sono poca cosa, ma soprattutto dalle pressioni internazionali e dalla incapacità dell’Unione di riuscire a tenerla dentro. Se il problema fosse stato affrontato con decisione tre anni fa, la questione greca sarebbe stata probabilmente risolta rapidamente, ma se dal lato della politica europea non ce n’era la capacità, da quello della speculazione non c’era alcun interesse a risolverla. La speculazione internazionale è peggio del peggiore strozzino. Il quale, ad un certo punto, quando capisce che la sua vittima non ne ha più, almeno riduce le sue pretese, mentre la speculazione non capisce. Punta sempre alla massimizzazione dei profitti, e con un orizzonte limitato alla prossima mezz’ora, senza alcuna prospettiva strategica. È  sorda, muta e cieca e l’unica cosa che sa fare bene è divorare tutto quello che le capita a tiro, come un mostro assetato di sangue uscito da qualche assurdo incubo o film dell’orrore.
Quindi la soluzione è uscire dall’euro senza uscire dall’euro. Il che vuol dire creare un’economia parallela a questa sollecitando le capacità, la volontà, i sogni ed il bisogno della maggior parte della gente, produttori e non produttori. E la prima cosa da fare è creare una moneta. Ora il nome non ha importanza, possiamo denominarla con il nome partorito dalla più effervescente fantasia, ma la cosa importante è che deve essere una moneta a tasso negativo, emessa secondo criteri rigidamente legati agli investimenti e che consenta di distribuire un reddito di cittadinanza a coloro che partecipano a questa economia parallela. Senza il tasso negativo ci stiamo prendendo in giro, ripeteremmo le esperienze già vissute dalla rivoluzione francese in poi. Può essere una moneta locale, nazionale, internazionale, universale, quello che volete, purché sia a tasso negativo. Può essere una moneta per le imprese, come è il WIR svizzero, o una per gli scambi locali, come le monete tedesche, e probabilmente in una prima fase sarà necessario combinare diverse di queste esperienze e poi cercare di fonderle tra loro. Ad esempio, per cercare di alleviare i problemi delle aziende italiane a corto di liquidità, che ormai sono la grande maggioranza, un meccanismo come quello del WIR è perfettamente applicabile subito e anche facilmente comprensibile. Si crea un consorzio al quale aderiscono le imprese, che vedono al consorzio i loro crediti che non riescono a esigere in cambio di una moneta a tasso negativo con la quale effettuano i pagamenti dei loro debiti verso le altre imprese che aderiscono al circuito. In un tempo relativamente breve, proprio come è successo in Svizzera negli anni trenta, tutte le imprese che non sanno più come pagare né come esigere i propri crediti avranno convenienza ad entrare nel circuito e saranno gli stesi debitori e creditori a sollecitarne l’ingresso. Il Consorzio, poi, provvederà ad esigere i  crediti di cui si è reso cessionario nella moneta corrente. L’operazione potrebbe essere denominata in euro mediante l’emissione di un prestito obbligazionario a tasso negativo convertibile in azioni ad una certa scadenza da parte di una società di capitali creata dallo stesso consorzio, per cui all’interno del circuito le transazioni sarebbero regolate da quote ideali di questo prestito obbligazionario che tuttavia non genererebbe alcun debito nella società che lo emette perché appunto a tasso negativo. La struttura potrebbe raggiungere in breve dimensioni ragguardevoli e andare ad esercitare le debite pressioni verso quei creditori debitori dei consorziati che non aderiscono al circuito per indurli a ragionevolezza. Sto parlando, ovviamente, dello Stato che spesso è debitore insolvente delle imprese e creditore esigente e spietato delle stesse, o del circuito bancario. Insomma, ad un certo punto si tratta, proprio come fecero i nostri antenati comunardi con i feudatari che mandavano le truppe ad esigere le gabelle. Ogni tanto uno scontro interrompeva la trattativa, ma intanto i comuni crescevano e con essi il desiderio di libertà e l’umanità fece un bel passo avanti verso una convivenza più civile e diversa. Occorre arrivare rapidamente alla distribuzione di un RdC ragionevole e sufficiente almeno per sopravvivere per consentire uno sviluppo rapido dei rapporti economici. Il RdC non solo fa stare bene chi lo riceve, perché lo tranquillizza, ma soprattutto è la base del consumo, almeno di quello essenziale, della nuova comunità economica. E dato che è a tasso negativo non c’è la possibilità di accumularlo, ma sarà speso interamente per il consumo. Dopo un po’ di tempo ci si accorgerò che non è necessaria una grande massa di moneta per la gestione dei rapporti economici in questa nuova società, ma che è sufficiente una quantità relativamente piccola poiché la velocità di circolazione del denaro sarà molto elevata, presumibilmente la massima possibile. Con un RdC efficiente non è nemmeno necessaria la garanzia di stabilità del posto di lavoro, poiché il reddito da lavoro, che si aggiunge al RdC che deve essere erogato a tutti e quindi universale, non deve assicurare l’esistenza in vita del percettore. Questo comporta anche la fine del ricatto del lavoro, per cui si è costretti a lavorare anche per uno stipendio di fame perché se ne ha bisogno. Questo riequilibrio delle posizioni farà sì che i salari tenderanno ad alzarsi a livelli ragionevoli e adeguati all’importanza del lavoro svolto per l’azienda che lo richiede oltre che alla sua capacità finanziaria ed economica. Il nuovo sistema economico tenderà a fondarsi sulla fiducia reciproca più che sulla lotta di tutti contro tutti, com’è l’attuale. Le ragioni di questo evento le ho spiegate più volte nei miei libri e non starò a a ripeterle. Certo si tratta di fondare una società in cui tutti hanno interesse a percepire un RdC adeguato e questo certamente comporta una comunanza di interessi ed alla necessità di dovere aver fiducia nel sistema.Questo non comporta la soluzione di tutti i problemi sociali, ma certamente l’avvio di una strada nuova e diversa per trovare le soluzioni più adeguate a molti di essi. L’idea di emettere obbligazioni a tasso negativo l’ho già esposta nei miei libri ed è il modo più convincente per  avviare l’iniziativa, che io chiamo Faz ma chiamatela come vi pare, sia denominando questo strumento in euro sia in modo assolutamente legale, poiché nulla e nessuno può impedire l’emissione di un prestito obbligazionario convertibile a tasso negativo, né può imporre il rapporto di conversione né determinare il tasso né, infine, stabilire le modalità di sottoscrizione del prestito. Ma si può benissimo adottare una moneta virtuale con un programma elettronico che riduca quotidianamente il nominale nella misura del tasso negativo prefissato. Senza entrare nei dettagli, ci sono già strumenti del genere utilizzabili o adattabili alla bisogna e altri, come il Dropis, che sono in via di sperimentazione e che potrebbero coprire alcuni settori specifici.
Un Comune, una Provincia, una Regione potrebbero avviare l’iniziativa sul loro territorio, così come associazioni tra privati, associazioni sindacali e di categoria, gruppi di produttori o di consumatori. Stemperare la tensione sociale che diventa sempre più intollerabile, Spezzare la spirale perversa dei suicidi e della criminalità, restituire fiducia nella società e nella possibilità di uscire da questo disastro, ridare linfa all’economia e, allo stesso tempo, costruire nuove forme di partecipazione e di gestione sociale che coinvolgano la gente direttamente. Con il RdC questo ed altro è possibile, perché si libera la gente dalla paura di non farcela. Basta un segnale che parte una valanga. La gente non aspetta altro che un progetto, e i progetti ci sono e sono chiarissimi.
Insomma, questo è il momento di avviare il cambiamento, dobbiamo ridare la speranza alla gente che il cambiamento è possibile ed è fattibile subito, prima che la situazione degeneri in una violenza incontrollabile, da qualunque parte questa provenga. Con la violenza non si risolve nulla e si fa il gioco del potere, questo deve essere chiaro. Dobbiamo sbrigarci, ogni giorno che passa è un passo pericoloso verso l’abisso.

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